il manifesto 12.6.18
Populismo e trasformismo, la lezione di Gramsci
di Fabio Vander
Che
c’entra Gramsci con il nuovo governo della destra e dei populisti? Chi
voglia provare a capire i caratteri della nostra (eterna) crisi non può
fare a meno delle sue analisi. Che come quelle di ogni classico
mantengono intatta nel tempo la loro attualità.
In una nota del
«Quaderno 6» scrive proprio del “populismo”: esso è una forma di
neutralizzazione del protagonismo delle masse; di fronte alla loro
domanda di diritti e di potere le classi dominanti «reagiscono con
questi movimenti ‘verso il popolo’». Il “pensiero borghese”, aggiunge
Gramsci, «non vuole perdere la sua egemonia sulle classi popolari e, per
esercitare meglio questa egemonia, accoglie una parte dell’ideologia
proletaria».
La parola chiave è “egemonia”. Il “populismo” è
insomma il travestimento della destra che si fa sinistra, per conservare
il potere economico, politico e culturale accoglie “parte” delle
istanze di sinistra: il lavoro, le tasse, le domande securitarie, le
identità corporative o di campanile, fino a certo deteriore
“nazionalismo popolare” del ‘sangue e suolo’.
In una nota del 1930
Gramsci aveva indagato il fenomeno dall’altro verso: non dell’andare al
popolo dei potenti, ma della ripulsa della politica da parte del
popolo. Popolo che prova «avversione verso la burocrazia» o «odia il
funzionario», antipolitica diremmo oggi, ma che pure non riesce a darsi
una strategia autonoma di alternativa. Si tratta, nota acutamente
Gramsci, di «odio ‘generico’ ancora di tipo ‘semifeudale’, non moderno, e
non può essere portato come documento di coscienza di classe».
Due
elementi: è una politica immatura quella del populismo, regressiva;
d’altro canto non è possibile populismo ‘di sinistra’ (osservazione non
scontata, non mancano oggi infatti tentativi di declinazione progressiva
del populismo, direi da Laclau a Mélenchon). Occorre invece una critica
moderna dello stato di cose esistente. Che solo la politica può dare.
Contro populismo e antipolitica occorre non farsi corrivi con lo spirito
dei tempi, non porsi “sulla difensiva” rispetto al piano egemonico
dell’avversario. E invece la sinistra italiana, già agli occhi di
Gramsci, scontava proprio un difetto politico, di «scarsa efficienza dei
partiti», ridotti a «bande zingaresche» o al «nomadismo politico».
L’eterno trasformismo della politica nazionale.
Questa doppia
debolezza strutturale della destra di governo e della sinistra di
alternativa è la ragione profonda ed esaustiva non solo della fragilità
storica della nostra democrazia, ma dell’intero nostro tessuto civile,
se è vero che in Italia non è «mai esistito un ‘dominio della legge’, ma
solo una politica di arbitrii e di cricca personale e di gruppo».
Si
pensi proprio alla nascita del governo Conte. Sul manifesto Gaetano
Azzariti ha parlato di «gestione del tutto privata della crisi», con «il
programma di governo trasformato in un contratto tra due signori
stipulato davanti a un notaio, le cui obbligazioni sono assolte da un
loro fiduciario». Populismo e privatismo possono ben andare insieme.
Come per altro avevamo imparato già da Berlusconi.
L’alternativa a
tutto ciò deve essere chiara e netta: tornare alla politica, al
«dominio della legge», dell’interesse generale. Perché se certo la colpa
dell’antipolitica è della politica, pure l’antidoto all’antipolitica
può essere solo di nuovo la politica. Combattere il populismo si deve
rivendicando la nobiltà della politica. E praticandola. Rischiando anche
l’impopolarità dell’antipopulismo (tanto più che il risultato
straordinario del referendum del dicembre 2016 prova che nei momenti
topici il popolo italiano mostra discernimento e intelligenza politica).
Ancora
Gramsci ricorda che il fenomeno dell’“apoliticismo” si spiega col fatto
che i partiti in Italia «nacquero tutti sul terreno elettorale»,
risultato di «un insieme di galoppini e maneggioni elettorali,
un’accolita di piccoli intellettuali di provincia», senza visione, senza
strategia, senza senso della politica.
Queste dunque le priorità
della possibile e necessaria alternativa al populismo: organizzazione
delle masse popolari, autonomia culturale e politica, un partito della
sinistra in grado di corrispondere al dettato dell’articolo 49 della
Costituzione: «Concorrere con metodo democratico a determinare la
politica nazionale». Avendone un’idea possibilmente: di interesse
nazionale, di politica, di democrazia.