sabato 16 giugno 2018

La Stampa 16.6.18
Arriva l’Aquarius
Prima ancora di arrivare l’Aquarius ha già fatto un piccolo miracolo: cambiare la fama di Valencia, basta corruzione, ora è il momento della solidariet
A Valencia è l’ora della solidarietà
di Francesco Olivo


Prima ancora di arrivare l’Aquarius ha già fatto un piccolo miracolo: cambiare la fama di Valencia, basta corruzione, ora è il momento della solidarietà. Sintesi schematica di una trasformazione che è ovviamente molto più sfumata. Con comprensibile fastidio dei suoi abitanti, Valencia è stata chiamata per anni la capitale spagnola della corruzione. Una definizione ingenerosa, sommaria, ma con qualche solida base: praticamente tutte le trame a base di mazzette che hanno riempito le cronache della Pensiola iberica sono passate da queste parti.
Lasciata alle spalle quell’epoca di grandeur dal retrogusto illegale, oggi la città torna in prima pagina con un altro volto: quella del «porto aperto», il molo che domani, almeno di altri imprevisti, vedrà sbarcare finalmente l’Aquarius. In quella che fu la Marina della Coppa America di vela del 2007 i preparativi sono a buon punto. Il dispositivo prevede l’impiego di mille persone, tra medici, interpreti, psicologi e operatori sociali: «Più di un professionista per ogni migrante in arrivo», dice la Croce Rossa.
Il salvataggio tragico
Le telecamere dovranno restare a 200 metri di distanza e sarà impedito ogni contatto mediatico con i passeggeri della nave, «sono stremati», avvertono i responsabili del dispostivo. E la notizia arrivata ieri conferma la portata tragica dell’evento: durante il salvataggio dei migranti, sabato scorso, due persone sarebbero morte. Molti degli attuali passeggeri, inoltre, sarebbero stati recuperati direttamente dall’acqua.
Dopo aver superato le Bocche di Bonifacio in una notte di burrasca, il convoglio composto dall’Aquarius e dalle due navi italiane che la accompagnano procede in acque più tranquille. L’arrivo previsto è per le 11 di domani mattina.
Formula 1 e visita del Papa
Nelle stesse ore alla Città giudiziaria sfilano i potenti di un tempo che si gettano fango a vicenda. E non si tratta di vicende locali, come dimostra la caduta del governo di Mariano Rajoy dovuta a uno scandalo con radici valenziane (la cosiddetta trama Gurtel). L’elenco delle malefatte dei governanti di questa magnifica città mediterranea è lungo. Praticamente tutti i governatori degli ultimi anni sono finiti male, chi in carcere, chi quasi. Idem i presidenti della provincia e i sindaci. Il crollo di Valencia è stato tanto fragoroso quanto repentino. Prima di scandali e manette, la città era stata il simbolo del boom economico nell’era di José Maria Aznar, basato soprattutto sull’immobiliare. La «burbuja» (la bolla) edilizia aveva coinvolto tutta la costa, per centinaia di chilometri si costruiva tanto e si vendeva di più grazie a mutui troppo agevolati, e gli stranieri investivano senza sosta e anche chi non poteva aveva a portata di mano il sogno della casa al mare. Parallelamente, la città viveva anni di grandeur che sfociava spesso e volentieri nella megalomania. Il Partito Popolare che con Aznar qui aveva trovato il suo unico accesso al Mediterraneo, aveva fatto di Valencia la vetrina della rincorsa spagnola. Simbolo di quegli anni è sicuramente Santiago Calatrava, architetto (valenziano) celebrato e discusso in tutto il mondo, profeta in patria grazie a opere mastodontiche, come Città delle Arti e delle Scienze di Valencia, il centro dei Congressi di Castellon e molti altri. Politica, progettisti e costruttori erano una cosa solo: il partito di Aznar e poi di Rajoy celebrava comizi faraonici, nelle stesse strutture che aveva consentito di costruire.
Le inchieste giudiziarie degli ultimi anni hanno consentito di capire come si mantenesse quel mondo luccicante: ogni occasione è stata buona per guadagnare qualcosa per il partito, Valencia doveva ospitare tutto quello che era possibile ospitare e su ogni cosa c’era la ricompensa per i politici: la Coppa America, il Gran Premio di Formula 1, i Giochi del Mediterraneo. Nemmeno la visita di Papa Benedetto XVI è sfuggita agli appetiti: dall’installazione degli schermi alle ringhiere, tutto era stato assegnato ai fornitori della lobby che poi finanziavano la campagna elettorale. Prima ancora della magistratura era stata la crisi a far crollare le illusioni, le immagini delle costruzioni vista mare lasciate a metà, sono la fotografia di anni terribili per la Spagna. Nel 2016 il Partito Popolare è stato punito alle urne, il Comune e la Regione sono ora amministrate da un’alleanza formata da tre partiti: i socialisti, Podemos e i regionalisti di Compromis, i grandi accusatori della destra, che hanno cercato di invertire la fama. Quando il governo spagnolo è finito nelle mani dei socialisti di Pedro Sanchez, appena due settimane fa, è quasi naturale la scelta: «Valencia porto aperto», arriva l’Aquarius.

