l’espresso 17.6.18
Solidarietà. Sinistra. E “diritto di avere diritti”.
L’eredità di un maestro a un anno dalla scomparsa Quanto manca il militante Rodotà
di Luigi Manconi
Accade
raramente che un “militante politico” (definizione che, pensiamo, non
sarebbe dispiaciuta a Stefano Rodotà) attraversi la vita pubblica, e
spesso da protagonista, sapendo combinare insieme con tanta efficacia
conflitti politico-istituzionali ed elaborazione teorica e scientifica.
Così la sua biografia intellettuale accompagna un percorso di conquiste
sul piano delle libertà civili e, al tempo stesso, di intuizioni su
quello delle nuove generazioni dei diritti. È utile, pertanto, partire
da una citazione che gli era cara e che ispira il titolo di uno dei suoi
libri più importanti. «Il diritto ad avere diritti, o il diritto di
ogni individuo ad appartenere all’umanità, dovrebbe essere garantito
dall’umanità stessa»: con queste parole di Hannah Arendt si apriva
qualche anno fa “Il diritto di avere diritti” (Laterza, 2012). A chi sia
negato il diritto di avere diritti, è negata la stessa appartenenza
alla condizione umana, ci dicono Arendt e Rodotà, il primo, fondamentale
diritto dell’homo dignus. L’homo dignus è la nuova manifestazione della
personalità umana nel costituzionalismo dei diritti di cui scriveva
Rodotà: l’eguale dignità di ciascuno supera l’astrazione del vecchio
individualismo liberale e riscopre la centralità della concreta
esperienza della persona umana a partire dal suo corpo e dai suoi
bisogni. Una nuova morfologia è la chiave interpretativa con cui Stefano
Rodotà ci guida per le strade più impervie: la corporeità fisica o
elettronica è il centro di attrazione di vecchi e nuovi diritti così
come il corpo è il luogo della differenza delle persone e dei loro
bisogni, tutte e tutti meritevoli di riconoscimento e di garanzia. Per
chi ha fatto della lotta per i diritti la ragione del proprio impegno,
Stefano Rodotà - scomparso il 23 giugno di un anno fa - è stato un
maestro e un compagno di strada irrinunciabile, dalle battaglie per le
libertà civili degli anni Settanta alle nuove frontiere dell’identità
digitale e del post-umano, senza dimenticare l’impegno garantista che lo
vide in prima fila nella promozione di “Antigone”, il bimestrale di
critica dell’emergenza pubblicato da il manifesto alla metà degli anni
Ottanta. “Il diritto di avere diritti” si apre con una riflessione sul
“mondo nuovo dei diritti”. Rodotà, sulla scia di Bobbio, aveva
interpretato la fine del Novecento come una finestra di possibilità per
una età dei diritti. Già nel suo “Repertorio di fine secolo” (Laterza,
1992) si trovano i temi dei vent’anni successivi: un’agenda per una
sinistra profondamente rinnovata, dalle nuove frontiere della democrazia
al pluralismo culturale, una inedita concezione della privacy nell’era
digitale e le problematiche del bio-diritto. Nel frattempo ulteriori
sviluppi maturano in vecchi filoni di ricerca. Come quello sul
«terribile, forse non necessario» diritto di proprietà (definizione di
Beccaria), cui aveva dedicato una raccolta fondamentale di studi (“Il
terribile diritto”, appunto) all’inizio del suo percorso di ricerca.
