Internazionale 22.6.18
La settimana
Diversivi
di Giovanni De Mauro
“Il linguaggio può dar forma al nostro modo di pensare. E Donald Trump questo lo sa”. Il linguista George Lakof continua a fornire strumenti per capire i meccanismi della propaganda politica, non solo statunitense. Donald Trump ha fatto il venditore per quasi mezzo secolo, e ora sta vendendo se stesso e la sua visione del mondo, ha scritto Lakof sul Guardian. Per farlo usa il linguaggio e i mezzi d’informazione: il presidente degli Stati Uniti sa che la stampa non riesce a resistere alla tentazione di ripetere le sue sparate, soprattutto quelle più esagerate e offensive, e questo gli consente di trasformare i giornalisti in involontari megafoni. Ripetute sui mezzi d’informazione e sui social network, le sue bugie raggiungono milioni di persone. E finiscono per diventare la verità. Esperti di marketing e pubblicitari conoscono bene questi meccanismi. Invece la maggior parte dei giornalisti, scrive Lakof, non sa come affrontare un abile venditore con un’istintiva capacità di manipolare gli interlocutori. I tweet di Trump non sono mai casuali. Ci sono quelli che appartengono alla categoria del “framing preventivo”, che servono a dare un’interpretazione dei fatti prima che lo facciano altri. Ci sono i “diversivi”, per distogliere l’attenzione da questioni delicate. C’è il “cambio di direzione”, quando la responsabilità viene spostata sugli altri. E c’è il “ballon d’essai”, per vedere come le persone reagiscono a un’idea. Lakof dà ai giornalisti alcuni suggerimenti. Smettere di diffondere le bugie di Trump, evitando di ripetere nei titoli le sue stesse parole. Concentrarsi sulle notizie da cui Trump sta cercando di distogliere l’attenzione e sui fatti che le sue strategie vogliono nascondere. Impedirgli di orientare il dibattito politico, non rincorrendo le sue dichiarazioni e, quando è strettamente necessario pubblicarle, fornendo sempre un contesto più ampio per poterle interpretare meglio.
Internazionale 22.6.18
Le biblioteche sono un tesoro
The Guardian, Regno Unito
C’è qualcosa di unico e prezioso in una biblioteca pubblica. Le biblioteche sono una delle basi della civiltà. Permettono ai vivi di dialogare con i morti, e questo tiene in vita una cultura. Ascoltiamo la voce degli autori del passato, e nei loro testi ritroviamo le nostre preoccupazioni. Quando saremo morti, altri parleranno dei libri che sono nati da questo rapporto. Ma per gran parte della storia umana le biblioteche sono state un bene privato. La cultura era inaccessibile alle famiglie che non possedevano libri. La biblioteca pubblica, una delle grandi innovazioni dell’epoca vittoriana, ha cambiato le cose. La povertà o l’ignoranza dei genitori non potevano più imprigionare la curiosità di un bambino. Tutti potevano leggere tutto, o quasi. Era un loro diritto. Questa idea è ancora viva in alcuni paesi, ma nel Regno Unito sta soffocando. Con i tagli ai fondi pubblici le biblioteche sono state colpite senza pietà. Hanno perso libri, personale e ore di apertura. Più di quattrocento biblioteche e 140 biblioteche mobili sono state chiuse. La giustificazione è che le amministrazioni locali non hanno più i fondi necessari e che la priorità dev’essere assegnata alle case popolari e all’assistenza sociale. Altri sostengono che internet ha quasi eliminato la necessità di una biblioteca. Al contrario, internet ha reso le biblioteche (e i bibliotecari) ancora più utili. Milioni di persone sono spiazzate dalle sfide del mondo digitale e dalla richiesta di interagire attraverso uno schermo. La biblioteca non è solo una porta verso un altro mondo. È un comitato di accoglienza e una guida nelle terre sconosciute dell’intelletto. Come ha detto lo scrittore Neil Gaiman, Google può darti centomila risposte a una domanda, ma un bibliotecario può indicarti la risposta giusta.
Ora il governo irlandese vorrebbe estendere l’orario d’apertura di duecento biblioteche dalle 8 del mattino alle 10 di sera, sette giorni alla settimana. L’obiettivo di raddoppiare i visitatori entro cinque anni contrasta positivamente con l’atteggiamento britannico. Purtroppo, però, durante le ore supplementari non ci sarà personale e le biblioteche resteranno aperte solo per quelli che sanno come usarle. È meglio di niente, ma significa non capire tutto quello che le biblioteche pubbliche possono fare per le comunità. Le biblioteche sono fatte di bibliotecari, non del contenuto dei cataloghi. Queste persone non sono solo un bene pubblico, ma un tesoro pubblico.
Internazionale 22.6.18
Argentina
La vittoria delle donne
“Il 13 giugno, poco prima che cominciassero i Mondiali, tutti gli occhi dell’Argentina erano puntati su un solo obiettivo. E non era calcistico. Alla camera dei deputati si stava discutendo un progetto di legge per depenalizzare l’aborto entro la quattordicesima settimana di gravidanza e l’esito della votazione non era affatto scontato”, scrive Joseina Licitra sul New York Times. Dopo quasi 22 ore di dibattito, “con 129 voti a favore, 125 contrari e un’astensione, la camera ha approvato il progetto di legge che legalizza l’interruzione volontaria di gravidanza. Quando i numeri sono stati resi noti, centinaia di migliaia di donne e uomini che per tutta la notte avevano seguito la discussione in piazza a Buenos Aires, sono esplosi in grida di gioia e applausi”, racconta l’attivista e giornalista Soledad Vallejos su Página 12. “L’Argentina è un paese che sarà ricordato per i pañuelos, i fazzoletti indossati dalle sue donne”, scrive Sandra Russo sullo stesso quotidiano. “Quelli bianchi portati dalle donne più anziane, oggi quasi novantenni, che hanno vissuto la dittatura militare e quelli verdi delle giovani donne del movimento femminista Ni una menos, che hanno lottato per avere un aborto legale e sicuro. Il loro grido è stato collettivo e trasversale. Queste donne, disposte a portare avanti una battaglia di tante generazioni, dicono quello che pensano, sanno quello che dicono e lottano per conquistarlo. Sono loro la nostra vittoria”. La legge deve ancora essere approvata dal senato, dove sarà discussa a settembre. Secondo Joseina Licitra, “l’esito dipenderà anche dal potere di persuasione del presidente conservatore Mauricio Macri, che potrebbe far pendere la bilancia a favore della depenalizzazione. Finora, però, Macri non si è pronunciato. “Sono a favore della vita, ma non impongo a nessuno il mio punto di vista”, si è limitato a dire.
