martedì 12 giugno 2018

La Stampa 12.6.18
“Ci vuole più emozione che ragione per convincere gli altri”
di Paola Mariano


Le emozioni e desideri contano più dei fatti, quando si tratta di credere a qualcosa o di compiere scelte considerate ragionevoli. L’idea che dati certi e inconfutabili prove scientifiche abbiano una presa definitiva sul nostro modo di vedere le cose e plasmino il pensiero altrui è destinata a fallire. Ognuno di noi, infatti, dà peso e tende a credere prima di tutto alle informazioni che confermano la propria visione del mondo. A spiegarlo a «Tuttosalute» è Tali Sharot, neuroscienziata dello University College di Londra, autrice di «La scienza della persuasione, il nostro potere di cambiare gli altri» (Urra Feltrinelli).
Professoressa, quali atteggiamenti sono controproducenti quando si vuole influenzare l’opinione altrui?
«Pensiamo che dare degli avvertimenti induca le persone a compiere certe scelte: agitiamo sui nostri figli lo spettro di punizioni se non riordinano la stanza, mentre sui pacchetti di sigarette c’è l’avviso “Il fumo uccide”. Ma molti studi dimostrano che questo approccio ha un impatto limitato. È più efficace alimentare la speranza, spiegando che cosa fare per migliorarsi: per esempio, spronando il proprio figlio con una frase del tipo: “Se riordini la stanza, ritroverai quel gioco che hai perso”. Anche dare ordini, poi, è poco produttivo, perché toglie all’interlocutore la sensazione di essere in controllo di se stesso e di scegliere, rendendolo così demotivato e ansioso».
Perché fornire dati e fatti spesso non funziona?
«Perché è come dire agli altri: “Io ho ragione e tu torto e ora te lo dimostro”. Anche se hai una borsa piena di prove sulla correttezza della tua opinione, le persone tendono a ignorarle. Per cambiare il pensiero altrui dobbiamo partire dagli aspetti che ci vedono d’accordo: pensiamo a questioni controverse come il legame tra autismo e vaccini. Fornire prove scientifiche contro tale tesi è inutile. Per aprire un dialogo produttivo è meglio partire da un’informazione che nessuno nega e cioè che i vaccini proteggono dalle infezioni».
Quali, allora, i fattori fondamentali per influenzare (positivamente) gli altri?
«Un approccio che mette davanti a tutto i fatti ignora ciò che ci rende umani, cioè desideri, motivazioni, paure. La scienza dimostra che, fornendo dati a supporto di una tesi già appoggiata dal nostro interlocutore, lui, o lei, li accetterà a braccia aperte. Altrimenti, li ignorerà. Se diamo a un amante della carne prove del fatto che mangiarla fa male, non ci darà credito e, viceversa, se le prove sono a favore della carne, ci darà ascolto. Abbiamo scoperto che, quando qualcuno è in disaccordo con le tue idee, il suo cervello è come si spegnesse per non assorbire quello che dici. Viceversa, se c’è un accordo, presta massima attenzione».
Che cosa è cruciale, quindi, per arrivare a un accordo?
«Fare leva sulle emozioni, prima di tutto. Il piano emotivo è un modo efficace per convogliare informazioni ed è più probabile ricordare un messaggio che solleciti l’emotività, la quale, poi, influenza le capacità mnemoniche. L’amigdala, che governa le emozioni, comunica con il centro della memoria, l’ippocampo, e con i lobi frontali che regolano l’attenzione».
E poi cosa si deve fare?
«Evitare di mettere in primo piano le cattive notizie e concentrarsi sugli aspetti positivi di una questione. Dare, infine, la sensazione di poter scegliere e di essere protagonista delle proprie decisioni: per il cervello questa condizione è gratificante come il cibo e l’acqua».