La Stampa 26.6.18
La patente delle saudite che copre i diritti negati
di Rolla Scolari
Ultime
al mondo, le donne saudite da poche ore possono fare una delle azioni
più banali e comuni al mondo senza rischiare prigione e oltraggio
sociale: guidare un’automobile. Dopo mesi di preparazione, il regno
ultraconservatore ha dato il via a quella che è stata presentata come
una epocale apertura, una rivoluzione gentilmente concessa da Mohammad
bin Salman. Il giovane principe ereditario Mbs per meglio fare intendere
quale sia la via del nuovo cambiamento nel Paese ha fatto incarcerare
poche settimane prima del crollo del divieto le principali attiviste che
per decenni hanno lottato per sedersi dietro al volante.
Le riforme cosmetiche
Nei
mesi passati, l’erede al trono su cui oggi siede l’anziano padre, re
Salman, ha introdotto alcune concessioni – molto cosmetiche e poco di
sostanza - in un mondo in cui la donna è pesantemente discriminata: le
saudite possono ora andare a vedere allo stadio una partita di pallone,
andare al cinema, dove fino a poco tempo fa non andavano neppure gli
uomini, visto che non esistevano proprio sale di proiezione. Risultati
più di peso erano arrivati nel 2015, quando le donne avevano potuto
presentarsi alle elezioni locali, ed essere elette al Consiglio
consultivo.
È innegabile come la fine del divieto di guida in
Arabia Saudita sia una vittoria massiccia per le donne del regno, che
porta conseguenze di peso: la possibilità di muoversi in maniera
indipendente consente di andare a lavorare autonomamente. E gli impatti
economici – quelli che cerca il giovane principe Mbs, che ha come
obiettivo sganciare il regno dalla dipendenza del greggio – non
tarderanno a farsi sentire.
Se le donne possono però da oggi
mettersi al volante, restano troppe le attività vietate alle saudite in
una società retta da leggi religiose ultraconservatrici, in cui la
discriminazione è burocratizzata. Come nella quasi totalità dei Paesi
islamici una donna eredita la metà della somma data ai fratelli maschi.
In Arabia Saudita, la testimonianza di una donna non vale quella di un
uomo davanti a un giudice. Se da oggi una saudita può guidare, non è
detto che abbia a disposizione i soldi per comprarsi la macchina, visto
che non può aprire da sola un conto in banca senza il consenso del suo
«tutore» maschio.
E se riesce a comprarsi una macchina, può andare
con quella all’aeroporto a prendere un parente, ma non può partire per i
fatti suoi, perché per viaggiare e procurarsi un passaporto le serve il
permesso di un parente maschio: un padre, un fratello, un marito, un
cugino. Non è un caso che l’Arabia Saudita sia al 141esimo posto su 144
Paesi (dopo ci sono solo Siria, Pakistan e Yemen) sul Global Gender Gap
Report del World Economic Forum del 2016. Anche dopo la conquista del
volante, l’Arabia Saudita resta un Paese in cui essere donna è
difficile.
Sport, ma niente palestra
Dai Giochi di Londra
nel 2012, le saudite possono gareggiare alle Olimpiadi. Eppure, ottenere
la licenza per aprire una palestra per donne è un problema, anche se
nello sport al femminile la situazione sta migliorando. Il solito
parente maschio ha l’ultima parola sul matrimonio (e sul divorzio) di
una donna, sulla possibilità di una donna di aprire alcune attività
commerciali o avere un lavoro, persino sulle operazioni mediche di
routine.
Se da oggi le saudite possono uscire di casa a bordo
della loro automobile, non potranno ancora andare a cena in un luogo
pubblico con un amico maschio, che non sia una parente. E nei ristoranti
e nei caffè di tutto il regno possono sedersi soltanto in zone dedicate
alle famiglie. Aperto dallo stesso principe Mbs il dibattito
sull’obbligo di coprire il capo, per la donna resta comunque il divieto
di indossare ciò che vuole: l’abaya, un lungo abito informe nero, è il
dress code ufficiale.