La Stampa TuttoLibri 16.6.18
Ai tempi della fisica quantistica che bisogno c’è di un Assoluto?
Per
la prima volta in italiano il testo sul “determinismo” che Kojève
scrisse negli Anni 30 un geniale tuffo ermeneutico nell’universo
paradossale teorizzato dalla scienza moderna
di Marco Filoni
Il
destino dei filosofi è spesso segnato: studio, libri, una pensosa
solitudine. Vite di un’umile classicità conferita dal tempo. E poi ci
sono le illustri eccezioni: esistenze svolazzanti e sinuose, sottratte
dal dominio del normale. Come nel caso di Alexandre Kojève. La sua fu
una vita in quattro atti. Il primo, a Mosca, dove era nato nel 1902 da
una ricca famiglia di commercianti (era nipote del pittore Kandinskji), e
da dove fuggì dopo la Rivoluzione bolscevica perché altrimenti sarebbe
stato fucilato almeno tre volte – e ci andò vicino, a soli quindici
anni, sorpreso a vendere bigiotteria al mercato nero: rischiava il
plotone d’esecuzione, ma fu liberato dopo una notte in cella soltanto
perché lo zio era il medico personale di Lenin. Secondo atto: la
Germania, dove studiò a Berlino e a Heidelberg, addottorandosi con Karl
Jaspers. Poi Parigi, il terzo atto: qui negli anni Trenta diede una
lettura vertiginosamente faziosa – e altrettanto geniale – di Hegel,
salendo sul trono di «maestro» per un’intera generazione di
intellettuali (da Queneau a Bataille, da Lacan a Raymond Aron, e poi
Merleau-Ponty, Roger Caillois, Henry Corbin, Hannah Arendt e molti altri
ancora). Infine l’atto finale: dopo la guerra, quando tutti si
aspettavano di vederlo tornare in cattedra, lui con nonchalance andò a
fare l’alto funzionario del Ministero per gli Affari Esteri francese,
dove passò felicemente gli ultimi vent’anni della sua vita fra l’élite
della diplomazia mondiale e dell’alta finanza – che, secondo lui,
avevano sostituito la vecchia aristocrazia.
Eppure non abbandonò
mai lo studio e scrisse un’impressionante quantità di opere rimaste
perlopiù inedite. Fra queste ve ne è una, scritta in Francia nel 1932,
che vede finalmente la luce in italiano grazie all’editore Adelphi. Si
intitola L’idea di determinismo nella fisica classica e nella fisica
moderna (traduzione di Sofia Moreno), ed è curata da Mauro Sellitto che
firma un’interessante e precisa postfazione. Il tema è decisamente
insolito per un filosofo «classico», ma quando si tratta di Kojève non
ci si dovrebbe stupire di nulla.
Chissà se Einstein quando
affermava che «l’intera scienza non è che un affinamento del pensiero
quotidiano» aveva coscienza che, all’epoca, fosse vero anche il
contrario. Ecco infatti Kojève, nell’aprile del ’29, assistere alla
conferenza di Enrico Fermi dedicata alla teoria dei quanti, e poi
annotare nei suoi quaderni di appunti: il mio tema. Da qui nascono
queste pagine: Kojève si confronta con la questione del determinismo –
banalizzando: l’idea sottesa che l’accadere degli eventi non sia
semplicemente accidentale – tornata vigorosamente al centro della
discussione con la teoria dei quanti. Ha ragione Sellitto quando scrive
che il libro ci offre l’opportunità di vedere all’opera una delle menti
più brillanti del Novecento alle prese con la meccanica quantistica –
considerando, inoltre, che molte delle interpretazioni di oggi traggono
origine proprio da quel dibattito e che, nonostante sia passato circa un
secolo, i problemi sono rimasti fondamentalmente immutati.
Prendiamo
ancora Einstein: per lui la meccanica quantistica era filosoficamente
inaccettabile. Pur avendo contribuito alla sua nascita, la criticò dal
punto di vista concettuale: era inconcepibile che una teoria fisica
potesse essere valida e completa pur descrivendo una realtà in cui
esistono mere probabilità di osservazione. Seguendo l’autorevole
dichiarazione di Henri Poincaré, insomma, la scienza «era determinista o
non era affatto».
Kojève non è d’accordo. Il filosofo intravede
una nuova idea di determinismo nata con le scoperte della teoria dei
quanti, e cerca di dimostrare che non vi sono «ragioni filosofiche a
priori che possano obbligarci a rigettare o accettare queste nuove
teorie». Per questo critica l’idea classica di determinismo, poiché
l’ipotesi dei quanti dimostra l’inaccettabilità del postulato di
universalità e di verificabilità sperimentale della causalità classica,
che fino ad allora permetteva previsioni esatte sempre più numerose
rispetto ai fenomeni reali e fisici.
Kojève è fra i primi
pensatori a comprendere la portata delle mutazioni che le scoperte di
allora implicavano sulle nozioni di fenomeno, oggetto, esperienza,
conoscenza. E lo fa con una radicale messa in questione del determinismo
causale esatto, riassunto nel celebre passaggio di Laplace nel quale è
evocata l’idea di un osservatore universale onnisciente. Secondo il
filosofo, la teoria dei quanti conduce necessariamente a una concezione
indeterminista del reale: viene quindi a cadere l’esigenza di un
Assoluto che abbia una funzione nel mondo reale. E aggiunge, quasi a
margine, che la nuova fisica moderna implica un ateismo di fondo. Come a
dire: se c’è chi cercava la fisica di Dio, io Kojève con questo testo
ho scovato la fisica dell’ateismo.