Internazionale 22.6.18
I sogni interrotti
Di Rowan Hooper, New Scientist, Regno Unito.
Dormiamo tutti troppo poco. La riduzione del sonno, soprattutto di quello rem, condiziona anche la nostra capacità di sognare. Con effetti negativi sulla creatività, sulla memoria e sull’elaborazione notturna delle emozioni
Avete presente la sensazione di quando qualcuno vi sveglia mentre siete nel bel mezzo di un sogno bellissimo? È una sensazione di perdita, come l’episodio di una serie tv che finisce nel momento di massima suspense. Vorresti tornare indietro, ma non è più possibile. A me succede ogni mattina. Ho un bambino che dorme nella mia stessa stanza e tutti i giorni, molto presto, vengo strappato dal sonno, spesso a metà di un sogno. Potrebbe sembrare una lamentela di poco conto. Pensiamo che il sonno in cui sogniamo sia poco importante, il parente povero del sonno profondo, riposante e indispensabile. Ma oggi si sta affermando l’ipotesi che i sogni siano molto più di avventure mistiche notturne. Studi recenti suggeriscono che la fase rem del sonno, quella in cui il movimento degli occhi è rapido e facciamo i sogni più potenti, è fondamentale per l’apprendimento e la creatività, e favorisce la salute mentale sotto molti punti di vista. Non è un capriccio romantico affermare che, se rinunciamo ai nostri sogni, non realizzeremo mai a pieno il nostro potenziale. La privazione cronica del sonno non è solo un problema di chi ha figli piccoli. Andare a letto ubriachi o sballati, assumere medicine o semplicemente usare la sveglia per alzarsi la mattina sono azioni che possono inibire i sogni. Quindi, dato che in questo momento dormo poco, voglio capire se rinunciare all’attività onirica è davvero un problema e cosa possiamo fare per riprenderci i nostri sogni. Oggi quasi tutti sanno che dormire è fondamentale per stare bene. La mancanza di sonno provoca fragilità emotiva e rende più difficile prendere decisioni, ma può anche indebolire il sistema immunitario e favorire malattie metaboliche come l’obesità e il diabete di tipo 2. Inoltre influisce sull’alzheimer e sulla salute mentale, per esempio sulla depressione.
Negli Stati Uniti la National sleep foundation raccomanda agli adulti di dormire tra le sette e le nove ore a notte. Il problema è che non lo facciamo. Secondo uno studio del 2015, solo il 35 per cento degli statunitensi dorme a sufficienza. Nel Regno Unito il 60 per cento delle persone dichiara di dormire meno di sette ore a notte. La mancanza di sonno è stata definita un’epidemia globale emergente. Eppure di solito non consideriamo il sonno una priorità come altri aspetti della nostra salute. Ho sempre pensato che l’importante fosse dormire un numero decente di ore – diciamo sei – e che la maggior parte dei benefici per la salute fossero legati al sonno profondo che abbiamo all’inizio della notte. Ma a mano a mano che si studiano gli effetti del sonno sulla salute, si scopre che le cose non stanno esattamente così. Secondo alcuni studiosi è in corso un’epidemia di perdita di sonno rem. Per Rubin Naiman, del centro per la medicina integrativa dell’università dell’Arizona, non soffriamo solo di privazione del sonno, ma anche di privazione dei sogni. Un problema sottovalutato Per capire cosa sta succedendo cominciamo dalla sgradita sveglia con cui faccio i conti ogni mattina presto. Nel sonno si ripetono cicli di circa novanta minuti ciascuno. In ogni ciclo ci sono tre fasi di sonno non rem, in cui l’attività diventa tranquilla e regolare prima di entrare in una fase di sonno profondo e a onde lente. Dopo il sonno a onde lente, le onde cerebrali cambiano comportamento di nuovo, gli occhi cominciano a muoversi sotto le palpebre e buona parte dei muscoli del corpo si paralizza per evitare di mettere in atto i nostri sogni. È la fase rem, e la proporzione di tempo che trascorriamo in questa fase aumenta a ogni ciclo successivo di sonno nel corso della notte: la mattina presto gran parte dei novanta minuti può trascorrere in fase rem. Sogniamo anche in altre fasi del sonno, ma questi sogni di solito sono privi di emozioni, riguardano cose semplici e sono difficili da ricordare. In poche parole, sono noiosi. È nella fase rem che hanno luogo i sogni classici, quelli fatti di sovrapposizioni strane, azioni fisicamente impossibili ed eventi enigmatici e carichi di emozioni. Se vi svegliate con una sveglia (o con un bambino piccolo che chiama) tutto questo scompare. “Se usate il sonno rem come strumento per sognare allora sì, i sogni si stanno riducendo”, sostiene Tore Nielsen del Laboratorio del sogno e dell’incubo di Montréal, in Canada. Naturalmente è difficile separare in modo netto gli effetti del sonno rem in sé dai sogni che si fanno in questa fase. Ma Naiman si spinge fino ad affermare che la perdita di sogni è un rischio non riconosciuto per la salute pubblica. “La medicina del sonno dovrebbe essere chiamata medicina del sonno e del sogno”, dice. Alcuni dei principali effetti della riduzione dei sogni sembrano riguardare l’apprendimento, la memoria e la creatività. Nel 2017, per esempio, Sylvain Williams e i suoi colleghi dell’università McGill di Montréal hanno mostrato gli effetti della mancanza di sonno rem sui topi. Il gruppo di ricercatori ha dimostrato che, sottoponendo l’ippocampo, la parte del cervello dove vengono conservati i ricordi, a privazioni delle onde cerebrali generate durante la fase rem, i topi non potevano consolidare i ricordi relativi alle azioni che avevano imparato il giorno precedente. Invece sottoponendo l’ippocampo a interruzioni simili quando i topi erano svegli o in una fase di sonno non rem, gli animali erano in grado di formare dei ricordi in maniera normale. Qualsiasi interferenza con il sonno rem avrà conseguenze gravi, sostiene György Buzsáki dell’istituto di neuroscienze dell’università di New York. “C’è un buon motivo se la natura ha inventato il sonno rem come uno dei suoi ingredienti fondamentali”, dice.
