La Stampa 12.6.18
La politica dei piedi nel piatto
di Marcello Sorgi
È
un calcolo abbastanza miope quello del ministro dell’Interno, Salvini,
esultante per aver costretto la nave Aquarius - carica di 629 migranti,
tra cui 123 minori, 11 bambini, 7 donne incinte e 15 ustionati gravi -
ad allontanarsi dalle coste siciliane, dopo il rifiuto di Malta di farla
attraccare, e a far rotta sulla Spagna. Dov’è attesa a Valencia, grazie
alla disponibilità ad accoglierla del neonato governo spagnolo Sánchez,
«per evitare una catastrofe umanitaria».
Nell’immediato, certo,
il leader leghista e fresco responsabile del Viminale, avamposto
strategico sulla trincea dell’immigrazione clandestina, potrà dirsi
vincitore - e non solo delle amministrative di domenica grazie alla sua
campagna permanente - perché ha vinto su tutto e tutti: il governo
italiano, a cui ha imposto la sua linea dura senza neppure discuterla
con colleghi e alleati; il premier Conte che si è dovuto adeguare;
l’alleato Di Maio e il ministro delle Infrastrutture Toninelli,
responsabile dei porti chiusi e della Guardia costiera messa in riga da
Salvini, che hanno condiviso a denti stretti; il M5S, anch’esso
obbediente, pur tra vistose crepe, la più evidente delle quali
rappresentata dal sindaco di Livorno Nogarin, disponibile a soccorrere i
profughi ma subito zittito d’autorità, nella gran confusione che per
due giorni e due notti ha accompagnato la prima vera emergenza
dell’esecutivo giallo-verde.
Se serviva una prova che governare
l’Italia non è affatto dispiegare l’attuazione di un programma
predefinito, come appunto il «contratto» che unisce la Lega e il M5S, ma
far fronte ai problemi che si presentano, uno dopo l’altro, è arrivata
perfino in anticipo sulle previsioni. Il dirottamento dell’«Aquarius»,
tra l’altro, non potrà che essere una soluzione una tantum, rispetto
alla ripresa degli sbarchi che si annuncia massiccia, complici la buona
stagione, il bollettino meteorologico favorevole, la mancata cura - per
non dire l’aperta polemica, vedi lo scontro con la Tunisia - delle
intese delicatissime che il predecessore di Salvini, l’ex-ministro
Minniti, aveva concluso, riducendo del 78 per cento gli sbarchi negli
ultimi due anni, con la Libia quartier generale del traffico illegale di
immigrati, e con i Paesi della costa nordafricana destinati a ricevere i
clandestini da rimpatriare sulla base di accordi internazionali.
C’è
da chiedersi subito quanto resisterebbe la barriera italiana dei porti
chiusi e del rifiuto di soccorsi ai naufraghi davanti a una serie di
arrivi come quella che è logico prevedere per tutta l’estate, e quanto
sia lecito scommettere sulla solidarietà, chiaramente occasionale, di
Paesi come la Spagna, che si trovano a centinaia di miglia dal tratto di
mare in cui i migranti vengono abbandonati al loro destino.
Salvini
ha dalla sua - oltre a un’indubbia e evidente capacità politica e
talento da leader - l’abbandono in cui è stato lasciato il problema
dell’immigrazione, in un periodo, che potremmo datare almeno a tre
estati fa, in cui assumeva dimensioni sempre più gravi, con la Germania
che prima apriva, e poi si pentiva di aver aperto, i suoi confini a un
milione di profughi siriani, la Francia, teatro dei più gravi attentati
terroristici islamici, che s’irrigidiva, chiudendo anche le sue
frontiere con l’Italia, e così l’Austria, e così la Gran Bretagna,
travolta dalla Brexit anche per l’irrazionale paura di un’invasione di
clandestini, mentre nella nuova Europa polacca e ungherese sorgevano
muri di filo spinato. Inoltre, non va dimenticato, la permanenza di un
numero esagerato di immigrati sul nostro territorio, s’è talvolta
trasformato in affare per spregiudicati imprenditori italiani
dell’assistenza - che rappresentano, in molti casi, l’interfaccia degli
scafisti che caricano i disgraziati africani sui gommoni e li lasciano
alla deriva -, offrendo alloggi in condizioni sub-umane che lo Stato
paga a prezzi da piccoli alberghi, o lavori irregolari il cui traffico
degenera spesso in scontri armati con vittime che rimangono sul campo,
com’è accaduto in Calabria fino a pochi giorni addietro.
Un
governo che avesse per davvero l’obiettivo di cercare una soluzione per
un problema enorme e in qualche modo epocale come questo, rimediando
anche agli incontestabili errori del passato, e facendo chiarezza sulle
iniziative spesso incontrollate delle navi delle Ong nel Canale di
Sicilia, cercherebbe per prima cosa un aiuto dall’Europa, di cui
l’Italia è membro fondatore. Lo farebbe, non mettendo i piedi nel
piatto, come ha fatto Salvini, ma cercando di ottenere impegni più
stringenti di quelli disattesi anche di recente dai partner dell’Unione,
che avevano garantito la loro disponibilità a condividere le
conseguenze del flusso migratorio e poi non lo hanno fatto. Salvini al
contrario sostiene che solo «alzando la voce» è possibile farsi
ascoltare nel consesso europeo in cui a parole tutti, a cominciare dalla
Merkel, promettono aiuti all’Italia, ma non mantengono mai le promesse.
Si vedrà, di qui a poco. Ma che presentarsi al prossimo vertice Ue con
gli applausi di Orban e della Le Pen sia un buon viatico per ottenere
concreta solidarietà, sarà tutto da dimostrare.