il manifesto 26.6.18
L’esame di maturità e il dibattito sull’eguaglianza scolastica in Cina
La
scuola in Cina. Il gaokao è sempre stato ed è tutt’ora la bestia nera
degli studenti cinesi: dal gaokao dipende la tua vita, si dice in Cina, e
non è del tutto sbagliato. L’esame, in verità, ha subito e sta subendo
una serie di riforme significative a partire dal secondo decennio del
XXI secolo anche in termini di contenuti, tuttavia, almeno per ora, esso
mantiene intatto il suo potenziale: le famiglie sostengono i figli con
ogni sorta di attività integrativa pur di facilitarne il successo finale
e la tensione di ragazzi e genitori è davvero palpabile. Ma è davvero
un sistema "meritocratico" e "egualitario" quello cinese?
di Stefania Stafutti
Professore ordinario Lingua e Letteratura cinese Università di Torino
Si
sono conclusi una decina di giorni fa in Cina gli esami di gaokao,
assimilabili in qualche misura agli esami di stato alla fine delle
superiori in Italia, ma con una capacità estrema di determinare il
destino dei giovani che li sostengono, nonostante una serie di
interventi del legislatore stiano cercando di mitigarne l’impatto.
Il
gaokao è sempre stato ed è tutt’ora la bestia nera degli studenti
cinesi: dal gaokao dipende la tua vita, si dice in Cina, e non è del
tutto sbagliato. L’esame, in verità, ha subito e sta subendo una serie
di riforme significative a partire dal secondo decennio del XXI secolo
anche in termini di contenuti, tuttavia, almeno per ora, esso mantiene
intatto il suo potenziale: le famiglie sostengono i figli con ogni sorta
di attività integrativa pur di facilitarne il successo finale e la
tensione di ragazzi e genitori è davvero palpabile.
Le strade
intorno alle scuole in cui si svolgono gli esami vengono chiuse,
eventuali attività rumorose vengono interrotte e sulle vie compaiono i
cartelli: “Fate silenzio. È in corso l’esame di gaokao». Dal voto finale
di questo esame dipende la possibilità di accedere ai migliori atenei
del paese e quindi di assicurarsi un lavoro di prestigio, con buona
remunerazione, assai probabilmente nelle aree più ricche e vivaci del
paese. Per loro esplicita ammissione, gli studenti considerano il
successivo percorso di studi all’università una sorta di passeggiata,
rispetto agli anni che si sono lasciati alle spalle. Quest’anno, l’esame
coinvolge complessivamente 9.750.000 ragazzi di età compresa tra i 17 e
i 18 anni, 350.000 in più rispetto all’anno precedente.
E poi? La
scelta degli Atenei dipende, appunto dall’esito di questo esame, cui si
applicano una serie di correttivi che tengono parzialmente in conto la
provenienza da aree svantaggiate degli studenti.
Ma sono davvero i migliori coloro che accedono alle Università migliori?
Il
tema è di forte attualità in Cina, dove il livello di istruzione
garantito in città come Pechino e Shanghai non è in alcuna misura
paragonabile a quello offerto in aree più povere del paese. Questo
elemento di diseguaglianza è amplificato dalla decisione assunta dal
Governo già alla metà degli anni Novanta, quando nacquero le cosiddette
“Università di alta formazione” del progetto 211 e poi del progetto 985,
scelte tra le oltre 2200 Università cinesi (senza calcolare i circa 300
atenei dedicati alla formazione permanente e alla istruzione per gli
adulti, che quindi assolvono un compito diverso da quello di norma
primario nelle università).
Intorno al 1995, il governo si pose
l’obiettivo di creare atenei competitivi a livello globale, capaci di
diventare istituzioni leader nella ricerca e di attrarre studenti
stranieri. Con questo obiettivo, in occasione del centesimo anniversario
dell’Università di Pechino, nel maggio 1998, l’allora segretario del
PCC Jiang Zemin lanciò il progetto 985 (il cui nome deriva appunto dalla
data: 98/5), ovvero un piano di sostegno per le Università di
super-eccellenza – all’inizio soltanto 9 – che dovevano costituire la
punta di diamante del sistema nazionale di alta formazione e presso le
quali veniva allocata una parte ingentissima delle risorse per la
formazione e la ricerca.
Il progetto era già stato preceduto, nel
1995, da un altro piano analogo, lanciato dal Ministero della Pubblica
Istruzione, il cosiddetto “Progetto 211”, che coinvolgeva 116
università, circa il 6% degli atenei del paese. Qui il “numero magico
211” fa riferimento a uno slogan del periodo che può essere così
tradotto: “Per affrontare il 21esimo secolo, creiamo 100 scuole di
eccellenza”, (面向21世纪,办好100所高校). Solo questo progetto, dal 1996 al 2000,
assorbì 2miliardi e 200 milioni di dollari.
E qui veniamo al
punto. Superata la fase dell’entusiasmo nazionale (e nazionalista)
derivante dal fatto che la presenza della Cina e dei suoi atenei
nell’ambito della comunità scientifica e delle pubblicazioni accademiche
di prestigio internazionale subì effettivamente un balzo straordinario,
si profilò all’orizzonte e divenne sempre più sensibile la questione
della “eguaglianza” tra i cittadini cinesi per quanto atteneva al
diritto di accesso alla formazione di eccellenza.
Il 2 febbraio
2015, una puntata di “Finanza ed economia: l’opinione di Lang”(Caijing
Lang yan), famosissimo e atteso appuntamento fisso della televisione via
cavo di Canton, rilanciò senza mezzi termini la questione, suscitando
un certo scalpore.