La Stampa 16.6.18
Cure sanitarie

Il governo socialista di Pedro Sanchez procede con la media di un annuncio al giorno. Ieri è stata la volta della sanità universale per tutti. L’estensione riguarda anche gli immigrati non in regola con il permesso di soggiorno, esclusi da una riforma del 2012 dell’esecutivo di Mariano Rajoy. Di fatto, si tratta della prima misura ufficiale dell’esecutivo di sinistra, nato con la mozione di sfiducia ai danni del Partito Popolare. Nonostante la legge lo impedisse, molte regioni spagnole avevano continuato a dare assistenza ai migranti senza i documenti, così il governo non prevede costi eccessivi per finanziare questa misura. «È una questione di decenza e di giustizia», scrive in un tweet il premier Pedro Sanchez. fra. oli.

La Stampa 16.6.18
Macron, schiaffo a Salvini
“Io parlo solo con Conte”
L’irritazione del ministro dell’Interno: perché il premier non mi ha difeso?
di Ilario Lombardo


Il capo di Stato francese Emmanuel Macron incalza il premier italiano Giuseppe Conte in visita all’Eliseo per il vertice sull’emergenza immigrazione: «So che hai un problema con Matteo Salvini - dice -. Ma il mio interlocutore sei tu. Deve essere la tua parola a contare, non quella di altri». Il ministro dell’Interno irritato: «Perché il presidente del Consiglio non mi ha difeso?». Via al piano per aprire nuovi centri in Africa.
Emmanuel Macron ha modi diretti che affondano come una lama la calma riflessiva di Giuseppe Conte. Dietro il sorriso, si scorge un’urgenza nervosa: «Giuseppe, so che hai questo problema con Salvini….ma io devo parlare solo con te. Devo essere certo che è la tua parola che conta per l’Italia. Quindi spiegami a che gioco vuoi giocare». Sono a tavola da pochi minuti, l’Eliseo offre salmone d’Isigny, tagliatelles maison, dolce cioccolato e menta. Trovano punti in comune: gli hotspot a gestione europea in Africa, «nei Paesi di origine dei migranti e di transito», ma non in Libia, priva delle minime condizioni di sicurezza. Ma ci sono anche molte distanze: sulle Ong straniere, che gli italiani non vogliono far attraccare e sulla redistribuzione delle quote. Macron insiste sui numeri per dimostrare che il carico dei profughi, soprattutto dopo l’intervento del governo Gentiloni, è quasi uguale tra Italia e Francia. Il resto, dice, è post-verità. «L’Italia deve scegliere se voltare le spalle alle relazioni europee chiudendo le frontiere», spiega confermando che la Francia aprirà i porti solo in caso di necessità.
Le preoccupazioni di Berlino
