La Stampa 6.6.18
Nella Slovenia a profughi zero dov’è nato il patto dei sovranisti
di Niccolò Zancan
Viaggio
nella Slovenia dove trionfa il fronte xenofobo. Domenica l’ex premier
Jansa ha vinto le elezioni grazie anche alla «benedizione» del leader
ungherese Orban.
Il castello medioevale. I campi di
luppolo. I vitigni del riesling. E poi, su tutte le cose, questo
silenzio impressionante: cinguettio di passeri e silenzio.
Il
patto dei sovranisti è stato siglato qui. Dentro il piccolo palazzetto
dello sport con le sedie blu e le bandiere gialle. La sera dell’11
maggio, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha voluto benedire
personalmente il candidato premier sloveno Janez Janša. È andato sul
palco: «Signori e signore, se l’Europa si arrenderà all’immigrazione di
massa, il nostro stesso continente andrà perduto. Cari amici, il 2015 è
stato solo il precursore di quello che presto seguirà. Decine di milioni
di migranti vogliono partire dall’Africa verso l’Europa. E dobbiamo
capire che continueranno a venire finché l’Europa non proteggerà i suoi
confini, e fintantoché continueremo ad invitarli. Se non concentriamo la
nostra attenzione su questo problema, potremmo perdere i nostri Paesi, e
le nostre stesse terre potrebbero finire in mani straniere».
Tre
giorni fa, il candidato premier Janez Janša ha vinto le elezioni con il
Partito Demoratico sloveno: 23% a Lubiana, 25% a Maribor. Ma qui a
Celje, nelle regione della Bassa Stiria, nel silenzio delle campagne, ha
preso il massimo dei voti: 29%. La benedizione di Orban ha dato i suoi
frutti. «Io c’ero» dice il signor Bostian Novak, seduto ai tavolini del
bar Cannon One. È un meccanico in pensione di 71 anni, borsello alla
vita, cappellino da baseball nero: «Sono felice della vittoria di Janša
perché sono d’accordo con Orban. Dobbiamo difenderci dai migranti.
Costano troppi soldi, più di quelli che prendo io di pensione. Vogliono
rubare il lavoro ai nostri figli e sostituire il nostro modo di vivere».
Non
è stata soltanto una comunione, per così dire, politica. Un giornalista
del settimanale Mladina ha scoperto che diversi imprenditori ungheresi,
molto vicini a Orban, hanno finanziato i media di proprietà di Janša.
Ora ci sono capitali ungheresi nelle società che controllano Nova24TV,
il quotidiano Demokracija e un portale web. Persino la foto usata da
Janša per il suo manifesto elettorale è stata copiata di sana pianta da
quella di Orban. È la stessa foto che rappresenta un’orda di barbari che
preme ai confini.
Qui a Celje non è mai passato un migrante.
Questa cittadina non era sulla strada del grande esodo. Nell’estate del
2015, quando più di un milione di profughi percorse la rotta balcanica,
in Slovenia chiesero di fermarsi in tutto 380 persone. A tanto ammontano
le richieste di asilo politico. Oggi, hanno varcato la frontiera in
due. È la media. Dall’inizio dell’anno sono passati 1200 migranti. E
senza la minima intenzione di fermarsi. A questa contabilità, vanno
aggiunti i cinque ragazzi morti annegati nel fiume Kolpa, al confine con
la Croazia, nell’unico tratto dove la rete metallica è più bassa e
senza filo spinato.
Janez Janša ha 59 anni. È stato in carcere per
corruzione, le accuse contro di lui sono cadute in secondo grado per
prescrizione. Tutti lo conoscono. È già stato primo ministro due volte.
Mai mai con questa linea politica incentrata sulla paura dell’invasione.
Non è ancora detto che riuscirà a trovare la maggioranza per governare.
Ma è a lui che il presidente sloveno, Boruth Pahor, sta per affidare
l’incarico.
C’è quindi, da Ovest verso Est, come una specie di
nuovo ritratto di famiglia: Matteo Salvini, Janez Janša, Viktor Orban.
Il corridoio d’Europa che rinnega l’idea stessa dell’Unione. Oltre ai
temi della campagna elettorale, i tre condividono anche lo stesso
segreto. Prima di diventare maestri di sovranismo, erano agli antipodi.
Salvini nella Lega del federalismo e di «Roma ladrona», Orban dissidente
liberale, Janša comunista: famoso per aver partecipato alla Primavera
di Lubiana del 1988.
«Il successo elettorale di Janša è qualcosa
che non riesco a spiegarmi» dice Anze Jevsenak manager dell’Hotel
Europa. «Usa la parola democratico, ma lui non lo è», dice la
studentessa Ina Pondkoritnik. E aggiunge: «Ma il peggio, a pensarci
bene, è che non è stato neppure il primo a pensare di costruire un muro
al nostro confine». Già, è stato il governo uscente di centrosinistra ad
alzare 170 chilometri di reti metalliche e filo spinato intorno a tutta
la Slovenia. Ora Janša promette di rafforzare i controlli. E annuncia
di essere pronto a riaprire il centro di detenzione per migranti di
Šenptij chiuso dal 2015.
A Celje la vita procede ordinatamente.
Alle sei di sera scoppia un temporale. I camerieri ritirano i tavolini
dei bar del centro storico. Non si vede un migrante nemmeno a cercarlo
con il lanternino. Smette di tuonare. Di nuovo silenzio. Piazza Krekov è
lucida di pioggia, al centro c’è la statua in memoria di Alma Karlin.
Ha una valigia in mano. Partendo da qui, negli Anni Venti ha girato il
mondo intero. Conosceva dodici lingue. La Cina. L’Australia. Le
Americhe. Il suo scritto più famoso si intitola: «Odissea di una donna
solitaria».