L’anchorman era Larry H.P. Lang, ovvero Lang
Xiagping in Cina popolare, un sino-taiwanese nativo di Taiwan, già
brillantissimo docente di finanza ed economia presso l’Università cinese
di Hong Kong (da sempre piuttosto vicina al Governo di Pechino) e ora
professore emerito di quell’ateneo, intellettuale legato alla Cina
continentale e interessante teorico del “Comunismo scientifico” di Marx,
contro il “minimal-statismo” del pensiero liberal capitalista
dominante, ma in ogni caso croce e delizia del governo di Pechino, per
la sua abitudine di non mandarle a dire a nessuno.
Numeri alla
mano, Lang dimostrò la profonda iniquità dei progetti 221 e 985. Di
seguito, alcuni dei dati incontrovertibili che egli espose sulla base di
documenti pubblici e universalmente noti: nel 2015, gli Atenei del
gruppo 985 assorbivano il 52,7% del bilancio dello stato per l’alta
formazione. Il loro numero complessivo, dal lancio del progetto, era
passato da 9 a 39, di cui 8 a Pechino e 4 a Shanghai; vale a dire che il
31% di tali atenei stava e sta nelle due città principali del paese.
Queste
istituzioni sono del tutto assenti in ben 13 provincie, alcune con
popolazione studentesca molto alta, come lo Henan, lo Hebei, il
Shandong, il Jiangxi. Lang argomenta che, se da un lato è normale che le
grandi città ospitino un gran numero di queste istituzioni, costituisce
invece un problema il fatto che gli studenti che frequentano le 14
scuole di eccellenza siano per il 36,8 % studenti locali, ovvero
provenienti dalle stesse Pechino e Shanghai.
Nel prestigiosissimo
Politecnico della capitale, Qinghua, il 25% degli studenti sono di
Pechino (posseggono cioè hukou di Pechino, ovvero una residenza piena e
non temporanea, la sola che consente un completo e privilegiato accesso a
tutti i servizi della città, incluso il welfare), a Tongji – importante
ateneo di Shanghai- , il 40% degli iscritti ha hukou di Shanghai; a
Fudan, una delle vecchie e prestigiose università della “Parigi
d’Oriente” il 49% degli allievi è di Shanghai, alla Zhejiang University,
ad Hangzhou, altra università di eccellenza, il 61% degli studenti ha
hukou nella stessa provincia del Zhejiang, e via dicendo.
Le
risorse, però, non vengono dai governi provinciali o delle Aree
Metropolitane Speciali di Pechino e Shanghai, ma vengono dal governo
centrale. In altre parole sono le aree già privilegiate del paese ad
avvantaggiarsene: è vero che da qui arriva anche molta parte del gettito
fiscale, ma, in questo modo, la corresponsione delle imposte finisce
per somigliare a un giro di cassa. Nel Henan, per esempio, una delle
provincie a popolazione studentesca più elevata di tutto il paese, con
un numero complessivo di oltre 100.000.000 di abitanti, solo lo 0,7
della popolazione studentesca ha accesso agli istituti di eccellenza. A
Shanghai la percentuale sale al 4,57.
Non va meglio per le scuole
del Progetto 211. Esse sono presenti in ogni provincia, ma, facendo lo
stesso calcolo di proporzione tra abitanti e numero di istituzioni di
tipo 211 presenti, scopriamo che nello Henan, dove la sola Università di
Zhengzhou rientra nel progetto 211, il rapporto per milione di abitanti
è del 0,01%, mentre a Pechino sale all’ 1,83%.
Se poi guardiamo
alla “provenienza di classe” degli studenti, le diseguaglianze si fanno
ancora più evidenti. Una ricerca svolta da Li Yunshan, dell’Istituto per
l’Educazione dell’Università di Pechino, ha monitorato la presenza
degli studenti provenienti dalle campagne nelle università di eccellenza
della capitale dal 1978 al 2011. Fino al 1998, il 30% degli studenti
dell’Università di Pechino aveva hukou di campagna, dal 2000 al 2011 la
percentuale è scesa al 10%; a Qinghua, le cose vanno un pochino meglio,
con una percentuale intorno al 17%. Ma degli studenti che ogni anno si
accingono a superare il famigerato gaokao, oltre il 60% ha hukou di
campagna.
Il governo sta cercando di correre ai ripari: già nel
2015, al culmine del dibattito sulla reale eguaglianza dei cittadini
nell’ambito del diritto di accesso all’istruzione, venne lanciato il
piano cosiddetto shuang yi liu, una sorta di “doppio binario” delle
istituzioni di primo livello, diventato operativo a partire dal 2017,
con la pubblicazione dell’elenco degli atenei coinvolti nel progetto. In
sostanza, si è creato una sorta di apparentamento tra le cosiddette
Università di eccellenza a livello statale (istituzioni “di tipo A”) e
le Università di eccellenza a livello provinciale (istituzioni “di tipo
B”, e se le lettere dell’alfabeto hanno un senso…).
Formalmente,
anche le seconde sono istituzioni di eccellenza, ma la loro offerta
formativa è più vincolata alle esigenze del territorio e sono
principalmente finanziate a livello locale. La novità sostanziale sta
nell’innalzamento complessivo del numero degli Atenei ritenuti di
eccellenza e quindi ammessi a un assai più cospicuo finanziamento
statale. Rimane il fatto che provincie più ricche possono finanziare di
più e meglio…
Un vecchio adagio cinese recita: “Se ho dieci anni a
disposizione pianto un albero, se ne ho cento educo un uomo”. Ma come
avviene per gli alberi, anche gli uomini si educano meglio se il terreno
è più ricco.