venerdì 22 giugno 2018

La Stampa 22.6.18
Antonio Damasio
Professore alla University of Southern California di Los Angeles
“Siamo dominati dalle emozioni
Anche la ragione è loro ostaggio”
di Gabriele Beccaria


Antonio Damasio è un neuroscienziato. C’è chi sostiene «il Neuroscienziato». Professore alla University of Southern California di Los Angeles, a lui le osservazioni e gli esperimenti nei labirinti del cervello umano, per quanto sofisticati, non bastano. Punta - ci spiega da Lignano Sabbiadoro, dove è arrivato per ricevere il Premio Hemingway - «a un approccio filosofico».
«Ci sono discipline in cui non fa molta differenza il tipo di mente che hai. Ma nelle neuroscienze non puoi non preoccuparti del significato stesso del cervello e della situazione in cui si trovano gli umani. Le domande che nascono sono - e non posso descriverle altrimenti - di tipo filosofico. Si tratta di una prospettiva ad ampio raggio». Ecco perché non è banale provocare Damasio fino alle estreme conseguenze delle sue ricerche, soprattutto se ci si è dedicati alla meravigliata esplorazione del suo ultimo saggio: edito da Adelphi, si intitola Lo strano ordine delle cose.
Professore, lei retrocede ai microbi e approda fino a noi, evocando la domanda delle domande: siamo buoni o siamo cattivi?
«Dobbiamo riconoscere che la natura umana ha lati sia positivi sia negativi, specialmente quando si osservano le emozioni e i sentimenti dalle quali scaturiscono. Alcune ci arricchiscono, spingendoci all’attenzione per gli altri, alla comprensione e all’amore, alla compassione per chi soffre o alla gratitudine per chi inventa grandi cose. Sfortunatamente ci sono altre emozioni, che comprendono rabbia e paura, desiderio di distruggere e creare conflitti invece di stabilire forme di cooperazione. Questa è la realtà dei fatti, ma a differenza degli animali noi umani abbiamo la possibilità di riconoscere le significative differenze tra le emozioni e poi possiamo fare qualcosa».
Che cosa in concreto?
«Tentare di raggiungere un equilibrio tra le diverse emozioni e ottenere così risultati costruttivi, che siano benefici per l’umanità, scongiurando sofferenza e infelicità. È un compito estremamente difficile ed è questo il punto del mio libro».
Lei, smentendo il buon vecchio Cartesio, sostiene che ragione ed emozioni non possono essere tenute separate: è possibile?
«Le persone, spesso, dicono: “Ah, le emozioni sono sempre cattive!”. Ma è una sciocchezza, perché la ragione, da sola, non basta: se lo fosse, vivremmo in un mondo meraviglioso. E tuttavia non succede. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che la ragione è costantemente manipolata dalle emozioni, buone e cattive. E, quindi, anche le culture sono strettamente legate ai sentimenti e ai meccanismi di regolazione biologica, un processo che definisco omeostasi».
A proposito di filosofia, se Cartesio era caduto nell’equivoco, chi aveva visto giusto - lei sostiene - era Spinoza: qual è stata la sua idea decisiva?
«Spinoza è degno di ammirazione: sebbene non potesse sapere nulla del cervello umano, dato che visse nel XVII secolo, intuì però la stretta connessione del corpo e della nostra parte biologica con la mente».
Nel libro lei ci fa viaggiare lungo i sentieri dei sistemi nervosi e della coscienza, tra animali apparentemente semplici e umani volutamente contraddittori, e conclude con un appello per un nuovo tipo di cultura collettiva: ce la spiega?
«Dobbiamo realizzare un massiccio sforzo educativo, rivolto prima di tutto ai giovani, perché capiscano chi sono e chi siamo. Devono sbarazzarsi dalle false idee sul bene e sul male e rendersi conto che ognuno di noi è, potenzialmente, sia buono sia cattivo. È questa la lezione della biologia».
E a questo punto emerge la sua nuova concezione di mente, volutamente provocatoria: quanto siamo determinati dalla natura e quanto, invece, liberi di seguire le nostre scelte culturali?
«È ciò che provo a portare alla luce: tutti gli esseri viventi, anche i più semplici come i batteri, antichi miliardi di anni, presentano strutture biologiche che permettono loro di cooperare o di confliggere. Ciò non significa che siano dotati di menti nel senso proprio del termine, ma queste abilità specifiche fanno parte della loro esistenza. Solo in tempi successivi, quando si svilupparono i sistemi nervosi, 500 milioni di anni fa, iniziarono a emergere delle menti vere e proprie: è in questa fase che si percepisce se la vita ci sta spingendo in direzioni buone o cattive. E poi è attraverso l’accesso ai sentimenti che si diventa consapevoli di se stessi e si entra in possesso di una modalità con cui orientare la propria esistenza. Quello che sto descrivendo è un work in progress».
Ora gli umani creano menti sintetiche, quelle dell’Intelligenza Artificiale: condivide le paure di chi prevede il loro prossimo dominio?
«Non c’è alcuna certezza che queste “creature” - voglio definirle così - si rivoltino contro di noi. Potrebbe succedere, come temeva Stephen Hawking, ma è importante, se evolveranno, che capiscano che cosa siano i sentimenti: solo chi conosce il dolore può decidere di non infliggerlo. È racchiuso nei sentimenti il freno agli eccessi».