Nucleo emotivo
Un altro vantaggio del sonno rem e dei sogni associati a questa fase è che stimolano la creatività. Sara Mednick dell’università della California a Irvine ha misurato la creatività delle persone dopo averle fatte riposare in vari modi: da svegli, con un sonno non rem oppure con una pennichella. Poi ai volontari è stato chiesto di trovare una parola a cui ne fossero collegate altre tre. Per esempio le parole inglesi cookies, heart e sixteen (biscotti, cuore e sedici) sono collegate all’aggettivo sweet, dolce. Le persone che erano entrate in sonno rem hanno mostrato capacità creative maggiori rispetto alle altre. È logico se si pensa che il sonno rem sembra mettere il cervello in uno stato in cui non può stabilire le associazioni tra le cose che normalmente ci si aspetta. È per questo che facciamo quegli stranissimi sogni in cui incontriamo persone in fondo all’oceano e non pensiamo al fatto che stiamo respirando acqua o stiamo parlando con parenti morti da tempo. In realtà, secondo molti ricercatori questa capacità associativa folle è fondamentale per il ruolo del sonno rem. Forse una parte della sua funzione è spingerci verso uno stato creativo. Questo potrebbe portarci a individuare la funzione stessa dei sogni. Per anni speculare sulla loro utilità è stato un tabù. Molti scienziati ammetteranno solo che i sogni sono una conseguenza divertente del sonno rem. Secondo Robert Stickgold, della Harvard medical school, c’è molto di più. I suoi studi hanno mostrato che la maggioranza dei sogni ha un nucleo emotivo. “Una delle ragioni per cui sogniamo è che abbiamo delle reazioni emotive”, dice Stickgold. “Fanno parte del meccanismo che il cervello usa per scegliere tra varie potenziali interpretazioni”. Per esempio facciamo un sogno su una decisione difficile e il cervello osserva la nostra reazione emotiva rispetto alla cosa. Il giorno dopo possiamo prendere la decisione più facilmente: ci abbiamo “dormito su”. Espressioni simili esistono in gran parte delle lingue. Naiman si spinge oltre. Forse avete sentito parlare dell’apparato digerente come di un “secondo cervello”, un riferimento al fatto che molti neuroni collegano l’intestino al cervello: per questo abbiamo, letteralmente, “sensazioni di pancia”. Allo stesso modo Naiman definisce il cervello sognante un secondo intestino che “smaltisce materiale non digerito nel corso della giornata. Quando dormiamo bene e sogniamo, guariamo meglio dalle difficoltà emotive”, dice. Alcune verifiche iniziali confermano questa teoria. Secondo Rosalind Cartwright, della Rush university di Chicago, i sogni delle donne che soffrono di depressione dopo un divorzio difficile possono aiutarle a guarire. Le donne che hanno riferito un numero maggiore di sogni negativi sui loro ex mariti subito dopo il divorzio avevano più probabilità di stare meglio l’anno dopo rispetto alle donne che non avevano fatto gli stessi sogni. Forse stavano “digerendo” i loro sentimenti negativi. Naiman definisce la teoria digestiva dei sogni psicoterapia endogena o interna. Segue in questo le idee di Els van der Helm e di Matthew Walker, dell’università della California a Berkeley. Secondo loro, il sonno rem è una “terapia notturna” che estrapola le emozioni dai ricordi traumatici o potenzialmente ansiogeni. Van der Helm e i suoi colleghi hanno scoperto che il sonno mitiga la nostra risposta emotiva alle immagini provocatorie. Hanno analizzato l’attività cerebrale di alcune persone, scoprendo che il centro emotivo è meno attivo dopo il sonno. E lo è ancora di più dopo il sonno rem, soprattutto se i sogni sono stati sgradevoli. Ricordi traumatici Gli studi di Van der Helm hanno mostrato che per la maggior parte delle persone il sonno rem svolge un ruolo simile anche sulla memoria: rafforza i ricordi emotivi, ma allo stesso tempo indebolisce la “vibrazione” emotiva del ricordo. “Questo ci permette di processare ricordi emotivi e di non riviverli ogni volta che ritornano”, dice Van der Helm. D’altro canto, le persone che soffrono di depressione possono avere un eccesso di sonno rem, rischiando di sovraccaricarsi di emozioni negative. Di conseguenza, possono erroneamente convincersi che la loro vita sia dominata da eventi negativi. Le cose si complicano anche in presenza di disturbo post-traumatico da stress, quando le emozioni intense legate ad alcuni ricordi non vengono eliminate nel sonno. “La vibrazione emotiva rimane incredibilmente alta e questo porta le persone a rivivere più volte le esperienze traumatiche”, spiega Van der Helm. Non è tutto. Il ricordo diventa troppo indistinto e ingombrante, quindi un numero eccessivo di stimoli diversi tra loro può spingere a rivivere l’evento traumatico. La chiusura brusca della portiera di un’auto, per esempio, può rievocare il suono di un colpo di pistola. Non è ancora chiaro perché succeda, ma forse gli alti livelli di adrenalina che derivano dalla situazione stressante interferiscono con il funzionamento del cervello. “Una buona dormita subito dopo un evento traumatico sembra essere un fattore protettivo”, afferma Van der Helm. Visti i potenziali benefici dei sogni, la lunga lista di comportamenti che li fanno diminuire è preoccupante. A parte svegliarsi presto – da un’inchiesta di YouGov del 2011 è emerso che il 60 per cento degli statunitensi si alza con la sveglia – il comportamento che inibisce di più l’attività onirica è il consumo di alcool. Se andiamo a letto