Mambro, quella brava ragazza. L’ultimo oltraggio a Bologna
Le balle in aula di Fioravanti - 2 agosto ’80
Profondo nero. Fioravanti e Mambro
di Loris Mazzetti
Con
il ritorno sul luogo del delitto dei terroristi Francesca Mambro e
Valerio “Giusva” Fioravanti, il ricordo per non dimenticare della strage
della Stazione di Bologna quest’anno parte da lontano, da quando è
iniziato il processo a Gilberto Cavallini imputato di concorso nella
strage del 2 agosto 1980, per aver dato supporto logistico ai due
esecutori materiali, condannati definitivamente con Luigi Ciavardini per
aver ucciso 85 innocenti e 200 feriti.
Per i famigliari delle
vittime e per i sopravvissuti quel sabato di 38 anni fa, che avrebbe
dovuto rappresentare l’inizio delle vacanze, si è tramutato in un incubo
che li accompagnerà per tutta la vita. La tragedia personale si mescola
ai depistaggi, alle false testimonianze, ai servizi segreti deviati,
alla P2, ai non ricordo e alle tante promesse non mantenute dei vari
Governi: il diritto alla pensione anche a chi ha subito un’invalidità
permanente inferiore all’80 per cento; la mancata digitalizzazione degli
atti che impedisce la ricerca simultanea su tutte le tragedie; la
direttiva del governo Renzi del 2014 sulla declassificazione dei
documenti mai applicata.
Paolo Bolognesi, presidente delle
Associazioni delle vittime ha denunciato che è impensabile che chi in
tutti questi anni ha tenuto nascosto gli atti oggi sia disponibile a
renderli pubblici. I fatti dimostrano che la ricerca della verità annega
nell’oblio.
È con questo spirito che a Bologna si è presentato in
aula Fioravanti, libero cittadino dal 2009, nonostante 8 ergastoli,
dopo 18 anni di detenzione, 6 di semilibertà e 5 anni di libertà
vigilata, che si dovrebbe applicare non solo per buona condotta ma a chi
si ravvede su ciò che ha fatto.
Non mi pare che il duo Mambro e
Fioravanti si sia ravveduto dall’aver messo una valigia con venti
chilogrammi di esplosivo militare nella sala d’aspetto di 2ª Classe
della Stazione di Bologna, quella più frequentata.
Il 13 giugno
scorso la deposizione del Tenente, nome in codice dell’ex bambino
prodigio dello sceneggiato tv La famiglia Benvenuti, ha toccato il
culmine della falsità quando, parlando della moglie, ha affermato che
“nonostante non abbia mai sparato un colpo ha subito 8 ergastoli”. La
mancanza di memoria storica è un gioco che nel nostro paese risale agli
albori della democrazia, non lo si dovrebbe permettere a chi ha mani che
colano sangue innocente.
Il programma tv di Enzo Biagi Linea
diretta ci aiuta a ricordare. Era il 1985 quando il grande giornalista
intervistò Francesca Mambro, allora ventiquattrenne, considerata la
primula nera del terrorismo di estrema destra. Le parole della Mambro
smentiscono quelle del marito. Biagi le chiese se lei si sentiva il capo
o la ragazza del capo. “Mah, visti i risultati, penso il capo, senza
presunzione”. Poi nel corso dell’intervista Biagi arriva al punto:
“…Dove ha trovato il coraggio per uccidere? Lei è accusata di aver
sparato a un uomo che era per terra e che stava morendo, di avergli dato
il colpo di grazia”. “Innanzi tutto, va beh, non è che voglio
difendermi da queste cose perché…”.
Biagi la interrompe: “Lei ha
il diritto anche di difendersi…”. “Cioè non ha senso. Resta il fatto che
noi abbiamo fatto determinate scelte che prevedevano anche lo sparare,
il conflitto a fuoco. Atteggiamenti da sciacallo per quanto riguarda il
mio percorso non ne ho avuti…”.
Biagi insiste: “Quindi questo
episodio…”. Mambro: “Quindi ho sparato, sì ho sparato, ho premuto il
grilletto…”. Sentire in aula da Fioravanti affermare ancora: “Siamo
innocenti!”, per i parenti delle vittime è rivivere la tragedia. Si sa
che il depistaggio della pista palestinese fu strategicamente definito a
partire da marzo 1980, ben cinque mesi prima dell’attentato.
La
killer nera, così era soprannominata Francesca Mambro, che le immagini
di repertorio dei telegiornali ce la mostrano dentro la gabbia,
disinteressata a ciò che accade nell’aula del tribunale, abbracciata al
marito, incuranti delle telecamere, mentre amoreggiano, non rinnega ciò
che ha fatto, anzi rivendica l’uccisione del giudice Mario Amato:
“Rappresentava qualcosa di contrario alla nostra logica”.
Dopo
averlo fatto fuori, lei e i camerati festeggiarono l’impresa con
ostriche e champagne. Quell’incontro colpì molto Biagi, gli procurò lo
stesso disagio che aveva provato con Kappler, Reder e Kesselring.
“L’aspetto e i modi spigolosi, il lucido disprezzo: è forse il
personaggio più sconvolgente che ho incontrato in tanti anni di
mestiere; e c’è dentro di tutto: artisti, ladri, soldati, banditi,
politici, campioni, puttane, quasi sante, grandi signore, mezze
calzette, prelati, grandi truffatori, giocatori di ogni genere. Nessuno
mi ha mai detto: – Non conosco la parola rimorso –, qualche tarlo,
qualche pena, tutti ce l’avevano dentro”.