l’espresso 17.6.18
Libro
Quella libertà che fa paura
Carlo Levi indaga il sentimento che ha generato il fascismo
Di Mario Fortunato
È
veramente una sorpresa leggere oggi “Paura della libertà” (Neri Pozza,
pp. 154, € 15) di Carlo Levi (1902-1975), “poema filosofico”, secondo il
suo stesso autore, scritto fra il 1939 e il 1940 nel nord ovest della
Francia, a La Baule - mentre l’Europa cominciava quell’esercizio di
autoannientamento definito Seconda guerra mondiale – ma pubblicato solo
nel 1946, all’indomani del grande successo di “Cristo si è fermato a
Eboli”. La riscoperta del testo (mai più ristampato come autonomo dal
1964) si deve a Giorgio Agamben che firma un’introduzione di poche e
limpide pagine, in cui racconta fra l’altro come a suo tempo il libro
sia stato malinteso o forse semplicemente non capito dall’intellighenzia
comunista a cui pure Levi fu legato soprattutto negli anni Sessanta. In
effetti, già nel suo tono direi sapienziale, nella scrittura misteriosa
e avvolgente, Levi sembra provenire da un altro pianeta, rispetto al
dibattito italiano delle idee nell’immediato dopoguerra. Né Gobetti né
Gramsci sembrano presiedere a queste pagine, ma casomai (è un
suggerimento di Agamben) Mauss e Durkheim. Levi individua nella “paura
della libertà” – cioè nel segreto ma essenziale desiderio di schiavitù,
che si annida nelle masse soprattutto metropolitane del XX secolo – il
sentimento che ha dato luogo al fascismo (oggi, con la crisi del modello
della democrazia rappresentativa, siamo a un passo dal medesimo clima
emotivo). Per analizzare tale paura, lo scrittore si cala nei centri
nervosi da cui il suddetto sentimento origina, trasformandosi in
sistema: l’opposizione tra il sacro e il religioso, l’analisi dello
Stato come idolo sociale, il ruolo della guerra quale nucleo originale
della massa moderna, il linguaggio e la funzione dell’arte, l’idea della
morte. Allo Stato-idolo, Levi contrappone lo “stato di libertà”: che
corrisponde a una sostanziale fuoriuscita dal modello di sviluppo
capitalistico che, secondo lui, non può che perpetuare «l’eterno
fascismo italiano». La sua è una proposta di “libertà nelle passioni”,
che mi pare oggi di un’attualità politica davvero, ma davvero
sorprendente.