Macron interpreta lo stordimento collettivo in Europa, divisa tra chi teme il ministro dell’Interno leghista e chi invece, da Est, lo considera una testa di ariete per sfondare gli equilibri stabiliti. Per far capire a Conte quanto diffusa sia l’inquietudine degli alleati, Macron gli confida timori tedeschi: «La Merkel è davvero preoccupata. Hai visto cosa sta succedendo in Germania con il ministro dell’Interno bavarese? Lei è convinta che sia tutta colpa di Salvini» . Come aveva fatto in Canada, il presidente francese ha bisogno di misurare la fedeltà di Conte, capire i suoi margini di autonomia, e quanto l’incontinenza verbale del leader leghista peserà sul governo. Insomma, chi comanda in Italia? si chiede Macron. E poi: Conte la pensa come Salvini? Qualche giorno fa, prima della crisi diplomatica, durante un briefing, i collaboratori di Macron avevano spiegato che le intenzioni del presidente erano di affidarsi a Conte per “arginare” il ministro dell’Interno. L’affaire Aquarius lo ha spiazzato e lo sta convincendo del fatto che è Conte a “subire” il protagonismo di Salvini.
Le frecciate al Viminale
Tocca a Macron replicare agli assalti del leghista. In conferenza è un continuo riferimento, senza mai citarlo per nome, con punte di malizia diplomatica: «Io sono un democratico. Sono i capi di Stato e di governo a dettare la linea. Ed è a questo livello che si devono mettere d’accordo i Paesi, almeno fino a quando non sarà cambiata la Costituzione». Macron ridimensiona Salvini a semplice ministro e tenta di stanare Conte: sei tu il capo di governo. Il presidente francese è allo stesso tempo serafico e impietoso: «Se poi un ministro ha rapporti privilegiati con altri e avvicina le posizioni può essere utile per una riconciliazione». Si riferisce ai paladini di Visegrad di Ungheria e Polonia, e all’alleanza tra Vienna-Roma-Monaco, l’«asse» così definita dal premier austriaco Sebastian Kurz e sponsorizzata da Salvini, una formula che a Macron ricorda i tempi più bui della storia.
I leghisti irritati
Al fronte orientale, il presidente francese oppone il coinvolgimento di Germania e Spagna, citati di continuo, come partner privilegiati «per valori e principi».Solidarietà contro respingimenti, diritto internazionale contro muri. Macron mette all’angolo Conte. Con quale Europa ha scelto di stare? La risposta si tiene in equilibrio tra l’adesione del premier alla linea dura nel caso Aquarius e la distanza con il leghista sull’alleanza in Europa: «C’è piena condivisione con il ministro Salvini. Ho io la responsabilità dell’indirizzo politico delle iniziative di governo. Sull’asse la penso come Macron e ne vorrei una di tutti i Paesi europei». Le agenzie battono la notizia. Salvini viene informato, chiede spiegazioni, storce il naso: «Non mi ha difeso». I vertici della Lega si attivano e telefonano al premier. «Perché non hai difeso Salvini?».

