martedì 26 giugno 2018

Corriere 26.6.18
Demografia
Tra Confucio e gli aborti forzati, la Cina del figlio unico
Mei Fong, Pulitzer nel 2007, indaga e riflette per l’editore Carbonio sulle politiche di contenimento delle nascite nella Repubblica Popolare
di Paolo Salom


L’idea di dominare la Natura. Di forgiarla secondo le proprie necessità. Di piegarla quando ci minaccia. In Cina l’uomo interagisce con l’ambiente da millenni. Prova a interpretarne le forze (teoria del Fengshui, molto nota anche in Occidente); a ingabbiarlo in manufatti monumentali (dalla Grande muraglia alla Diga delle tre gole); a dominarlo persino nell’Aldilà (l’Esercito di terracotta a guardia della tomba del Primo imperatore, Qin Shihuangdi).
Tratto paradigmatico di un afflato che da sempre permea questa millenaria società è la capacità di organizzare la forza lavoro: centinaia di migliaia di esseri umani coordinati e dedicati al compito del momento. Ecco perché negli Anni 80 dello scorso secolo l’iniziativa di legge che, nella Repubblica Popolare, ha imposto alle famiglie di mettere al mondo un solo figlio è apparsa, ai più, come un insulto all’idea stessa del progresso secondo la tradizione orientale (Confucio e la teoria di società armoniosa basata sulla discendenza). Certo, il governo di allora — o meglio i dirigenti del Partito comunista — scelse di porre un freno all’incremento della popolazione (paradossalmente, un nuovo intervento sulle leggi della natura) sulla scorta di una «buona intenzione»: non vanificare la crescita della ricchezza nazionale, beneficio delle riforme e dell’apertura voluta da Deng Xiaoping, con l’eccessivo aumento delle bocche da sfamare. Iniziativa peraltro lodata dagli esperti di tutto il mondo.
Ora, la giornalista e studiosa sino-malese Mei Fong, cittadina americana e premio Pulitzer 2007, prova, nel saggio Figlio unico. Passato e presente di un esperimento estremo (Carbonio Editore), a scavare in un processo che è stato anche violento e doloroso. Non tanto e non solo per la rottura con una tradizione sentita come parte integrante della propria cultura, ma anche perché, pur di non superare le «quote» stabilite per la natalità locale, molti capi villaggio e dirigenti di partito di provincia hanno obbligato migliaia di donne ad abortire, contro la loro volontà e in fase avanzata della gravidanza. Per Mei Fong, la politica del figlio unico è stata più che altro «un fallimento»: «Le limitazioni imposte da questo piano demografico — scrive — hanno contribuito ben poco al progresso sul piano economico». Addirittura, starebbero mettendo «a repentaglio il suo sviluppo futuro». Perché? Perché la Cina sta invecchiando troppo e troppo in fretta, mentre la manodopera, in particolare quella specializzata, è già in declino numerico. Per non parlare degli squilibri di genere dovuti alla preferenza per un erede maschio: «Troppi uomini, troppo anziani».
Cifre e fatti presentati da Mei Fong sono drammatici. Tuttavia, la strada tracciata dalla Repubblica Popolare non può essere considerata, in questo campo, un fallimento totale. La crescita e la contrazione della popolazione umana — al momento ci sono oltre sette miliardi di anime sulla Terra — sono fenomeni ancora largamente indipendenti. Ma, come spesso ripeteva nei suoi scritti Giovanni Sartori, «non possiamo crescere all’infinito, perché le risorse del pianeta non sono infinite». Le proiezioni indicano che nel 2100 la Cina avrà 500 milioni di abitanti, un terzo rispetto a oggi. Forse non sarà poi un male.