martedì 5 giugno 2018

La Stampa 5.6.18
Su Gaza e Israele le parole feriscono
di Anna Masera


Il modo di raccontare il conflitto israelo-palestinese è un tema che lacera da sempre il pubblico e dopo i fatti del 14 maggio scorso è tornato di attualità. Anche i lettori de La Stampa  tendono a dividersi. Ho chiesto al direttore Maurizio Molinari, ex corrispondente da Gerusalemme-Ramallah, di rispondere alle domande sulla linea editoriale. Mi ha chiesto di affrontare il tema a bocce ferme per «evitare la sovrapposizione con emozioni e pregiudizi».
«Il conflitto israelo-palestinese è parte del più ampio conflitto arabo-israeliano iniziato nel 1880 quando i primi gruppi di pionieri sionisti in fuga dalle persecuzioni zariste in Russia arrivano nell’allora Palestina sotto dominio ottomano e le popolazioni arabe locali li accolgono con un rifiuto simile a quello che avrebbe portato, dopo la nascita di Israele nel 1948, gli Stati arabi a scendere in guerra nel tentativo di impedirne la nascita. Da allora solo due Stati arabi - Egitto e Giordania - hanno riconosciuto l’esistenza di Israele. Il conflitto israelo-palestinese inizia nel 1947 quando gli arabi residenti nella Palestina rifiutano la spartizione del territorio decisa dall’Onu fra uno Stato ebraico e uno arabo».
Molti lettori considerano inappropriati i termini «scontri» e «morti» per descrivere la strage di Gaza in cui sono rimasti uccisi solo palestinesi, tra cui bambini. «In Medio Oriente i fatti sono sempre in bilico, le parole feriscono e dunque serve cautela per evitare che il racconto diventi parte del conflitto. A confermarlo è la vicenda della bambina di Gaza Leila al-Ghandour di otto mesi la cui morte il 14 maggio è stata attribuita da fonti palestinesi ai lacrimogeni israeliani per poi essere smentita, il 27 maggio, dal ministero della Sanità di Hamas che ha depennato il suo nome dalla lista dei palestinesi la cui morte è attribuita ad Israele. Episodi simili non sono rari. “Scontri” è una definizione sufficientemente neutra per definire il confronto fra 40 mila palestinesi che tentano di invadere Israele violando un confine internazionale, e i soldati israeliani posti a difesa del medesimo confine».
E’ stata contestata la scelta sulla prima pagina de La Stampa del 15 maggio di mettere nello stesso titolo Gaza e Al Qaeda: alcuni si ribellano al nesso implicito, ma altri che non lo escludono e capiscono l’importanza della geopolitica chiedono tuttavia che il giornale trovi spazio per rivolgere un’attenzione pietosa alle vittime. «Nella giornata del 14 maggio in Medio Oriente sono avvenuti tre fatti: l’inaugurazione dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, gli scontri al confine fra la Striscia e Israele in cui vi sono stati almeno 60 morti palestinesi e la scelta di Ayman Zawahiry, successore di Osama Bin Laden alla guida di Al Qaeda, di chiamare alla Jihad contro “il nemico sionista”. Tutti e tre meritavano la prima pagina. L’importanza dell’appello di Al Qaeda si deve alla competizione in corso, dentro i gruppi jihadisti, per imporsi gli uni sugli altri. Se Al Qaeda ha scelto il 14 maggio per l’appello è perché voleva imporsi su Hamas, fra gli stessi palestinesi a Gaza».
E’ contestata anche la mancanza di fonti terze al di fuori di quelle israeliane, salvo che per la conta dei morti. «Le informazioni arrivate il 14 maggio provenivano da giornalisti sul campo, da entrambi i lati del confine».