La Stampa 18.6.18
Turchia, la tratta delle rifugiate siriane
Vendute ai ricchi come “seconde mogli”
di Marta Ottaviani
Vendersi
per la disperazione. Essere cedute dalla propria famiglia di origine
per aiutarli economicamente. Venire scelte come seconde mogli e subire
vessazioni dai mariti che non si sono potute scegliere e dalle loro
prime (e legittime) consorti. È il drammatico destino toccato in sorte a
migliaia di donne siriane, spesso appena adolescenti, che sono scappate
in Turchia per salvarsi dalla guerra civile che attanaglia il loro
Paese da otto anni.
Poligamia mascherata
Alcuni siriani sono
riusciti a rifarsi una vita e a fare della Turchia una vera e propria
seconda casa. Ma sono solo una minoranza degli oltre 3,5 milioni che
hanno attraversato il confine a partire dal 2010. I campi allestiti da
Ankara riescono ad assorbire appena 300 mila rifugiati. Il resto vive di
espedienti, spesso senza riconoscimento legale e con lavori precari,
quando ci sono. Per questo tutto diventa una risorsa. Per prime le
donne. Molti padri hanno venduto le loro figlie a uomini già sposati,
che le hanno prese come «seconde mogli».
La poligamia in realtà in
Turchia è illegale. Ma è piuttosto diffusa, soprattutto nel Sud-Est. La
prima consorte viene sposata davanti alle autorità amministrative. Le
altre, fino a tre, in moschea. Un matrimonio che non ha alcun valore
davanti alla legge, ma solo per la comunità. Con tutto quello che ne
consegue a livello di accordi privati. Molto spesso si tratta di una
vera e propria svendita. Le famiglie delle giovani donne ricevono dai
200 ai 1000 euro al massimo.
La seconda moglie può venire offerta
in cambio di un lavoro o dell’affitto di un appartamento. Le donne
siriane sono molto richieste anche perché a volte si tratta di immigrate
irregolari, senza documenti, quindi inesistenti per lo Stato. Come
seconde mogli, non hanno alcun diritto. Non possono richiedere la
cittadinanza e in caso di «separazione» non hanno nessun diritto legale
sui figli. Vite spezzate, che pensavano a un futuro, anche affettivo e
che in molti casi sono state costrette a interrompere il fidanzamento
con il partner nella loro città natale.
Le violenze
Il
fenomeno è difficile da quantificare, proprio per la sua illegalità. Ma
sta assumendo proporzioni preoccupanti. Secondo la Ong, Kilis platform,
nella sola Kilis, nel Sud-Est del Paese, le donne siriane prese in sposa
come «seconda moglie» in moschea sarebbero almeno 5000. Oltre a un
matrimonio senza amore, le giovani consorti si devono preparare a subire
angherie e violenze di ogni tipo, fisiche e psicologiche. Non solo da
parte del marito, ma anche dalle mogli «ufficiali», che spesso le
trattano come serve, soprattutto se non sono riuscite a dare figli al
proprio marito e vedono nelle spose siriane una minaccia al loro primato
legale. E loro devono subire in silenzio, sviluppando spesso anche
disturbi psicologici legati all’ansia. La fine dell’unione significa
l’interruzione dell’accordo economico con la famiglia di provenienza.
Quasi
tutte loro pensano di non avere diritti e considerano normale dipendere
dai voleri paterni, soprattutto se è per aiutare il resto della
famiglia. La pratica è diffusa soprattutto nelle città dove
l’immigrazione siriana si è fatta maggiormente sentire, quindi Hatay e
Gaziantep, due fra le località più prossime al confine. Gli uomini
coinvolti molto spesso hanno passato la mezza età e collocano questa
poligamia mascherata e questo sfruttamento delle donne siriane se non
come un’opera di bene, di certo non come un crimine, perché stanno
aiutando una famiglia musulmana.
C’è poi chi si è buttato nel
business. Nel Sud-Est è pieno di mediatori, che coniugano domanda e
offerta, selezionando le giovani più belle per i potenziali mariti più
benestanti e cercano di concludere l’accordo, aggiudicandosi una
percentuale per aver condotto la trattativa. Agiscono anche su mandato
di uomini che vivono nelle maggiori città Paese, fra cui Istanbul e la
religiosissima Konya.
Il fenomeno su Internet
Un’autentica,
vergognosa tratta delle donne, che è esplosa anche su Internet. Lo
scorso dicembre, dopo le pressioni della Tkfd, la Federazione turca
delle associazioni per i diritti delle donne, la magistratura ha chiuso
il sito evlilicik.com, che offriva anche la possibilità di cercare
ragazze siriane disponibili a diventare «seconde mogli».
L’iscrizione
al sito prevedeva la compilazione di un lungo questionario, che
indugiava anche sulle abitudini religiose chiedendo espressamente di
indicare quante volte pregassero al giorno. Venivano anche chiesti
particolari sulla vita passata delle «candidate»: se fossero già state
spostate e soprattutto se avessero figli. Lo stop a evlilicik.com,
purtroppo, non ha certo fermato la tendenza. Basta andare sui motori di
ricerca e digitare alcune parole chiave e si raggiungono siti-fotocopia.
Uno di questi, suriyelikadinlar.com, propone alternative divise per
città. Il dito delle associazioni è puntato contro le autorità di
Ankara, accusate di favorire un atteggiamento sempre più devoto e di
chiudere un occhio davanti alla poligamia e allo sfruttamento delle
donne. In alcuni casi, infatti, la possibilità di contrarre un
matrimonio come seconda moglie tramite il web, nasconde un destino
ancora più tragico: quello della prostituzione. In molti si fingono
uomini interessati ai profili delle candidate solo per avvicinarle e poi
ricattarle. Una tragedia che si consuma sul corpo di donne scappate da
una guerra e precipitate in un secondo inferno.