ubriachi, o un po’ brilli, avremo un sonno profondo. Anche un solo bicchiere ritarderà l’inizio della fase rem. Molte persone bevono per andare a dormire, ma forse non conoscono gli effetti sulla qualità del loro sonno. “L’alcol reprime la fase rem”, sostiene Stickgold. Se beviamo molto prima di andare a letto, ci svegliamo più volte nel corso della notte perché il nostro corpo sta processando l’alcool. “Ci sono molte interruzioni che ci spingono a svegliarci, anche se ci sentiamo stanchi morti”, spiega. Anche la marijuana favorisce il sonno profondo e reprime quello rem: se andiamo a letto dopo aver fumato non sogniamo. I fumatori abituali di cannabis riferiscono un chiaro “ritorno” dei sogni dopo aver smesso di assumere la sostanza. In quel caso il sonno rem torna con grande intensità, portando con sé tutti i sogni non fatti in precedenza: un’ulteriore prova dell’importante funzione dei sogni. Con altre sostanze l’effetto è differente. Lo zolpidem è un sedativo che riduce l’attività rem così come molti antidepressivi che promuovono il sonno profondo ai danni di quello rem. Un elemento di confusione, in questo caso, è che la depressione può provocare un eccesso di sonno rem. “I sonniferi o gli antidepressivi possono renderci più svegli, ma a scapito della nostra lucidità”, spiega Stickgold. “Essere svegli significa ricordare tutto quello che è stato detto in una conversazione, ma la lucidità significa essere in grado di capire quali parti di quella conversazione sono utili”. Molti disturbi del sonno, comprese le apnee notturne o l’insonnia, compromettono le diverse fasi del ciclo del sonno riducendo anche l’attività rem. Tuttavia non abbiamo ancora dei dati definitivi per poter affermare che stiamo riducendo la fase di sonno rem né tantomeno che stiamo perdendo la capacità di sognare. A meno di non assumere tutti gli abitanti della Terra e di monitorare le loro onde cerebrali mentre dormono, possiamo spiegare quello che succede al nostro modo di dormire solo basandoci sulle nostre abitudini. Ma la logica e le prove raccolte finora forniscono alcuni dati importanti. Tutti gli scienziati del sonno con cui ho parlato sono d’accordo.
Buoni propositi
Alla luce della nuova comprensione del ruolo del sonno rem, se gli stili di vita contemporanei stanno davvero riducendo la durata del tempo in cui sogniamo, rischiamo senza accorgercene di avere un sacco di problemi. Eppure, nonostante prove sempre più evidenti, non c’è consenso su come funziona esattamente il sonno rem né tantomeno sui danni provocati dalla sua assenza. La proporzione di sonno rem varia molto da una specie animale all’altra, e non ha effetti chiari sulla salute. Inoltre gli effetti evidenziati in laboratorio sono diversi da quelli del mondo reale. Se veniamo privati di sonno a onde lente gli effetti sono evidenti, per esempio ci addormentiamo mentre guidiamo. Con il sonno rem gli efetti sono più sottili. Secondo Mednick, non conosciamo abbastanza gli effetti del sonno rem per poter dire che c’è una crisi legata alla sua mancanza. Dovremmo comportarci come gli atleti con la dieta e l’allenamento, ma per ora non è socialmente accettabile. “Non puoi dire: ‘Ho davvero bisogno di lavorare di più sulle mie capacità percettive, devo essere più creativo e quindi devo schiacciare un pisolino ad alta intensità rem proprio adesso’”. Ma d’ora in poi cercherò di farlo. Starò più attento al mio ciclo del sonno e cercherò di ritagliarmi tempo per un po’ di sonno rem di qualità. Vorrei anche dare più importanza al tempo che trascorro sognando solo per il gusto di farlo: quello che Naiman definisce “yoga spirituale”. Quando parlo con Naiman, per lui sono le sette del mattino. Sembra una bella situazione: può osservare il sole che sorge sulle montagne dell’Arizona. Ma le sette sono l’ora di massima intensità dell’attività rem. Perché Naiman non sta dormendo? “Mi alzo presto, così posso provare empatia per le persone che incontro e soffrono di privazione del sonno”, mi spiega.
Da sapere
Consigli per sognare
Il modo più semplice per entrare nella fase rem è dormire di più e svegliarsi naturalmente. Ma se dovete per forza usare la sveglia, il consiglio è continuare a dormicchiare per altri trenta minuti dopo averla spenta. Secondo Sara Mednick, dell’università della California, a Irvine, “le persone dicono di sognare molto in quel breve periodo”.
Ci sono farmaci in grado di stimolare il sonno rem, per esempio quelli per il trattamento dell’alzheimer, ma non è il caso di assumerli solo per dormire meglio. La melatonina, usata spesso per ridurre gli effetti del jet lag, “potrebbe avere qualche effetto sul sonno rem, ma non è dimostrato”, afferma Russell Foster dell’università di Oxford. Lo stesso vale per gli integratori a base di magnesio e vitamina b. Quindi la pillola per sognare non esiste.
Il formaggio, i piatti speziati e in generale mangiare subito prima di andare a dormire possono provocare incubi e sogni più vividi, perché il metabolismo e la digestione durante il sonno ci fanno svegliare e ricordare i sogni. Ma questo avviene a scapito del sonno profondo.
Il modo migliore per dormire bene e avere un sonno rem è andare a letto e svegliarsi sempre alla stessa ora, evitando la luce degli schermi prima di coricarsi. L’attività fisica fa bene, ma almeno tre ore prima di andare a dormire. Fare sesso è un’attività accettabile. Può aiutare anche fare un bagno o una doccia calda prima di addormentarsi.