Emmanuel Macron ha modi diretti che affondano come una lama la calma riflessiva di Giuseppe Conte. Dietro il sorriso, si scorge un’urgenza nervosa: «Giuseppe, so che hai questo problema con Salvini….ma io devo parlare solo con te. Devo essere certo che è la tua parola che conta per l’Italia. Quindi spiegami a che gioco vuoi giocare». Sono a tavola da pochi minuti, l’Eliseo offre salmone d’Isigny, tagliatelles maison, dolce cioccolato e menta. Trovano punti in comune: gli hotspot a gestione europea in Africa, «nei Paesi di origine dei migranti e di transito», ma non in Libia, priva delle minime condizioni di sicurezza. Ma ci sono anche molte distanze: sulle Ong straniere, che gli italiani non vogliono far attraccare e sulla redistribuzione delle quote. Macron insiste sui numeri per dimostrare che il carico dei profughi, soprattutto dopo l’intervento del governo Gentiloni, è quasi uguale tra Italia e Francia. Il resto, dice, è post-verità. «L’Italia deve scegliere se voltare le spalle alle relazioni europee chiudendo le frontiere», spiega confermando che la Francia aprirà i porti solo in caso di necessità.
Le preoccupazioni di Berlino
Macron interpreta lo stordimento collettivo in Europa, divisa tra chi teme il ministro dell’Interno leghista e chi invece, da Est, lo considera una testa di ariete per sfondare gli equilibri stabiliti. Per far capire a Conte quanto diffusa sia l’inquietudine degli alleati, Macron gli confida timori tedeschi: «La Merkel è davvero preoccupata. Hai visto cosa sta succedendo in Germania con il ministro dell’Interno bavarese? Lei è convinta che sia tutta colpa di Salvini» . Come aveva fatto in Canada, il presidente francese ha bisogno di misurare la fedeltà di Conte, capire i suoi margini di autonomia, e quanto l’incontinenza verbale del leader leghista peserà sul governo. Insomma, chi comanda in Italia? si chiede Macron. E poi: Conte la pensa come Salvini? Qualche giorno fa, prima della crisi diplomatica, durante un briefing, i collaboratori di Macron avevano spiegato che le intenzioni del presidente erano di affidarsi a Conte per “arginare” il ministro dell’Interno. L’affaire Aquarius lo ha spiazzato e lo sta convincendo del fatto che è Conte a “subire” il protagonismo di Salvini.
Le frecciate al Viminale
Tocca a Macron replicare agli assalti del leghista. In conferenza è un continuo riferimento, senza mai citarlo per nome, con punte di malizia diplomatica: «Io sono un democratico. Sono i capi di Stato e di governo a dettare la linea. Ed è a questo livello che si devono mettere d’accordo i Paesi, almeno fino a quando non sarà cambiata la Costituzione». Macron ridimensiona Salvini a semplice ministro e tenta di stanare Conte: sei tu il capo di governo. Il presidente francese è allo stesso tempo serafico e impietoso: «Se poi un ministro ha rapporti privilegiati con altri e avvicina le posizioni può essere utile per una riconciliazione». Si riferisce ai paladini


La Stampa 16.6.18
Il costruttore trattava col M5S per conto della Lega
“Un premier terzo, poi voi vi spartite i ministeri”
Interrogatorio parallelo tra Lanzalone e Raggi...
di Francesco Grignetti Edoardo Izzo


