il manifesto 10.6.18
Quel che li divise fu il ruolo dell’Altro
Lettere.
Maestro e allievo si incontrano sulla compenetrazione di vita e
filosofia, contro la distaccata scientificità di Husserl: Il «Carteggio
1919-1973», da Ets
La biblioteca di Friburgo
di Stefano Petrucciani
In
filosofia, e più in generale nell’accademia, i rapporti tra maestro e
discepolo sono sempre complicati. Tanto più quando il maestro, come nel
caso di Heidegger, finisce per aderire convintamente al nazismo, mentre
l’allievo (l’ebreo Löwith) è costretto all’esilio. Il Carteggio
1919-1973 (Ets, pp. 264, euro 24, 00) tra i due filosofi che ora viene
pubblicato in italiano a cura di Alfred Denker e Giovanni Tidona, autore
anche di una ben documentata introduzione, consente di ripercorrere
nelle sue diverse fasi la relazione tra questi due intellettuali
certamente diversi per statura ma fondamentali entrambi per chi voglia
riflettere sul paesaggio filosofico del Novecento, sui suoi luoghi
cruciali e le sue contraddizioni.
Non molti anni dividono Löwith e
Heidegger: il primo nacque a Monaco nel 1897; il secondo a Messkirch
nel 1889. Si incontrano a Friburgo, l’ateneo dove brillava, all’inizio
degli anni Venti, la stella filosofica di Edmund Husserl, il maestro
della fenomenologia del quale Heidegger fu allievo ma da cui, già
all’inizio degli anni Venti, prendeva decisamente le distanze, come si
legge per esempio nel suo corso del 1923-24 appena tradotto in italiano,
intitolato Introduzione all’indagine fenomenologica (a cura di Matteo
Pietropaoli, Bompiani, pp. 704, 35,00).
La fascinazione degli anni Venti
Anche
Karl Löwith aveva raggiunto Friburgo per seguire l’insegnamento di
Husserl, e anche lui ne fu presto deluso e si accostò al molto più
affascinante verbo heideggeriano. Questa fase della formazione di Löwith
è ampiamente documentata nella lettere che egli indirizza a Heidegger
all’inizio degli anni Venti, la parte più ricca e cospicua del
carteggio. Leggiamo per esempio quello che il giovane scrive in una
missiva del 26 febbraio 1921: «Oggi mi è del tutto chiaro che Husserl
nel profondo non è un grande filosofo, che metterlo sullo stesso piano
di Kant non può che essere un enorme errore e che la sua intera
impostazione è infinitamente lontana della realtà, tutt’altro che vitale
e al contrario irrigidita nella sua dotta logica. (…) Preferisco un
netto e unilaterale rifiuto, piuttosto che portarmi appresso questa
fatale zavorra. Non ho bisogno di dirle, invece, cosa percepisco in Lei
di estremamente positivo».
In sostanza, quella di Husserl appare a
Löwith come un filosofia sterile, lontana dalle brucianti problematiche
dell’esistenza e della storia; proprio ciò che, invece, il giovane trova
nell’oscuro, affascinante e profondo Heidegger. Nella sua autobiografia
scritta molti anni dopo, nel 1940, e titolata La mia vita in Germania
prima e dopo il 1933 (Il Saggiatore, 1988) Löwith ricorderà, con accenti
assai critici, questo suo giovanile incontro con l’autore di Essere e
tempo: pur riconoscendo in Heidegger il suo vero maestro, e colui al
quale è debitore di tutto il suo sviluppo spirituale, Löwith ne traccia
un ritratto al vetriolo. Come Fichte, scrive, anche Heidegger era «solo
per metà un uomo di scienza; per l’altra metà, forse la maggiore, aveva
la natura dell’oppositore e del predicatore, che sapeva affascinare per
quel suo mettersi in urto col mondo, spinto dall’indignazione verso il
proprio tempo e verso se stesso».
In Heidegger, insomma, la
filosofia, colorandosi anche di forti accenti teologici, si sposava con
il rifiuto del tempo presente e del pensare accademico; entrava nel vivo
dell’esistenza e della soggettività, esercitando già una notevole
attrazione sui giovani, che sarebbe divenuta vera e propria moda dopo la
pubblicazione nel 1927 del capolavoro del primo Heidegger, Essere e
tempo. Come sottolinea giustamente Tidona nell’introduzione, la
compenetrazione di vita e filosofia è proprio il terreno sul quale
Löwith e Heidegger si intendono e si incontrano nei primi anni Venti.
Contro la distaccata scientificità husserliana questo è il pathos che li
accomuna. Come si legge in una lettera heideggeriana del febbraio 1921,
«la filosofia non è un passatempo; per essa si può andare in rovina,
chi non si assume questo rischio non arriverà mai a lambirla».
Proprio
nella interpretazione dell’esistenza, però, il trentenne Löwith
comincia a prendere le distanze dal maestro. Sotto la guida di
Heidegger, infatti, egli lavora alla sua tesi per la libera docenza, che
viene completata nel 1927 e pubblicata nel 1928 col titolo L’individuo
nel ruolo dell’altro. Un contributo alla fondazione antropologica dei
problemi etici. L’altro di cui Löwith si occupa nel suo libro è indicato
in tedesco con la parola Mit-Mensch, che si potrebbe tradurre
letteralmente come Con-Uomo. Il tema insomma è quello del rapporto tra
io e tu, tra l’individuo e l’altro con cui si è sempre in relazione.
Pubblicata proprio a ridosso dell’uscita di Essere e tempo, la tesi di
Löwith costituisce in realtà un attacco piuttosto deciso alla
prospettiva che il maestro aveva sistematizzato nell’opera del 1927. In
buona sostanza, infatti, l’analisi heideggeriana dell’esistere era
incentrata sulla ricerca di una autenticità che si definiva soprattutto
attraverso il rapporto con se stessi, e dove dunque la relazione con
l’altro (e le dimensioni etiche in essa contenute) risultavano alla fine
marginali. Löwith invece le metteva al centro.
La presa di distanza
avveniva in forme estremamente moderate ma era, cionondimeno, assai
radicale. Per essere obiettivamente aderenti allo svolgimento dei fatti,
va detto a onore di Heidegger che in questa occasione si mostrò molto
liberale, esortando l’allievo a non preoccuparsi se si andava
allontanando teoricamente da lui (forse perché si sentiva così in alto
che la cosa lo lasciava piuttosto freddino). «Mi è del tutto
indifferente se si segua o no Essere e tempo», scriveva. All’epoca, una
simile liberalità era piuttosto rara nell’accademia. Continuava infatti
il maestro: «trovi uno solo tra i bonzi regnanti che avrebbe accettato
di abilitare un allievo con un tale lavoro criticamente avverso! Non me
lo attribuisco come merito…».
Tutto precipita nel ’33
Sta di fatto
comunque che, dopo il conseguimento della libera docenza, quando Löwith
cominciò a insegnare, i rapporti tra i due si allentarono, anche se non
mancarono, da parte di Heidegger, espressioni di apprezzamento, come
quelle riferite nel 1932 al saggio di Löwith, effettivamente molto
bello, dedicato al confronto tra Marx e Weber. Ma nel 1933 tutto
precipitò: Heidegger aderì al nazismo e assunse, pronunciando un famoso
discorso, la carica di rettore dell’Università di Friburgo. L’ebreo
Löwith fu costretto all’esilio: prima, dal 1934, a Roma; e
successivamente in Giappone e negli Stati Uniti.