New Scientist
l’espresso 24.6.18
Prima pagina
Partigiani
La nostra società va in decadenza se vengono meno la solidarietà e la giustizia sociale
Un cammino di civiltà
di Aboubakar Soumahoro
Caro direttore, osservando quanto stiamo vivendo, a partire dai luoghi delle contraddizioni sociali, mentre scrivo queste poche righe, mi viene in mente quanto diceva Aimé Césaire: «Una civiltà che si dimostri incapace di risolvere i problemi che produce il suo stesso funzionamento è una civiltà in decadenza». Ma cosa vuol dire che una civiltà è in decadenza? Ho ripetuto e sono convinto che la nostra civiltà, intesa come società nelle sue varie articolazioni, è in decadenza quando si sostiene che l’essere “umano” sia un problema, quando vengono chiusi i porti agli esseri umani, mentre invece, le navi da guerra circolano liberamente e indisturbate. La nostra civiltà è in decadenza quando si pensa di risolvere i temi della giustizia sociale, i bisogni degli esclusi e delle escluse attraverso le politiche di austerità, o quando vengono colpiti con leggi repressive, con tagli allo Stato sociale o con la ghettizzazione, coloro i quali decidono di lottare. Quando si utilizza contro chi lotta un linguaggio incendiario e barbaro, perché privo di capacità di argomentazione, o quando si privano lavoratori, precari, disoccupati, studenti e pensionati della possibilità di uscire da questa condizione di impoverimento di massa con l’esplosione delle disuguaglianze sociali e la precarietà esistenziale che ci affliggono. Penso che per uscire da questa situazione non si possa prescindere da processi che definisco di «ricomposizione meticcia». Perché non si può parlare di giustizia sociale se non si parla di antisessismo, di antirazzismo e di antifascismo. Perché la solidarietà è la carne viva della nostra società, che non vuol dire “buonismo”. Solidarietà vuol dire coniugare umanità e giustizia sociale insieme, a partire dai bisogni delle persone in quanto esseri umani e non merce di scambio. Una solidarietà quindi che veda camminare insieme gomito a gomito braccianti e rider, lavoratori del pubblico e quelli del privato, disoccupati e precari, perché accomunati dal bisogno di un uguale salario per un uguale lavoro. Ciò indipendentemente dal colore della pelle e dalla provenienza geografica. Perché il bisogno di un lavoro e di un giusto salario, il diritto all’abitare, alla pensione, a costruirsi un presente e un futuro dignitoso, non possono essere negati a nessuno. Si tratta di bisogni di donne e uomini, che siano gay, lesbiche o meno, che richiedono risposte concrete senza alcuna strumentalizzazione né da parte di coloro i quali ci hanno portato in questo calvario né da chi ci governa oggi. La campagna di banalizzazione e disumanizzazione, con progetti di schedature etniche o guerra a chi salva vite umane, deinendoli taxi del mare, con l’utilizzo di un linguaggio incendiario è sintomo di una decadenza che la nostra umanità non può accettare, culturalmente e socialmente. C’è bisogno di un’umanità aperta che sappia partire dai luoghi delle contraddizioni sociali e culturali. Vale a dire insieme agli “invisibili e sfruttati” sistematicamente e continuamente impoveriti dalle politiche di austerità e dai tagli al welfare e ai servizi sociali, o dalle diverse forme di oppressione che vivono sulla propria pelle. So bene che è una strada impervia e diicile, sono più che consapevole che è lunga la lotta per afermare i nostri diritti, ma siamo in cammino e non abbiamo nessuna intenzione di fermarci.
Aboubakar Soumahoro è un sindacalista della Usb che difende i diritti dei braccianti. È italoivoriano, laureato in sociologia e ha 38 anni. La sua immagine, insieme a quella del ministro dell’Interno Matteo Salvini era sulla copertina dello scorso numero dell’Espresso
“Non sono questo male, e la nostra impotenza ad affrontarlo, il problema, ma come ridurne gli effetti sulle nostre vite, come renderlo, appunto, indifferente per noi. La “cura” consiste tutta nel rimuoverlo…”
l’espresso 24.6.18
Siamo al bivio del Male
L’Europa cessa di esistere se diventa indifferente nei confronti della sofferenza e della sopraffazione
di Massimo Cacciari
Che i “Valori” della nostra civiltà di cui tante volte ci siamo retoricamente fregiati non costituiscano alcuno stabile fondamento, non traccino alcuna salda prospettiva per il nostro agire, ma piuttosto fragili idee regolative, sempre in pericolo, minacciate, sul punto di essere contraddette alla radice, la storia dovrebbe avercelo insegnato usque ad nauseam. Cristianesimo e Illuminismo, in forme antagonistiche e tuttavia inseparabili, hanno certo forgiato aspetti fondamentali della nostra vita, e tuttavia nei momenti in cui un ordine politico e sociale “catastrofizza” ed è difficile anche intravvedere la stessa possibilità di un nuovo ordine, ecco che essi tendono a scomparire, a uscire dal nostro “cono di luce”. La stessa “missione” che alcuni dei suoi grandi interpreti, scienziati, filosofi e politici, hanno considerata propria dello spirito europeo, e cioè ricondurre ogni forma di vita a razionale coerenza, liberandola da ogni dogmatismo e da ogni ossequio verso Autorità che dall’esterno si impongano alla coscienza della persona – questa stessa “missione” sembra ogni volta venire sopraffatta dalle gelide passioni della paura, dell’egoismo, dell’avarizia e dell’invidia quando entriamo in un passaggio d’epoca. È quello che oggi sta avvenendo, e in tale quadro andrebbe considerata anche la cronaca di questi giorni. Magari si trattasse soltanto dell’ignorante bullismo di qualche ministro pro tempore! E tuttavia sembrava più di una speranza quella su cui l’Europa uscita dalla Guerra aveva iniziato a pensare e a costruire la propria unità politica. Come avrebbe mai potuto, infatti, l’Europa imperdonabile, l’Europa che aveva condotto l’intera umanità alla più immane tragedia della sua storia, dimenticare di nuovo l’imperativo categorico di federarsi insieme, di essere solidali gli uni con gli altri, di volere il bene del prossimo nella razionale coscienza che esso è, alla lunga, anche il nostro? La nuova Europa non poteva non aver compreso la propria responsabilità: combattere sul nascere ogni forma di demagogia nazionalista