La Stampa 30.6.18
Il ritorno di Stirner, ribelle prima di Nietzsche
Può
sembrare un paradosso che colui che ha esaltato l’Egoista, l’interesse
personale senza limiti né leggi, abbia vissuto la sua vita come un
miserabile. La nuova edizione del classico dell’anarchismo
individualista, L’Unico e la sua proprietà, scritto da Max Stirner nel
1845, pubblicata da Bompiani con testo tedesco a fronte (ben tradotto da
Sossio Giametta ma purtroppo minato da molti refusi), permette di
ripercorrere la vicenda di un filosofo maledetto, fonte d’ispirazione
per Black Bloc e insurrezionalisti di varia risma.
Personaggio
misterioso, di lui esiste solo un ritratto tratteggiato da Friedrich
Engels dopo la sua morte. Lo raffigura come il tipico intellettuale con
gli occhialini tondi e l’immancabile sigaretta da cui esce il fumo a
forma di punto interrogativo. Ma Stirner non era un topo da biblioteca.
Restio ad ogni regola e costrizione, dopo gli studi intraprende una
breve carriera di insegnante in un istituto privato berlinese. La sua
attività didattica si interrompe bruscamente dopo la pubblicazione de
L’Unico che causa subito scandalo nei circoli intellettuali dell’epoca,
egemonizzati dagli hegeliani di destra e di sinistra. E non deve stupire
visto che il primo capitolo s’intitola, significativamente «Io ho
fondato la mia causa sul nulla». In questa voluminosa disanima della
società ottocentesca, non priva di sarcasmo, butta a mare Dio, Stato,
società e financo l’umanità, considerata da lui una vuota chimera.
Scrive: «Io, egoista, non ho a cuore il bene di questa ‘società umana’,
non le sacrifico niente, me ne servo soltanto». Gli onesti e i
moralisti gli fanno ribrezzo. Gli illuministi lo disgustano: «I nostri
atei sono gente devota». La democrazia è un obbrobrio per l’egoista:
«Che me ne importa a me di quello che vale per il popolo?». Dalle rovine
del vecchio mondo borghese si erge «L’Unico», «la mia potenza», «Il
godimento di me stesso», a fare da apripista al superuomo nietzchiano.
Il libro viene considerato talmente radicale nelle sue tesi, così
assurdo, che i rigidi censori prussiani non ritengono opportuno
sequestralo. Ai dirigenti della sua scuola però non sfuggono le
conseguenze dirompenti del suo discorso e viene licenziato in tronco.
Ridotto all’indigenza, Stirner tenta di aprire una latteria, ma il
negozio fallisce ancor prima di aprire. Inseguito dai debitori,
costretto a vivere in una stamberga, finisce due volte in prigione per
insolvenza. Negli ultimi anni sbarca il lunario come rappresentante di
commercio. Muore a 50 anni per la puntura di un insetto. Questa la fine
dell’Unico che rifiutò sempre di essere ingabbiato, addomesticato in
schemi ideologici. È facile immaginarselo, questo filosofo solitario,
che guarda con disprezzo i rivoluzionari che nei moti del ’48 pensano di
poter migliorare la società, rendere il mondo migliore e più giusto.