“Non sono questo male, e la nostra impotenza ad affrontarlo, il
problema, ma come ridurne gli effetti sulle nostre vite, come renderlo,
appunto, indifferente per noi. La “cura” consiste tutta nel rimuoverlo…”
l’espresso 24.6.18
Siamo al bivio del Male
L’Europa cessa di esistere se diventa indifferente nei confronti della sofferenza e della sopraffazione
di Massimo Cacciari
Che
i “Valori” della nostra civiltà di cui tante volte ci siamo
retoricamente fregiati non costituiscano alcuno stabile fondamento, non
traccino alcuna salda prospettiva per il nostro agire, ma piuttosto
fragili idee regolative, sempre in pericolo, minacciate, sul punto di
essere contraddette alla radice, la storia dovrebbe avercelo insegnato
usque ad nauseam. Cristianesimo e Illuminismo, in forme antagonistiche e
tuttavia inseparabili, hanno certo forgiato aspetti fondamentali della
nostra vita, e tuttavia nei momenti in cui un ordine politico e sociale
“catastrofizza” ed è difficile anche intravvedere la stessa possibilità
di un nuovo ordine, ecco che essi tendono a scomparire, a uscire dal
nostro “cono di luce”. La stessa “missione” che alcuni dei suoi grandi
interpreti, scienziati, filosofi e politici, hanno considerata propria
dello spirito europeo, e cioè ricondurre ogni forma di vita a razionale
coerenza, liberandola da ogni dogmatismo e da ogni ossequio verso
Autorità che dall’esterno si impongano alla coscienza della persona –
questa stessa “missione” sembra ogni volta venire sopraffatta dalle
gelide passioni della paura, dell’egoismo, dell’avarizia e dell’invidia
quando entriamo in un passaggio d’epoca. È quello che oggi sta
avvenendo, e in tale quadro andrebbe considerata anche la cronaca di
questi giorni. Magari si trattasse soltanto dell’ignorante bullismo di
qualche ministro pro tempore! E tuttavia sembrava più di una speranza
quella su cui l’Europa uscita dalla Guerra aveva iniziato a pensare e a
costruire la propria unità politica. Come avrebbe mai potuto, infatti,
l’Europa imperdonabile, l’Europa che aveva condotto l’intera umanità
alla più immane tragedia della sua storia, dimenticare di nuovo
l’imperativo categorico di federarsi insieme, di essere solidali gli uni
con gli altri, di volere il bene del prossimo nella razionale coscienza
che esso è, alla lunga, anche il nostro? La nuova Europa non poteva non
aver compreso la propria responsabilità: combattere sul nascere ogni
forma di demagogia nazionalista e revanscista, ogni retorica volta a
vedere in altre forme di vita o civiltà minacce o nemici. Cosi si
ragionava. Fu un’illusione? Forse no, ma la sua idea si fondava su due
condizioni venute meno nel tempo. La prima: la memoria ancora viva di
quale mondo avesse portato alla catastrofe mondiale, quali idee, quali
comportamenti collettivi. La seconda: che l’Europa unita praticasse
davvero quei valori di solidarietà, uguaglianza di diritti e accoglienza
che si predicavano nelle cerimonie, negli anniversari delle tragedie,
nei mea culpa sulle origini dei totalitarismi del Novecento. La memoria
della Guerra e delle sue cause vale ormai per i nostri politici come
quella di Cesare nelle Gallie e l’idea stessa di un’Europa politicamente
e culturalmente unita si va dissolvendo sotto i nostri occhi. Resterà
magari l’euro, resterà uno spazio commerciale europeo. Il dominio della
shakespeariana universale bagascia non verrà messo in discussione da
nessuno. Ma sparirà l’Europa. L’Europa cessa di esistere se diviene
indifferente nei confronti del male. L’Europa esce dalla Guerra
cosciente che, se vuole spiritualmente e politicamente rinascere, ha il
dovere di combattere il male in qualsiasi forma esso si manifesti.
Ingiustizia, sofferenza, sopraffazione. Ma il male non è soltanto quello
volontariamente perpetrato. Male è anche quello che eseguiamo obbedendo
a un ordine. Male è anche quello cui ci rendiamo complici perché non
sappiamo ribellarci a chi, cosciente o meno, lo compie. Tuttavia, la sua
forma fondamentale, quella più ardua da riconoscere e combattere,
quella che può dilagare come un’epidemia senza che quasi la si avverta, è
proprio l’anonima indifferenza nei suoi confronti. Banalità del male,
diceva Hannah Arendt. Il male si diffonde alla superficie delle nostre
vite, le imbeve di sé, diviene qualcosa di quotidiano. Non fa più
scandalo. Che vi sia chi soffre atrocemente non è più uno scandalo per
la nostra coscienza. Basta tenerlo lontano, non vederlo, che non anneghi
nei pressi delle nostre spiagge. Non sono questo male, e la nostra
impotenza ad affrontarlo, il problema, ma come ridurne gli effetti sulle
nostre vite, come renderlo, appunto, indifferente per noi. La “cura”
consiste tutta nel rimuoverlo, o nel riuscire a passarci accanto come i
buoni giudei della parabola del samaritano. Da casa, al più, possiamo
sopportare di vederne solo il fumo. Un’Europa in cui si lascia dilagare
l’indifferenza per il male, in cui manca ogni volontà politica di
contrastarne la mascherata violenza, è un’Europa che tradisce il
“giuramento”, non scritto, ma realissimo, che ne aveva unito le nazioni
dopo la Guerra. Ed è un’Europa tragicamente miope sui propri stessi
destini, all’inseguimento di compromessi a brevissimo termine tra i
propri stati e staterelli che si presumono “sovrani”, mentre il mondo si
ricostruisce su equilibri tra grandi spazi imperiali, per i quali quei
“Valori” di cui l’Europa avrebbe dovuto essere operante testimonianza
non contano più neppure nelle retoriche politiche. È un’Europa che dopo
avere per secoli “trasgredito” con ogni mezzo ogni confine e fatto esodo
per tutti i continenti, si richiude in se stessa, si difende da quegli
stessi che mai nella sua storia aveva “lasciato in pace”. Un’Europa che
chiede soltanto di sopravvivere conservando quello stato economico che
le era stato garantito in condizioni geo-politiche del tutto diferenti
dalle attuali e assolutamente irripetibili. Macroscopica contraddizione.
Intanto, nell’impotenza dei nostri pseudo-leader a riconoscerla e
superarla, scarichiamo gli uni sugli altri la responsabilità per il
male, fattosi banale, quotidiana, supericiale notizia. Colpevoli tutti,
tutti innocenti - da sempre il motto delle anime morte.