e revanscista, ogni retorica volta a vedere in altre forme di vita o civiltà minacce o nemici. Cosi si ragionava. Fu un’illusione? Forse no, ma la sua idea si fondava su due condizioni venute meno nel tempo. La prima: la memoria ancora viva di quale mondo avesse portato alla catastrofe mondiale, quali idee, quali comportamenti collettivi. La seconda: che l’Europa unita praticasse davvero quei valori di solidarietà, uguaglianza di diritti e accoglienza che si predicavano nelle cerimonie, negli anniversari delle tragedie, nei mea culpa sulle origini dei totalitarismi del Novecento. La memoria della Guerra e delle sue cause vale ormai per i nostri politici come quella di Cesare nelle Gallie e l’idea stessa di un’Europa politicamente e culturalmente unita si va dissolvendo sotto i nostri occhi. Resterà magari l’euro, resterà uno spazio commerciale europeo. Il dominio della shakespeariana universale bagascia non verrà messo in discussione da nessuno. Ma sparirà l’Europa. L’Europa cessa di esistere se diviene indifferente nei confronti del male. L’Europa esce dalla Guerra cosciente che, se vuole spiritualmente e politicamente rinascere, ha il dovere di combattere il male in qualsiasi forma esso si manifesti. Ingiustizia, sofferenza, sopraffazione. Ma il male non è soltanto quello volontariamente perpetrato. Male è anche quello che eseguiamo obbedendo a un ordine. Male è anche quello cui ci rendiamo complici perché non sappiamo ribellarci a chi, cosciente o meno, lo compie. Tuttavia, la sua forma fondamentale, quella più ardua da riconoscere e combattere, quella che può dilagare come un’epidemia senza che quasi la si avverta, è proprio l’anonima indifferenza nei suoi confronti. Banalità del male, diceva Hannah Arendt. Il male si diffonde alla superficie delle nostre vite, le imbeve di sé, diviene qualcosa di quotidiano. Non fa più scandalo. Che vi sia chi soffre atrocemente non è più uno scandalo per la nostra coscienza. Basta tenerlo lontano, non vederlo, che non anneghi nei pressi delle nostre spiagge. Non sono questo male, e la nostra impotenza ad affrontarlo, il problema, ma come ridurne gli effetti sulle nostre vite, come renderlo, appunto, indifferente per noi. La “cura” consiste tutta nel rimuoverlo, o nel riuscire a passarci accanto come i buoni giudei della parabola del samaritano. Da casa, al più, possiamo sopportare di vederne solo il fumo. Un’Europa in cui si lascia dilagare l’indifferenza per il male, in cui manca ogni volontà politica di contrastarne la mascherata violenza, è un’Europa che tradisce il “giuramento”, non scritto, ma realissimo, che ne aveva unito le nazioni dopo la Guerra. Ed è un’Europa tragicamente miope sui propri stessi destini, all’inseguimento di compromessi a brevissimo termine tra i propri stati e staterelli che si presumono “sovrani”, mentre il mondo si ricostruisce su equilibri tra grandi spazi imperiali, per i quali quei “Valori” di cui l’Europa avrebbe dovuto essere operante testimonianza non contano più neppure nelle retoriche politiche. È un’Europa che dopo avere per secoli “trasgredito” con ogni mezzo ogni confine e fatto esodo per tutti i continenti, si richiude in se stessa, si difende da quegli stessi che mai nella sua storia aveva “lasciato in pace”. Un’Europa che chiede soltanto di sopravvivere conservando quello stato economico che le era stato garantito in condizioni geo-politiche del tutto diferenti dalle attuali e assolutamente irripetibili. Macroscopica contraddizione. Intanto, nell’impotenza dei nostri pseudo-leader a riconoscerla e superarla, scarichiamo gli uni sugli altri la responsabilità per il male, fattosi banale, quotidiana, supericiale notizia. Colpevoli tutti, tutti innocenti - da sempre il motto delle anime morte.
l’espresso 24.6.18
Cultura
Le parole del presente/2 ONESTÀ
Dagli ideali di Tolstoj e dai tormenti di Dostoevskij alle promesse del populismo. Un grande scrittore spiega perché fuggire la corruzione non equivale a fare giustizia a doppio taglio colloquio con Javier Cercas
di Wlodek Goldkorn
E poi c’è la parola “onestà”. Quante volte l’abbiamo sentita gridata nei comizi, declinata nei discorsi dei politici (onesti e disonesti), evocata nei testi degli uomini e donne che fanno opinione. Ma basta l’onestà per far buona politica e per far prevalere il bene sul male?
La domanda non è retorica né demagogica, tanto che a un certo punto della sua vita, un uomo come Tolstoj sembrava essersi convinto che la Redenzione laica (e non solo quella religiosa) passasse appunto per una mobilitazione degli onesti contro i bugiardi e i falsi. Dell’onestà abbiamo parlato con Javier Cercas, scrittore spagnolo tra i più bravi del nostro Continente, autore di romanzi dove con estremo rigore etico ed estetico racconta e mette in scena storie scomode, come la scelta di un suo zio di militare nelle forze armate franchiste contro la Repubblica (“Il sovrano delle ombre”); o quella di un soldato repubblicano di risparmiare la vita a un ideologo falangista (“Il soldato di Salamina”) e via elencando. Prima di entrare nel cuore delle nostre domande Cercas fa una lunga e indispensabile premessa. Dice: «Oggi, molte parole bellissime vengono usate come maschere, come uno specchio deformato, per dire il contrario del loro significato originario. Si viola la libertà in nome della libertà. Si dicono menzogne in nome della verità. Si corrompe in nome dell’onestà. Dell’onestà parlano i politici convinti invece che l’unica cosa importante sia la conquista del potere e quindi che il fine giustifichi i mezzi. Io invece penso al contrario, in democrazia sono i mezzi a giustificare i fini. Uno scopo giusto si corrompe se i mezzi per raggiungerlo non sono buoni né onesti. Ha presente l’immagine di Barack Obama e Hillary Clinton mentre stavano guardando sullo schermo del computer l’azione in cui veniva ucciso Bin Laden? Il messaggio implicito in quella immagine era: è lecito usare un mezzo terribile per fare bene? E Obama ha fatto bene? Felipe González, nostro ex premier ha detto recentemente in tv: ho avuto la possibilità di uccidere tutta la direzione dell’Eta ma non l’ho fatto. E ha aggiunto; non so se ho fatto bene. E allora, González ha risparmiato vite umane o è stato codardo?
