La Stampa 6.6.18
Sovranismo, muri e il flirt con la Russia
L’Ungheria di Orban che piace a Salvini
di Monica Perosino
Dopo
otto anni di potere ininterrotto la «visione» di Viktor Orban ha dato
prova definitiva di aver travalicato i confini della sua Ungheria.
Definito un «eroe» dall’ex stratega di Trump, Steve Bannon, chiamato
«dittatore» dal presidente della Commissione Ue Juncker, la sua politica
sovranista «fondata sui valori cristiani» non è più un modello solo per
l’alleata Polonia. Traino e ispirazione dei Paesi Visegrad,
l’ammirazione per la sua «democrazia illiberale» ha contagiato Austria,
Slovenia e Italia.
All’indomani del plebiscito elettorale di
aprile, che ha consegnato nelle mani di Orban il suo terzo mandato
consecutivo (il quarto in assoluto), era stato Matteo Salvini tra i
primi a congratularsi, assieme alla leader del Front National Marine Le
Pen. Il neo ministro dell’Interno aveva festeggiato la vittoria con un
post su Facebook: «L’Ungheria ha votato con il cuore e con la testa,
ignorando le minacce di Bruxelles e i miliardi di Soros. Buon lavoro
presidente Orban, spero di incontrarla presto da presidente del
Consiglio italiano».
Orban ha conquistato la fiducia degli
Ungheresi con una campagna quasi interamente incentrata sui migranti e
sui pericoli che «terroristi islamici» potessero «distruggere e
contaminare i valori Ungheresi».
La barriera anti migranti
Da
quando Budapest ha deciso di chiudere la rotta balcanica sigillando la
frontiera con la Serbia con 175 chilometri di barriera presidiata da 15
mila agenti - i «migrants hunters», i cacciatori di migranti -, c’è un
solo modo per entrare legalmente nel Paese e proseguire il viaggio verso
l’Europa: passare dalle due zone di transito autorizzate, una è a
Horgos, l’altra è Kelebia. Fino all’anno scorso passavano 30 persone al
giorno, oggi due. La stretta di Orban, approvata dalla stragrande
maggioranza del Paese, ha aggiunto un altro tassello alla sua battaglia
con la legge approvata il 30 maggio nel pacchetto «Stop Soros»: dal 20
luglio aiutare un profugo sarà reato. In carcere chi offre cibo, riparo o
assistenza legale, ma anche chi soltanto stampa volantini informativi o
dà sostegno ai richiedenti asilo. Pene più severe se l’azione è
reiterata. Come nel caso delle ong, «braccio esecutivo» di potenze
straniere che «attaccano pervicacemente l’Ungheria», ripeteva quasi
ossessivamente in campagna elettorale Orban. Sulla lotta ai migranti e
sulla «difesa dei confini» il premier magiaro ha costruito il suo
consenso. Aiutato anche dall’individuazione di un nemico, «il nemico
numero uno dell’Ungheria», il filantropo americano-ungherese George
Soros, accusato di essere al centro di un piano pro immigrati, e in
Italia messo al bando da Salvini che lo definisce «speculatore senza
scrupoli».
Lo scontro con l’Ue
L’intesa tra sovranisti si
compie appieno contro i piani europei sull’immigrazione «al limite della
follia», dice Orban, che rifiuta ogni proposta sulle quote e la
ricollocazione dei rifugiati tra i Paesi membri. Salvini, che ha
trasformato la Lega Nord in una Lega nazionale, tiene assieme
sovranismo, identità italiana e valori cristiani. Orban in Ungheria ha
messo in pratica la difesa di questi valori con il muro e i veti anti
ong, le leggi restrittive contro i media «ostili», il sostegno alle
famiglie «tradizionali» e un’economia che predica «L’Ungheria per
prima». Per questo entrambi non vedono di buon grado le sanzioni contro
Putin che penalizzano il «made in Italy» da una parte, e le forniture
energetiche a Budapest dall’altra.
Mentre l’Ue decideva di colpire
Mosca con le sanzioni Orban allacciava rapporti sempre più stretti con
Putin. Legami sanciti con il gas russo che copre circa l’85% del
fabbisogno nazionale e un prestito di 10 miliardi di euro per la
modernizzazione, affidata ai russi, dell’unico impianto nucleare
ungherese.