Ricerca che gli consentirà, un quarto di secolo dopo, di elaborare una
proposta di riconoscimento giuridico dei “beni comuni”. O, infine,
l’approdo al “Diritto d’amore” (Laterza, 2015) di una antica critica
dell’uso coattivo del diritto nelle relazioni familiari, critica che in
Rodotà si rovescia in opportunità di riconoscimento della libera scelta
di convivenza di coppie dello stesso sesso o di sesso opposto. Ecco, se
volessimo definire il lascito di Rodotà per il proseguimento delle
battaglie di libertà a cui ci ha introdotto o in cui ci ha accompagnato,
innanzitutto si dovrebbe dire questo: se il diritto è un’arma a doppio
taglio, ci sarà pure un verso da cui prenderla per ottenere più garanzie
e più libertà. Dunque, la critica del diritto esistente, se non vuole
essere messianica attesa di una rivoluzione improbabile e (spesso)
liberticida, deve essere il fondamento di un diritto possibile, già oggi
ricavabile con una lettura rigorosa dei principi e dei valori cui si
ispirano la carta costituzionale e il diritto internazionale. Si pensi,
per esempio, a quella lettura rigorosa dell’articolo 32 della
Costituzione, che ha consentito di dar pace a Eluana Englaro e ai suoi
familiari. È ancora la citazione di Hannah Arendt a ricordarcelo: la
prospettiva dell’homo dignus è l’umanità dei diritti e dunque il loro
universalismo, senza barriere né confini. Non a caso, dai suoi primi
studi sulla proprietà fino a uno dei suoi ultimi libri, parola chiave
nella lingua di Rodotà è la solidarietà: quel che ci tiene insieme,
ognuno con la propria differenza, ognuno con la propria dignità. E lo
spazio della umanità dei diritti non può essere rinchiuso nelle piccole
patrie, non solo per i conflitti identitari che esse inevitabilmente
generano tra chi vi appartiene e chi no, ma anche per la realistica
considerazione che nel mondo globale, diritti e solidarietà si muovono
in una dimensione globale. Non a caso, Rodotà resterà fino alla fine
legato alla sua idea di un’Europa dei diritti, quella della Carta che
contribuì a scrivere: un’Europa come attore istituzionale sovranazionale
all’altezza della sida dei diritti umani nell’epoca della
globalizzazione e dei grandi poteri privati su scala mondiale. Infine
c’è l’agenda: i beni comuni, il diritto al cibo e alla conoscenza; il
diritto all’esistenza, anche attraverso il riconoscimento universale di
un diritto al reddito; l’autodeterminazione nelle scelte procreative e
in quelle sulla propria vita; la tutela della riservatezza e della
identità digitale e l’uso della rete per il rafforzamento della
partecipazione democratica alle scelte di convivenza. Ciascuna di esse,
ovviamente, aprirebbe uno spazio infinito di riflessioni e di
iniziative, ben oltre le caricature che ne vengono date in alcune
versioni politiche correnti. E ciascuna di esse, d’altra parte, consente
di trascrivere ogni capitolo dell’elaborazione teorica di un
intellettuale così curioso e innovativo, in uno specifico passaggio
della storia italiana dell’ultimo mezzo secolo. Si pensi a un testo (del
1974!) dal titolo “Elaborazione elettronica e controllo sociale” (era
l’epoca in cui i computer si chiamavano processori o calcolatori) che
dice bene quale fosse la capacità di analisi di Rodotà delle
trasformazioni in atto, in quasi alla preveggenza. Così, ogni tappa
della sua elaborazione coincide, quando non anticipa, la sequenza delle
mobilitazioni della società italiana intorno a cruciali battaglie di
libertà. Rodotà, insieme ai radicali e a una parte della sinistra ancora
riottosa, è lì, a battersi per il divorzio, l’interruzione volontaria
di gravidanza, le garanzie nel processo e nell’esecuzione penale (ovvero
quel garantismo che deve a lui e a Luigi Ferrajoli le poche espressioni
di limpidezza politica e intellettuale conosciute in Italia), fino alla
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e alla Dichiarazione
dei diritti in Internet. E si pensi a una questione tanto circoscritta e
altrettanto ignorata quanto simbolicamente dirompente come il
riconoscimento anagraico della condizione transgender. Insomma, il
pensiero di questo studioso così intellettualmente irrequieto ha
contribuito più di tante manifestazioni collettive e di tante parole
parlamentari a fare dell’Italia un paese più civile.