Aggiungo, Max Weber diceva: il politico fa il patto con il diavolo, perché fa il patto con la violenza». In fondo quella di usare mezzi sbagliati per un fine buono e di aver stretto il patto con il diavolo, è la storia del comunismo. «Un fine bellissimo, corrotto dai mezzi, per cui il comunismo è una parola da non usare».
Cominciamo con le domande. Partendo da un gigante, Tolstoj. In “Guerra e pace” Pierre Bezuchov dice a Natasha: «Se le persone viziose sono tutte quante collegate tra di loro e perciò sono una forza, basterebbe che le persone oneste facessero lo stesso». Anche oggi, spesso vince l’idea che basta che gli onesti si mettano insieme contro i corrotti e i bugiardi per cambiare il mondo.
«Pierre Bezuchov è ingenuo. Ma è un personaggio letterario».
Sappiamo che è Tolstoj a parlare con la voce di Bezuchov.
«Lo presumiamo. Comunque io non sono d’accordo con questa frase, perché penso che il mondo non si divida tra gli onesti e i disonesti e fra i giusti e gli ingiusti. Le persone oneste possono diventare disoneste e i giusti possono diventare ingiusti, i coraggiosi possono rivelarsi codardi.
L’animo degli uomini e delle donne è complesso e contraddittorio. Per questo la vita sociale ha bisogno delle regole. Da voi in Italia il Movimento Cinque Stelle e da noi in Spagna gli attivisti di Podemos dicono: siamo gente onesta. L’ingresso dei grillini al governo viene presentato come l’arrivo dell’onestà al potere. Ma questa rappresentazione è un errore e un’ingenuità, oppure una forma di cinismo. Non sono giovanissimo e quindi mi ricordo quando per la prima volta i socialisti spagnoli arrivarono al governo, dopo 40 anni di franchismo. Ci sembrava una festa. I socialisti erano i giusti e gli onesti. Ma poi è successo che i socialisti sono diventati disonesti, e corrotti». Quindi?
«Quindi la meraviglia della democrazia non sta nel carattere delle persone ma nel rispetto delle regole. Tutto qui».
Possiamo azzardare un’ipotesi? Dentro l’animo di ognuno di noi - uno scrittore lo sa perché il suo mestiere è indagare e raccontare l’animo umano - è insito un elemento del Male. Ognuno di noi è un potenziale carnefice. Ma non tutti lo diventiamo. Vale anche per la corruzione?
«Infatti, è molto più importante capire il carnefice che la vittima. Certo, la solidarietà con le vittime deve essere assoluta, ma dobbiamo comprendere il boia. Sarebbe straordinario capire Hitler».
Ma ci sarà un limite all’empatia. Lei, in “Il sovrano delle ombre” descrive un soldato franchista, Manuel Mena. Per come lei lo racconta potrebbe essere un nostro fratello, salvo che in guerra l’avremmo ucciso. Ma allora fin dove si può essere empatici, fin dove è lecito capire? È una domanda sull’onestà dello scrittore e sull’etica della letteratura e quindi sull’onestà del nostro immaginario collettivo.
«Per me è una questione essenziale. Rispondo: non c’è limite all’empatia. Quello che deve fare uno scrittore, ma anche un filosofo, è capire tutto, capire i peggiori. Capire non vuol dire giustificare. Ma il contrario. Capire è darci le armi per non diventare carnefici e corrotti».
Quindi Primo Levi quando diceva che capire è un po’ giustificare sbagliava? Lo vogliamo dire? «L’ha posta, come domanda, Tzvetan Todorov».
Possiamo spingerci oltre? Levi, essendo una vittima, non poteva capire il carnefice.
«Appunto. Per una vittima capire il suo boia significa autodistruggersi. Però, a pensarci bene, me la sento di dire che Levi non sbagliava: La sua “Trilogia di Auschwitz” (in Spagna “Se questo è un uomo”, “La tregua” e “I sommersi e i salvati” sono usciti appunto come “Trilogia di Auschwitz”, ndr) è ovviamente un geniale tentativo di comprensione. Uno sforzo di capire tutto».
Stiamo parlando dell’onestà letteraria e intellettuale.
«Certo. E continuo. Sappiamo tutti chi era Hitler. Ma allora la domanda è come mai un pazzo, un oligofrenico come lui sia riuscito a conquistare l’animo della Germania, il Paese più colto, e anche quello di mezzo mondo. Se oggi ci fosse un Dostoevskij, un Cervantes o uno Shakespeare in grado di capire quella testa, avremmo un’arma per impedire che un personaggio come Hitler torni. È come quando abbiamo paura di una bomba che sta per scoppiare. Non basta urlare: qui c’è una bomba. Occorre un artificiere per disattivarla. A questo serve la letteratura e il pensiero complesso. E per questo non bisogna porre limiti alla letteratura e all’empatia. Del resto Shakespeare era empatico con Riccardo III, un assassino feroce. E anche chi legge “Delitto e castigo” è in grado di capire un assassino. Questa è l’onestà dello scrittore e l’etica della letteratura. Aggiungo un esempio: come faccio a giudicare Manuel Mena (il soldato franchista del romanzo “Il sovrano delle ombre”, ndr)? Quello che devo fare è comprenderlo. Aveva solo 17 anni».
In altre circostanze avrebbe potuto essere un eroe repubblicano. Cercas, che rapporto c’è tra onestà e verità? Abbiamo parlato di Levi e della sua estrema e radicale onestà. Si può osar dire che Levi per raccontare Auschwitz, da grandissimo scrittore quale era - uno dei più grandi del Novecento - doveva immaginarsi Auschwitz?