Luca Parnasi si considerava il king-maker della nuova maggioranza. E non era un’impressione così campata per aria. Nei giorni delle consultazioni e delle trattative segrete, Parnasi e l’avvocato Luca Lanzalone s’incontrano al bar e discettano di grandi strategie. Parnasi: «Stamattina ho incontrato Giancarlo (Giorgetti, ndr) in aeroporto. La cosa va chiusa velocemente perché l’altro Matteo martedì o mercoledì si incontrerà con il Cavaliere».
È l’8 aprile quando Salvini partecipa a un vertice ad Arcore. Nelle stesse ore, Di Maio minaccia di «chiudere un forno» e di fare l’accordo con il Pd. E questa prospettiva non piace affatto ai due. Sempre Parnasi, tra il serio e il faceto: «Giorgetti mi ha detto che il contratto va firmato subito perché loro sono di Varese, mentre lui è di Pomigliano d’Arco...». Risate. Lanzalone, che appare sempre più un plenipotenziario del M5S, gli risponde però che «c’è una spinta forte dei media ad andare verso il Pd e non verso il centrodestra». Ma questa ipotesi a Parnasi piace poco. Gli propone uno schema di gioco, che guardacaso sarà quello vincente: «Serve una persona super-partes. Poi vi spartite i ministeri. Ma servono regole precise per l’alleanza». E conclude: «Tu fai riferimento a Giancarlo...». Giancarlo Giorgetti, ovvero l’altro plenipotenziario.
«Su mandato di Giancarlo...»
Ora, la cena per far conoscere Giorgetti a Lanzalone, Parnasi l’aveva organizzata il 12 marzo. Le cose però avevano cominciato a traballare. Erano subentrati gli insulti. E si arriva all’8 aprile. Lanzalone ha un problema con i giornali, con Dagospia in particolare, e perciò Parnasi vuole che si incontri con il suo amicone Luigi Bisignani. Prima prepara l’incontro. E per spiegargli qual è il suo vero ruolo, di king-maker, Parnasi si sbilancia. A Bisignani racconta del colloquio con Lanzalone. «Gli ho spiegato anche politicamente... anche su mandato di Giancarlo, no?...se si chiude l’accordo Cinquestelle-Lega, si deve chiudere in settimana. Il rischio che il Pd si sfaldi, si smonti, è altissimo. E che quindi gli si crei un’alternativa di governo al mondo Cinquestelle».
Il costruttore si riferisce al maremoto che attraversa i dem in quei giorni, con quelli che vogliono aprire a Di Maio e quelli contrarissimi. Ancora Parnasi a proposito del colloquio con Lanzalone: «Gli ho detto: “Guarda, l’alternativa, te lo dico perché poi ci sono, è chiaro che il giorno che il mondo Pd scopre che vuole fare l’accordo con i Cinquestelle, e che quindi il mondo Pd è compatto per fare un accordo, fa l’accordo con il centrodestra. Non lo fa certo con voi”».
Parnasi incontra Giorgetti a ripetizione. I carabinieri, doverosamente, quando arriva un parlamentare evitano di riportare i loro colloqui. È curioso, però, che dopo un colloquio a tavola, il 16 maggio, dopo che Giorgetti ha raggiunto Parnasi che era già insieme con un sacerdote, il costruttore si precipita in ufficio, non sta nella pelle, e dice alla sorella Flaminia e alla madre che «a breve passerà un avvocato dei Cinquestelle che potrebbe essere nominato primo ministro». Parnasi aveva visto giusto, solo che l’avvocato che diventerà premier non sarà Lanzalone ma Conte.
Lanzalone si consola
È il 2 giugno quando Lanzalone si confronta il suo collega Luciano Costantini e si sfoga: «Stamani alla cerimonia c’era solo Luigi (Di Maio, ndr). È sbagliato». I carabinieri annotano: «Luciano Costantini afferma che Alfonso (il ministro della Giustizia, Bonafede, ndr) gli ha detto che vorrebbe portarlo ovunque e aspetterà che gli indichi la posizione che vuole assumere. Luciano gli ha chiesto che cosa serve. Alfonso gli ha risposto che non ha ancora capito come funziona il ministero».
Se Costantini è quasi sistemato, Lanzalone di sé dice di «avere detto a Luigi (Di Maio, ndr) che è interessato alla nomina a commissario straordinario in qualche amministrazione straordinaria piuttosto che in Cassa Depositi e Prestiti». Già, i due avvocati sono uomini di mondo e puntano al sodo. Annotano i carabinieri: «Parlano degli amministratori giudiziari che sono sempre gli stessi e citano Laghi (Enrico Laghi, amministratore straordinario di Ilva e Alitalia, amico di Lanzalone, ndr) che fattura 700 mila euro al mese». Ah, ecco.

La Stampa 16.6.18
“Azzurro è stato il mio Sessantotto
Cinquant’anni passati in un lampo”
di Michela Tamburrino


