La Stampa TuttoLibri 9.6.18
Mettiti nudo davanti a Omero: solo così puoi capire gli eroi greci
di Andrea Marcolongo
Mi
sono immerso nell’Iliade e nell’Odissea come nelle acque impetuose di
una cascata. Ho respirato per mesi al ritmo dei versi omerici, nelle mie
orecchie ne risuonava la musica, battaglie e navi in procinto di levare
le ancore affollavano i miei sogni». È con una prosa che sembra poesia
che inizia il racconto dell’Estate con Omero di Sylvain Tesson. Da
sempre lo scrittore parigino non riesce a scrivere se prima non ha
vissuto: abbandonate le foreste siberiane che l’hanno reso celebre, per
questo libro Tesson si è segregato un mese nelle Cicladi abitando in una
piccionaia sferzata dal vento sull’isola di Tinos. Accanto Iliade e
Odissea, con l’intento di «abbattere la distanza tra la carne del
lettore e l’astrazione del testo».
Ho studiato a lungo la
letteratura e la lingua greca, ne ho scritto anche dei libri -da
Virgilio a Marcel Conche, da Racine a Shelley e Nietzsche, non sono
stata certo la prima né sarò l’ultima. Tuttavia, mai avevo visto un uomo
nudo come Tesson di fronte a Omero: nel suo spogliarsi completamente da
ogni sovrastruttura, pregiudizio, polvere accademica o dibattito,
Tesson risulta eroico, dunque umano, nel suo libro tanto quanto Achille,
Ettore, Ulisse e gli altri eroi di cui scrive. Non ha alcuna paura
«dell’Himalaya di glosse» che da millenni sembrano assediare l’antico
fino a farlo sembrare un prodotto di nicchia (oggi stranamente molto
trendy, ma funzionale solo a fare italici processi al liceo classico).
Lo scrittore è, semplicemente, un essere umano che osa mandare al
diavolo (espressioni gustose non mancano, a partire da «sciocchezze, Dei
dell’Olimpo!») i canti delle Sirene 2.0 che predicano scienza,
progresso e perfezione, convinto che i poemi omerici siano
immarcescibili perché l’uomo è sempre lo stesso: «ugualmente miserabile o
grandioso, mediocre o sublime, sia che indossi l’elmo sulla piana di
Troia o che aspetti il bus sul marciapiede di una città del Ventunesimo
secolo».
Nella sua Estate con Omero, Tesson non si fa mancare
nulla, a partire dal chiedersi chi fosse in realtà Omero. E non può fare
a meno di notare come risulti perfettamente consona alla nostra epoca
di rivendicazione dell’ego e di scrittori di storie su Instagram la
tentazione di accanirsi per scoprire chi sia stato l’ideatore del più
grande bestseller della storia (dopo la Bibbia). Le risposte alla
secolare «questione omerica» sono sempre le stesse: sorride divertito,
Tesson, e con l’Iliade tra le mani se ne disinteressa subito. E ancora
di più ride di chi si è ostinato a ricostruire la geografia di Omero,
atemporale perché topos per definizione. È davvero necessario, come è
accaduto di recente, avventurarsi con un’imbarcazione costruita come
quelle di epoca greca utilizzando solo le tecniche di navigazione
antiche per bearsi dell’universo geo-poetico del viaggio di Ulisse? Il
Vangelo ha raggiunto gli inuit come i Palestinesi, commenta, e non
servono le coordinate GPS della foresta di Shakespeare per affezionarsi a
Puck.
La luce, quella sì che è necessaria. «Iliade e Odissea
sfavillano di fotoni», scrive Tesson, proprio come Jacqueline de Romilly
sosteneva che la bellezza della lingua greca si celi nella luminosità
del paesaggio. I Greci hanno sempre venerato la luce e la sciagura più
funesta era diventare un’ombra, nebbia che cala sulla gloria e
soprattutto l’oblio da se stessi. Il tradimento della propria misura. In
quel soffio della vita compreso tra nascita e morte, l’eroismo più
grande era dato dal fare qualcosa che lasciasse il segno, soprattutto
dentro di sé. Anche Hanna Arendt scrisse di questa concezione tutta
greca in cui il futuro non importava -«ma se un eroe greco giungesse sul
proprio carro in una delle nostre città, oggi verrebbe immediatamente
arrestato», commenta ironico Tesson.
No, non insegna nulla
Un’estate con Omero -e per fortuna, visto che in Italia ogni testo che
parli di classico viene accusato di non essere un manuale che ci rende
tutti grecisti ad honorem e non come letteratura che stimola la
curiosità per la vita, la prima dote dell’eroe. Ci libera, invece, nella
convinzione che non servano chissà quali studi specialistici per
«lustrarci lo spirito» con la melodia di questi antichi canti. E
aggiunge, Tesson, un consiglio dadaista: rimandiamo i piatti da lavare,
spegniamo il cellulare e apriamo Iliade e Odissea sotto l’ombrellone, in
un’estate con i Greci come è stata la sua, per lasciare entrare in noi
versi immortali, scintillanti come una calanca, capaci di svelarci
l’enigma del domani e di chi ancora non siamo diventati.