l’espresso 3.6.18
La Grande Crisi
Qualcosa di irrimediabile è
già avvenuto: la fine del linguaggio proprio del confronto. Siamo
tornati a un pensiero infantile, incapace del linguaggio proprio del
confronto. incapace di discussione pubblica
Al punto di non ritorno
di Massimo Cacciari
Com’è
stato possibile giungere a una crisi istituzionale di queste
proporzioni? C’è stato, certo, chi sul fuoco ha soffiato fino a far
divampare l’incendio, ma c’è stato anche chi l’ha, magari per ignoranza o
incoscienza, appiccato. E chi non è intervenuto in tempo per spegnerlo.
Spiegare questa crisi con i Salvini e i Di Maio è peggio che
ridicolmente semplice, ci impedisce di vederne la natura strutturale: la
catastrofe di un sistema politico incapace da trent’anni di qualsiasi
seria riforma. Prevedere come la situazione potrebbe evolversi è
pressoché impossibile, stante l’irragionevolezza dei comportamenti di
tutti o quasi i protagonisti. Si riformerà la coalizione
Salvini-Berlusconi? Assisteremo, bontà anche del Pd, a una definitiva
svolta a destra dei 5 Stelle e a un asse con la Lega ino a qualche mese
fa impensabile? Come uscirà il Quirinale dallo scontro? Faremo da grande
laboratorio alla prima affermazione di una “destra di massa” in
Occidente dalla fine della Seconda guerra mondiale? E chi dovrebbe
opporvisi saprà frenare i propri impulsi autodistruttivi? Comunque vada a
finire o a iniziare, qualcosa di irrimediabile è già avvenuto. Temo si
sia ormai giunti a un punto di non ritorno. E questo riguarda il
linguaggio stesso della politica, quel linguaggio che è lo strumento
essenziale con il quale possiamo comunicare, intenderci e
fra-intenderci, quel linguaggio che è l’arma fondamentale della
democrazia, poiché essa è tutta pervasa dall’idea che attraverso la
parola ci si possa convincere, che il discorso possa argomentare sulla
realtà delle cose in forme tali da essere più forte di ogni violenza o
prepotenza. Questa crisi minaccia di rappresentare la tomba di ogni
sforzo per rendere quanto più possibile ragionevole e responsabile il
discorso politico. Si tratta di ben altro che della resa incondizionata
alle forme di fumettistica gestualità dei social, che sotto la maschera
della semplicità e trasparenza occultano perfettamente finalità e
fattori della lotta politica. Si tratta, ancora, di un guasto ben più
grave di quello derivante dalla retorica dilagante da decenni su
rottamazioni e nuove repubbliche al canto di «Giovinezza, giovinezza…».
Si tratta dell’affermarsi di una generale forma mentis infantilmente
regressiva, drammatico sintomo di una crescente e generale impotenza
della politica a comprendere e governare i processi economici, sociali e
culturali del nostro mondo fattosi davvero finalmente e compiutamente
Globo. Regressiva è l’idea di “ciascuno padrone a casa propria”. Peccato
che neppure Trump sia padrone a casa sua: la Cina detiene metà del
debito Usa. E non lo è la Cina, dipendente dagli Stati Uniti che
comprano i suoi prodotti. L’idea di un’astratta autonomia, di sovranità
astrattamente “libere”, è propria dei bambini, di coloro che per
crescere debbono in qualche modo fingerla proprio nel momento in cui
massimamente dipendono dagli altri. Conseguente e complementare ad essa è
sempre la rivendicazione della propria innocenza. Le cose non vanno
perché altri ci sfruttano, ci dominano, fanno i padroni in casa nostra.
Reo è sempre l’altro. «Non sono stato io» ad ammassare negli anni questo
debito pubblico o a non riuscire a ridurlo. «Io non c’ero» quando ogni
disegno di riforma falliva. E l’insicurezza che avvertiamo, reale e
profonda, non deriva dal fallimento di ogni politica industriale,
occupazionale etc: no, deriva dallo “straniero che ci invade”. Colpevoli
tutti, fuorché io: questa la regola che si impone in quel che fu il
linguaggio politico. E chi semina vento raccoglie tempesta - vero Renzi?
Ma l’aspetto più regressivo che si va imponendo sulla scena politica
nostrana (e non solo, purtroppo) riguarda l’idea stessa di democrazia.
Ridotta a idolatrico culto della maggioranza. “Contata” la maggioranza
tutto è fatto. I bambini non sanno che le democrazie sono tanto più
forti quanto più le maggioranze politiche sono bilanciate da funzioni e
poteri autonomi e forti. La democrazia è il regime in cui la maggioranza
ha la responsabilità di decidere, ma nel pieno riconoscimento della
rappresentatività e dell’imprescindibile ruolo delle stesse minoranze.
Una maggioranza che ama il “plausus armorum” degli eserciti romani, non è
una maggioranza democratica. La maggioranza non diventa il popolo tutto
in lotta contro privilegi e palazzi, vindice sovrano dei crimini
commessi da minoranze privilegiate. Questo è lo schema che in altre
epoche avrebbe portato diritto a soluzioni autoritarie. Il Terzo Stato è
tutto - dicevano i rivoluzionari del 1789; il voto altro non fa che
mostrare quella che è la volontà generale; una volta che nel voto essa
si sia manifestata, tutti devono farla propria! La voce della
maggioranza esprime “il vero Io” di ciascuno. Rousseau docet, direbbero
Casaleggio e Associati. E invece no, amici: questo è il rovesciamento
parodistico del vostro preteso maestro. Consiglio in proposito la
lettura di un aureo libretto uscito nel 1927, scritto da un antifascista
vero, Edoardo Ruini, e ancora disponibile nella ripubblicazione di
Adelphi. Si intitola “Il principio maggioritario”. Si capisce come
Rousseau pensasse a un cittadino che partecipa consapevole e informato
alle assemblee che deliberano, a un cittadino che ha potuto formare un
proprio pensiero critico nella discussione pubblica. Non all’iscritto a
“piattaforme” controllate non si sa da chi e non si sa come. Il
“citoyen” rousseauiano si è trasformato con l’ideologia 5 Stelle nel più
perfetto individuo “bourgeois”, in un navigante solitario in un oceano
di chiacchiere, slogan, opinioni, promesse. Perfetta educazione a quei
sentimenti di frustrazione, invidia, risentimento che distruggono non
solo la democrazia, ma la possibilità stessa di formare una comunità. Ma
questo non riguarda soltanto tali miseri, pretesi rousseauiani;
l’interpretazione delirante del principio di maggioranza ha riguardato,
seppure in forme diverse, tutti gli attori degli ultimi trent’anni di
storia patria. I guasti provocati dal regressivo infantilismo del
linguaggio politico sono ovunque presenti e hanno ferito a morte le
forme della comunicazione e del dialogo tra le forze in campo. E ci
vorrà tutta l’intelligenza delle prossime generazioni per cercare di
guarirne.