La Stampa 21.6.18
“Con Erdogan ora siamo tutti più poveri”
Nella Turchia in crisi che sogna il ribaltone
di Marta Ottaviani
C’è
chi già pensa al peggio, chi è rassegnato, chi si mette una mano sul
portafoglio. La grande novità a quattro giorni da un election day già
definito storico - si voterà -, è che dopo tanto tempo in Turchia c’è
chi spera. Forse spera (e brinda) un po’ troppo. Che «il Reis», il
presidente in carica Recep Tayyip Erdogan, possa al massimo concedere un
secondo turno il prossimo 8 luglio, sembra il più razionale dei dati di
fatto. Ma il popolo turco vive di emozioni e se da una parte
l’opposizione, seppur ancora divisa, sembra per la prima volta
determinata a rappresentare un’alternativa concreta agli islamici sempre
meno moderati dell’Akp, dall’altra parte il presidente Erdogan non
ammalia più come una volta.
Più ricchi, più poveri
Se quindi
il capo di Stato non vincerà al primo turno, ma andrà al ballottaggio,
sarà in parte merito di questa opposizione rinata, ma in buona dose
demerito suo. O meglio, della situazione economica del Paese. L’economia
turca, almeno stando ai darti sul Pil, continua a crescere. I dati del
primo trimestre 2018 hanno segnalato un aumento del prodotto interno
lordo del 7,4%, ma l’inflazione è tornata a due cifre e soprattutto il
cambio su euro e dollaro è fuori controllo da parecchi mesi. «Si tratta
di un problema molto grosso – spiega l’analista economico del quotidiano
Birgun, Mustafa Erdemol -. Riguarda gli imprenditori, perché l’export
turco è ad alta intensità di importazione quindi riescono a fare
margini, ma molto meno su quello che vendono. I consumatori, poi,
complice anche l’inflazione, vedono il potere di acquisto del loro
stipendio diminuito. Tutto questo in una città, Istanbul, che negli
ultimi cinque è diventata sempre più cara». A giugno, l’agenzia Standard
& Poor’s, a sorpresa, ha ridotto il suo rating del debito
sovrano della Turchia ponendolo nel cosiddetto «junk territory»
(territorio spazzatura). Il ministro delle Finanze, Mehmet Simsek, ha
reagito duramente, bollando la mossa come un modo per favorire gli
speculatori e influire sul risultato elettorale.
Campagna a senso unico
E
mentre Istanbul sembra diventata un città di saldi perenni, dove tutti i
negozi offrono merce scontata e il traffico è reso ancora più caotico
per le decine di cantieri aperti in città (stanno costruendo l’ennesima
linea di metropolitana), la campagna elettorale continua, in modo
palesemente sbilanciato. Ovunque è pieno di manifesti con la faccia del
presidente Erdogan e scritte come «La Grande Turchia ha bisogno di un
grande leader».
Alcuni ricordano anche il periodo in cui è stato
sindaco di Istanbul, a sottolineare i progressi compiuti dalla
megalopoli sul Bosforo. Ma dall’altra parte sono determinati, se non a
vincere, almeno a fargliela seriamente sudare. Muharrem Ince, il
candidato del Chp, il Partito laico e repubblicano, è più agguerrito del
previsto e ha dimostrato di avere una certa predisposizione a stare in
mezzo alla gente, cosa che per un leader turco è fondamentale. Il leader
curdo, Selahattin Demirtas, sta confermando tutto il suo carisma
nonostante si trovi in carcere e abbia fatto una campagna elettorale
completamente virtuale, con messaggi scritti a mano e postati dai suoi
avvocati e video registrati in cella con lo smartphone sempre dai suoi
legali.
Infine, Meral Aksener, la prima candidata donna alla
presidenza della Repubblica turca, è attestata in modo positivo nei
sondaggi, nonostante abbia fondato un nuovo partito appena sei mesi fa.
Che Erdogan questa volta passi al primo turno è molto difficile.
Fino all’ultima speranza
Intanto,
nella Istanbul più europea ci credono, a costo di bruschi risvegli dopo
un bel sogno. «Stavolta lo mandiamo a casa – afferma convinto un
venditore ambulante di frutta a Okmeydani, quartiere dove vivono molti
curdi e dove hanno trovato casa anche parecchi rifugiati siriani -. La
gente è stanca e adesso sta venendo fuori che economicamente navighiamo
sul nulla. I conti a fine mese iniziano a non tornare. L’era Erdogan è
finita». C’è poi chi ne fa una questione molto più ideologica. «Prevedo
un’affluenza molto alta – spiega Zeynep, fa volantinaggio per pagarsi
parte degli studi –. Questa volta gli si rivoltano contro i giovani che
lui dice di amare tanto».
Il più equilibrato di tutti, sembra il
tassista, categoria che in almeno Turchia, fiuta in anticipo le tendenze
nel Paese: «Ho sempre votato Erdogan. Questa volta non lo voto, perché
mi ha stancato. Ma vince lui. Sicuro».