La Stampa 22.6.18
La Corte Ue dei diritti umani respinge il ricorso di Breivik
di Monica Perosino
Nel
2011 aveva ucciso, uno dopo l’altro, con un incredibile sangue freddo,
69 adolescenti sull’isola di Utøya, in Norvegia. Un’ora prima erano
state 8 le vittime delle sue bombe a Oslo. Nel 2016 Anders Behring
Breivik, scontento per il «regime inumano di carcerazione», aveva fatto
ricorso alla Corte europea di Strasburgo. Ieri il suo ricorso è stato
respinto: «manifestamente infondato».
Nell’istanza inviata alla
Corte per i diritti umani, usando il nome Fjotolf Hansen, l’autore della
strage di Utøya ha affermato che lo Stato norvegese «viola i suoi
diritti a non essere sottoposto a maltrattamenti e alla privacy
sottoponendolo all’isolamento, a perquisizioni, al controllo della
corrispondenza e non curando la sua vulnerabilità mentale». Ma i giudici
della Cedu hanno determinato che non vi è stata alcuna violazione dei
suoi diritti rispetto a tutti i punti sollevati. In particolare i togati
di Strasburgo affermano che il regime di isolamento imposto a Breivik
non supera la soglia necessaria per essere ritenuto un trattamento
inumano o degradante, confermando così le conclusioni a cui erano
arrivati i tribunali norvegesi.
La Corte afferma che l’isolamento
dell’uomo, necessario per garantire la sicurezza ma anche la salute di
Breivik, non è totale e che le autorità hanno preso diverse misure
affinché non lo fosse. Oltre ai contatti quotidiani con le guardie
carcerarie, le autorità hanno offerto all’uomo la possibilità di avere
contatti con un prete, infermiere, un visitatore volontario alla
prigione, e con uno psicologo.
La sequenza di denunce
Già
due anni fa l’autore della strage di Utøya aveva minacciato lo sciopero
della fame dichiarando di essere «pronto a morire» per protestare contro
la sua condizione nel carcere di Skien, dove sta scontando una pena di
21 anni. Nel febbraio 2014 denunciava di essere vicino alla morte e
chiedeva una nuova Playstation e più soldi. Poi decise di andare oltre:
l’assassino di Utøya fece causa alle autorità norvegesi sostenendo di
essere vittima di «detenzione inumana» e violazione dei diritti umani a
causa del regime di isolamento. Aveva perso anche allora perché il
tribunale aveva sottolineato che nel carcere modello il detenuto era
«libero di muoversi, con accesso quotidiano ad uno spazio per fare
ginnastica, guardare la tv e una console per i videogiochi».