Sotto il cielo cobalto di Roma che si fa rosa sui resti delle Terme di Caracalla, Paolo Conte regala un caleidoscopio di suggestioni. C’è freddo, pioggia, crolla a terra una fila di poltronissime. Lui siede al pianoforte e la musica che ne viene porta caldo al cuore. È l’apoteosi del jazz, boogie dixie, blues, milonga, rimandi alle sonorità ebraiche, tutto è swing negli arrangiamenti sontuosi. L’epifania della musica si raggiunge quando ogni canzone è una rivelazione, tracima in sinfonia e con Diavolo rosso ci si augura non debba mai finire. Orchestra straordinaria con ospiti d’eccezione; i fiati senza eguali, le chitarre, i mandolini, il bandoneon per conservare quel tanto d’antico, il violino che incanta di Piergiorgio Rosso.
Stanno lì immobili Arbore, Gentiloni, Fassino, Baricco, pubblico da cocktail, ma si è bissato anche ieri e poi via a Montreux, Gent, Milano, Parma e Bologna. Conte incassa standing ovation e sorride. Solo su Azzurro si confonde una prima volta e poi ancora ma non fa niente, sembra un vezzo pensato: «Per chi è appassionato di jazz un errore è la possibilità di aprire un’altra strada, avere nuova luce. Quello che è disastro in orchestra è benvenuto nel jazz».
Segno del Capricorno
E dire che si festeggiano proprio i cinquant’anni di questa canzone epica. «Capii che sarebbe diventata quella che è quando Adriano Celentano decise di cantarla. L’accerchiamento fu massiccio, uno a fargli la posta sotto casa e poi lui decise di ascoltarla, cantata da me e registrata sul Geloso mentre si faceva la barba in bagno. Che non gli era dispiaciuta fu chiaro subito. Una canzone che mi è rimasta nel cuore. Cinquant’anni passati in un lampo». E sì che Conte con il tempo che passa non va tanto d’accordo: «Che vuole, sono del segno del Capricorno, c’è Saturno, un rapporto teso con gli anni. Mi dico che ci sono tante stagioni nella vita, che la gioventù non è la migliore, che anche da vecchi si può vivere bene. Mi dico. Ma la vecchiaia non mi piace».
Ottantuno primavere non le dimostra, oramai è perfino caduto in prescrizione quel tabù sul vero autore delle parole di Azzurro che porta la firma di Pallavicini: «Che dire, alla Siae ero iscritto solo come musicista. Per questo non posso dire chi l’ha scritta. Però mi sto convincendo di essere stato un buon paroliere. La musica fa più colpo, nasce dal vuoto ed è così forte che da sola scrive la pagina».
Può scrivere anche la storia o ignorarla come è capitato per Azzurro, partorita in pieno Sessantotto, la rivoluzione operaia e studentesca. E lei che canta di pomeriggi colorati e di treni dei desideri. «Io il ’68 non l’ho vissuto, già lavoravo con mio padre. Anche nelle mie canzoni non ho mai voluto mettere messaggi, ho raccontato l’uomo che conoscevo io. Ho vissuto tanto e ho incontrato personaggi. Sono metastorie, parlo del tipico uomo del dopoguerra. L’ho visto risollevarsi dal disastro, rifarsi una facciata e l’ho anche visto fallire. Ho provato pietà per lui».
Scrive solo Paolo Conte perchè se la vede sempre da solo e comunica solo quando è sicuro di quello che ha composto: «Scrivo di notte, oscurità, solitudine, silenzio. E nessuno ascolta, non amici, solo i miei musicisti. Il giudizio altrui dato in corso d’opera mi turberebbe, le reazioni mi manderebbero in crisi. Il giudice unico sono io, se c’è una sequenza armonica che cammina allora va bene».
Un trifoglio tra i quadrifogli
E quando Azzurro fu proposta per sostituire l’Inno di Mameli lui rise: «Mi avessero interpellato avrei detto di no».
E non si tratta neppure della sua canzone prediletta: «Preferisco Impermeabili per la musica e Genova per noi per le parole». Nelle notti insonni di scrittura e solitudine le pensa tutte, persino una frase da dire in occasione di un Oscar. Meglio, di un Nobel. «Non si sa mai che dire in quei casi. Io ci ho pensato: “Mi sento come un trifoglio in un campo di quadrifogli”. La butto sulla falsa modestia». Che di solito funziona. Di che ha nostalgia Paolo Conte? «Del diritto. Sono un avvocato in pensione e vengo da una famiglia di notai. D notte provo nostalgie tecniche. Immagino contenziosi da risolvere mentre metto su dischi jazz Anni 20 o mi guardo la classica in tv. E mi addormento».
Non si sente contemporaneo ma lo è. Calcutta ha ripreso il suo riff di Sparring Partner al pianoforte portandolo alla chitarra. «Pensare che a Parigi quando mi chiedevano di definire il mio genere rispondevo: “Confusione mentale fine secolo”». Tanto per uno che ama Aznavour e Josephine Baker: «Ci sono cose nel mondo nuovo che non decifro. Spero nella tecnologia applicata a fin di bene. Alla medicina». E il Festival di Sanremo fatto da Baglioni? «Non l’ho seguito e non lo seguirò. E anche se avessi una canzone da Festival non la porterei al Festival».
In autunno uscirà il disco live del concerto a Caracalla, tutto esaurito. Uscendo c’è un ragazzo che dice alla fidanzata: «Questo è l’unico Conte che si vuole ascoltare». E lei di rimando: «Perchè il calciatore suona?» Lui ancora: «Ma no parlavo del Presidente del Consiglio», lei, tombale: «Ma non si chiama Salvini?». Fine dello show.