lunedì 18 giugno 2018

La Stampa 18.7.18
Spagnoli brava gente
di Domenico Quirico


La brava gente, quella che si commuove, che prova la compassione depurata di ogni secondo fine, che rifiuta di umiliare e di lasciarsi umiliare, che dice «sì, è fatica e pena, non è facile, eppure così bisogna fare e così faremo», ieri, a cercarla, la trovavi sul molo di Valencia Spagna Europa Occidente. La brava gente… quello che noi italiani eravamo. Perché c’è ancora, c’è sempre la brava gente, ferma su quel filo, aggrappata a quel filo che più forte di un cavo di acciaio, afferrata con le mani e con i denti a quel filo che è volontà di guardare a occhi aperti la sciagura dell’Altro, di resistere, di credere, di piangere con lui, di amare il suo dolore. Che è anche, sempre, un poco o tanto, il tuo.
Ce lo siam portati dietro per secoli, noi, questa definizione «brava gente»; ed era la medaglia più grande, le parole da scriver sulla bandiera. Infatti qualcuno, gli arroganti, i decisionisti, i mascelluti, che anche quelli ci son sempre e qualche volta sembrano maggioranza, lo bestemmiava come il marchio della debolezza nazionale: italiani brava gente! E inveiva a seppellirla, la nomea di «zerbini», sotto cumuli di violenze e di soperchierie.
Non so: forse le nazioni e i popoli non hanno anima. Ma se c’è, quella era la nostra anima di popolo provato dalla Storia e che sapeva da quel dolore suo capire e compatire.
Adesso altri se lo calano addosso, con orgoglio, un marchio di dignità e di appartenenza, la grande Lega universale della pietà, senza spadoni twitter e bugie.
Sì. I migranti ci hanno rivoltati come un guanto, hanno imposto con la loro sola presenza l’obbligatorietà di una domanda: chi siamo? Cosa vogliamo essere? Ci hanno tolto i veli della ipocrisia, della retorica, ci hanno obbligato a dividerci fisicamente: di qua o di là, non c’è remissione. Finalmente!
Gli xenofobi, quelli che hanno immancabilmente paura di qualcosa, vivono assediati da qualche pericolo, i negri i gialli i giudei i maomettani i capitalisti i boches la perfida albione… sono una razza, da Drumont in avanti, sempre e soltanto uguale. Esiste un universo del rifiuto, fermo, cristallizzato come una specie per cui la fase della evoluzione si è chiusa. Ebbene di fronte a loro il manicheismo è permesso, obbligatorio. Possono camuffarsi con ragionamenti economici, affidarsi al cavillo leguleio, ma in fondo sono sempre quello, un mondo soggettivamente insensibile, nessun margine di fluidità, tremendamente, nello stesso tempo, forte e debole, prigioniero della propria natura. Sono chiusi, per loro i giochi sono eternamente fatti. Di fronte a tutto questo bisogna a un certo punto esimersi dallo sforzo di interpretare, capire, modificare. Si può solo, risolutamente, passare dall’altra parte.
La Migrazione li ha fatti emergere, con strepiti e urla. Loro di là. E di qua gli altri, quelli che aspettavano la nave «Acquarius» con i suoi naufraghi e le altre caravelle delle «crociere» disperate che verranno. Non per inveire, ma per aiutare e servire. E quelli che lavorano nelle organizzazioni umanitarie: per la mia generazione era un sogno e un dovere, oggi sembra un reato da codice e manette. Quelli che credono, obbligatoriamente, nell’unico diritto che non è sminuzzabile in codicilli, che non si può diluire con l’acqua degli azzeccagarbugli: il diritto dell’uomo astratto, di sopravvivere, di fuggire, di essere libero. L’espressione spaziale di questa tensione morale è il desiderio di scavalcare frontiere come se non ci fossero. La brava gente è quella che sente ogni violazione del diritto universale come un pezzo della propria condizione di uomo che salta via come una scheggia. Non i buoni o i buonisti, i debolucci, i professionisti del piagnisteo. No, gente dura, implacabile, determinata che sa che la sofferenza altrui mi coinvolge e mi condanna, che non ho il diritto di voltargli le spalle. Ieri erano sul molo di Valencia: purtroppo non a Lampedusa o a Catania. Non perché non esistano anche qui. Perché l’hanno vietato.