La Stampa 21.6.18
Amos Oz, elogio dei traditori
Spesso vengono chiamati così gli uomini che sono capaci di cambiare
Amos Oz è nato a Gerusalemme nel 1939 da una famiglia originaria dell’Europa Orientale
di Amos Oz
«E
direte loro: così dice il Signore, ecco che riempio di ubriachezza
tutti gli abitanti di questa terra e i re che siedono sul trono di
Davide e i sacerdoti e i profeti e tutti coloro che dimorano a
Gerusalemme» (Geremia 13, 13). Nella cultura d’Israele c’è una costante
profonda, anche affascinante, di indignazione spietata, metodica e
talora pure violenta nei confronti del potere, dei sovrani. In questo
contesto si innestano il profeta Samuele che accusa gravemente re Saul,
Nathan che dice a re Davide delle cose molto pesanti, e naturalmente
Geremia, ma di fatto a questo proposito non c’è soluzione di continuità:
si arriva sino a scrittori ebrei contemporanei quali Bialik, Brenner e
Yizhar e da loro all’attualità del nostro presente.
Geremia
profetizza distruzione e catastrofi vuoi perché la gente ha costruito
case «nell’ingiustizia» e «senza diritto» vuoi anche perché è atterrito
alla vista di quella insanità mentale che lui definisce «ubriachezza»:
lo spaventa vedere un popolo pacifico e un regno pacifico correre così a
sbattere la testa con il muro di Babilonia. «Attenti!» dice il profeta
alla sua gente, ai suoi contemporanei. Un popolo piccolo non deve
neanche provarci, a comportarsi come se fosse una grande potenza: quando
si è a cavallo di una motoretta sull’autostrada della storia, dice
Geremia, bisogna evitare di guidare come se si fosse al volante di un
Tir. Fate attenzione ad accusare i vostri capi in Babilonia, a far conto
sull’Egitto, ad andare contro tutto il mondo. Ai contemporanei di
Geremia non piaceva affatto ascoltare queste cose: si imbufalivano
moltissimo con lui, i gangli del potere ribollivano di rabbia, gli
irriducibili sempre pronti a rinfacciare imprecavano contro quel
traditore di Geremia, i prefetti finirono col rinchiuderlo nel cortile
della prigione, così che stesse zitto una buona volta, che la piantasse
di abbattere l’umore nazionale, di fare il gioco del nemico, quinta
colonna che non era altro.
Non di rado coloro che hanno qualcosa
da rimproverare al re, ai principi, ai profeti e al popolo vengono
definiti «traditori» dalla maggioranza della propria gente e da chi la
governa. Data una rapida occhiata a quella categoria lì, di quelli che
sono sempre pronti a puntare il dito, nella Gerusalemme di duemila anni
fa e più, di coloro che ce l’avevano con il profeta Geremia, mi sono
sentito proprio a casa...
«Chi è il traditore?» è una domanda che
mi turba sin da quando ero bambino. Sono stato chiamato «traditore»
tante di quelle volte, in vita mia. La prima è successo quando avevo
appena otto anni, l’ultima spero che debba ancora venire.
«Chi è il traditore?» mi domando.
Non
sto parlando del traditore banale, come quello che lavora in una
fabbrica e in cambio di denaro vende segreti di produzione a una ditta
concorrente. Non sto neanche parlando del traditore adultero, colui o
colei che fa le corna alla persona che ama. Sto parlando del terzo tipo
di traditore. Perché talvolta, agli occhi di coloro che non cambiano e
non sopportano il cambiamento, che non capiscono il cambiamento, che
hanno una paura tremenda del cambiamento, che odiano coloro che
cambiano, il traditore è semplicemente la persona che cambia, che è
capace di cambiare.
Pensate alla storia del popolo ebraico
nell’epoca moderna. Benjamin Theodor Herzl, che fu pronto a soppesare la
possibilità di fondare lo Stato ebraico in Uganda invece che in Terra
d’Israele, almeno temporaneamente, perché la Terra d’Israele gli
sembrava irraggiungibile mentre la questione ebraica la considerava
improrogabile: allora non pochi convinti sionisti consideravano Herzl un
traditore. E David Ben Gurion, quando nell’autunno del 1947 diede
parere favorevole alla spartizione della nostra patria in due patrie
separate, una per gli ebrei e una per i palestinesi: in molti lo
chiamarono traditore. Anche Menachem Begin, quando andò incontro a Sadat
e si dichiarò disposto a restituire all’Egitto tutto il Sinai, in
cambio dell’accordo di pace. E Itzhak Rabin e Shimon Peres con gli
accordi di Oslo: Rabin pagò addirittura con la vita, per il proprio
coraggio.
Allora a volte mi domando: quale club è più
rispettabile? Quello i cui soci sono coloro che talvolta vengono
definiti «traditori» dai propri contemporanei, o quello di coloro che
nessuno ha mai chiamato «traditori»? Quello di Geremia o quello dei
cosiddetti «profeti menzogneri»? Quello dei populisti che cantano sempre
qualcosa che li possa portare in testa al corteo pubblico della
politica?
Amore e rabbia, amore e riprovazione, amore e profezia
funesta, non sono degli opposti. Ogni tanto, solo ogni tanto, il
traditore è colui che ama veramente. «Fedeli sono le ferite di chi vuol
bene» (Proverbi 27, 6).