«Immaginare vuol dire dare un senso». Ma se la verità nasce nel racconto, ci sono tante verità. «Credo che la verità esista. Ma penso anche che chi crede di possedere la verità o è uno stupido, o un fanatico, o un pazzo, o tutte e tre le cose. Detto questo: una cosa è la verità letteraria un’altra la verità dei fatti. La verità dei fatti è concreta, la verità letteraria è una verità morale, universale. È la finzione che cerca di indagare su cosa succede a tutti gli umani, in tutto il mondo e in tutti i Paesi. E questa verità è il risultato della forma. “Guerra e pace” o “Don Chisciotte” parlano di ciascuno di noi. Siamo tutti protagonisti di Tolstoj e di Cervantes. Ecco, non c’è verità letteraria senza onestà. Ma l’onestà è come la democrazia. È forma».
Esiste una verità politica?
«Esiste la menzogna che è una forma di disonestà in politica. Oggi sta trionfando (basti guardare l’esempio di Trump) perché il disprezzo della verità è enorme. Ed è una situazione pericolosissima».
Lei, nei suoi libri si è sempre occupato del rapporto tra onestà e memoria. Oggi, la memoria, è sacralizzata...
«La interrompo per dire che una memoria sacralizzata è come se non ci fosse».
E anche il tempo è stato abolito. È tutto nel presente. Ed è facile essere disonesti quando non c’è più memoria. Senza memoria si può raccontare la storia che si vuole.
«Sono d’accordo. Oggi, la possibilità di manipolare le menti e i fatti è più grande che mai. Viviamo in una dittatura del presente. È questo uno dei risultati del potere dei media che ormai non riflettono la realtà ma la creano. Per i mezzi di comunicazione, la tv e i social media, la settimana scorsa è preistoria. Il passato è roba da biblioteche, archivi, che può interessare gente strana come me. Ma una simile tesi è menzognera. E sa perché? Perché il passato e soprattutto un passato di cui c’è ancora la memoria e i testimoni, non è passato; è invece parte del presente senza il quale il futuro è mutilato. Diceva T.S. Eliot: “Il tempo presente e il passato sono forse entrambi presenti nel tempo futuro e il tempo futuro contiene il passato”. Vede, il potere costruisce sempre un racconto manipolato del passato, perché sa benissimo che per controllare il futuro e il presente occorre controllare il passato. Mi ha chiesto qual è il rapporto fra onestà e memoria? La sacralizzazione della memoria che è una forma della sparizione della memoria, rende diicile l’onestà e facile la manipolazione. Aggiungo: Pierre Nora, il grande storico, ha detto una volta che la memoria viene ormai a sostituire la storia e che il Ventunesimo secolo sarebbe stato il secolo dell’oblio».
Forse è arrivato il momento di chiederglielo direttamente: cosa è l’onestà?
«L’onestà è una virtù. E la virtù o è segreta o non è. L’unico uomo puro dei miei libri è il soldato di Salamina, che salva una vita (la vita del poeta franchista, ndr), ma nessuno lo sa e lui muore da solo e nell’anonimato. L’uomo diventato famoso con la virtù è invece Enric Marco (il protagonista di “L’impostore”, storia di Enric Marco che per decenni pretese di essere stato prigioniero a Mauthausen; incarnava in pubblico la memoria delle vittime del fascismo, ma si è inventato quasi tutto, ndr). Marco ha trasformato la virtù in uno spettacolo. Ma torniamo alla guerra civile: dal punto di vista politico i repubblicani avevano ragione. Ma dal punto di vista etico i repubblicani hanno fatto tante cose sbagliate. Molto spesso gente onesta ha appoggiato cause ingiuste».
Sta parlando delle suore stuprate e uccise, dei preti assassinati. Ma parliamo invece, per un attimo, del ruolo degli intellettuali. Uomini e donne come Zola o Camus o Hannah Arendt erano l’onestà fatta persona. Oggi, l’intellettuale è considerato una specie di radical chic, lontano dal popolo. Ha senso il ruolo dell’intellettuale?
«Dipende cosa intende per intellettuale».
Colui o colei che dice «il re è nudo», mentre tutto il mondo elogia i vestiti del re.
«Io lo dico in un altro modo. Io dico di no, quando tutti dicono di sì. Ha citato Camus. Cosa è un uomo in rivolta? È un uomo capace di dire no. Questo è l’intellettuale. Quando il mondo diventa sovranista io dico di no, io non lo sono. Per me l’emblema di intellettuale è Kafka. Kafka partecipava a una riunione degli anarchici. Entrò la polizia e intimò agli astanti di disperdersi. La gente cominciò a scappare. Kafka invece restò fermo, immobile. E si fece arrestare. Detto questo oggi molti intellettuali sono troppo frivoli, appoggiano cause sbagliate e dicono di sì».
Lei una volta ha contrapposto i quadri di Velázquez a quelli di Goya. I soldati in battaglia di Velázquez sono pervasi di una certa gravitas, la battaglia ha un che di solenne; in Goya, la guerra è invece cruda e crudele.
«La verità di Velázquez è una verità idealizzata. Lui dipinge gli uomini come dovrebbero essere, non come sono».
Ma non era disonesto.
«Non lo era di certo. Non nascondeva niente, ma presentava le cose come sarebbe stato bello che fossero. Narrava la guerra come un fatto nobile. Lo faceva pure Omero e in fondo l’epica in questo consiste: nella narrazione di gesta nobili dei guerrieri. Goya invece era un visionario. Al Museo del Prado a Madrid ci sono due suoi quadri sulle fucilazioni alla Moncloa (il 3 maggio 1808, durante l’invasione francese della Spagna, ndr). Nel primo racconta la ribellione degli spagnoli contro Napoleone. In quel quadro gli spagnoli commettono atrocità. Nel secondo, i carnefici sono i francesi e le vittime gli spagnoli. È questa, per me l’onestà».
Ultima domanda, di rito. Vede un futuro per la sinistra?
«Sì, a patto che sia capace di autocritica. La sinistra senza la democrazia non è sinistra. Fidel Castro, per fare un esempio, non era di sinistra. La sinistra è Concordia, Prosperità, Democrazia. Aggiungo anche, a scanso di equivoci: il populismo, che sembra così forte, è solo una tecnica di conquista del potere, ma non ha un programma. Non basta dirsi onesti per stare dalla parte del popolo».
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