internazionale 1.6.18
Cortesie tra esseri umani e assistenti digitali
“Alexa,
apri il gioco!”, diranno un giorno gli adolescenti. E il dispositivo
intelligente eseguirà il comando. Ma è questo il modo giusto per
comunicare con le macchine?
Di Ken Gordon, The Atlantic, Stati Uniti
All’inizio
degli anni ottanta ero un bambino che programmava in un linguaggio
chiamato Basic. Avevo i capelli a caschetto e l’apparecchio, e mi
ricordo che battevo sulla tastiera di un vecchio computer: 10 PRINT
“[qualunque cosa]” 20 GOTO 10 Dopo aver premuto il tasto “invio”
appariva sullo schermo una colonna piena di qualunque cosa avessi
inserito tra virgolette: [Qualunque cosa] [Qualunque cosa] [Qualunque
cosa] Negli anni le mie competenze informatiche sono migliorate, ma non
ho dimenticato quella prima stringa di codice perché mi ha permesso di
impartire, per la prima volta, un comando. Non aveva grandi conseguenze,
ma mi rendeva felice. Oggi il rapporto di potere è cambiato. Mio figlio
Ari, 13 anni, è molto più bravo con i computer di quanto lo fossi io
alla sua età e ha accesso a strumenti avanzati. Tutto questo mi fa
pensare al futuro dei computer, ora che la tecnologia si allontana da un
modello fatto di tastiera e monitor. Pensiamo a Echo, l’altoparlante
intelligente di Amazon: nonostante le sue qualità magiche Echo – o
Alexa, per usare il nome a cui risponde il dispositivo – è
un’interfaccia imperfetta. Alexa spesso ci obbliga a ripeterci, ma la
perdoniamo perché l’idea di conversare con un computer è ancora una
novità. L’informatica azionata dalla voce è una tecnologia ancora
adolescente, come mio figlio Ari. Un giorno Ari potrebbe dire “Alexa,
apri il gioco!”, dandole un comando vocale. La cosa mi fa riflettere. Io
e mia moglie gli abbiamo insegnato a rivolgersi agli altri con
rispetto, ma quando chiede qualcosa ad Alexa può farlo senza alcun
riguardo. Non dice mai “per favore” o “grazie”. Queste parole sembrano
solo un intralcio. Nessuna empatia Quando programmavo in Basic non
esistevano “per favore” o “grazie”, ma il codice che usavo era scritto e
silenzioso. Con Alexa, invece, possiamo ascoltare la natura gerarchica
dell’informatica fondata sul comando. Il dispositivo vive sul tavolo
dove la mia famiglia si riunisce ogni giorno, e le parliamo in
continuazione. Gli adolescenti che vivono con Alexa e strumenti simili
hanno accesso a un genio digitale. Che conseguenze avrà dare a un
bambino una lampada magica che si attiva con la voce ed esaudisce ogni
suo desiderio? Gli ordini, come suggerisce lo scrittore Elias Canetti
nel suo libro Massa e potere (1960), di solito lasciano una spina in chi
li riceve. È una spina che “penetra in profondità nella persona che ha
eseguito l’ordine e rimane immutata dentro di lei”. Con Alexa non
esistono spine. Mi chiedo se questa Cortesie tra esseri umani e
assistenti digitali “Alexa, apri il gioco!”, diranno un giorno gli
adolescenti. E il dispositivo intelligente eseguirà il comando. Ma è
questo il modo giusto per comunicare con le macchine? Ken Gordon, The
Atlantic, Stati Uniti assenza possa creare nelle persone una mancanza
totale di empatia. Tradizionalmente i bambini sono troppo sopraffatti
dai comandi ricevuti per poterne impartire di propri. Le persone più
oppresse dagli ordini sono i bambini, scrive Canetti, ed è un miracolo
che non crollino sotto il peso dei comandi impartiti da genitori e
insegnanti. A 13 anni Ari è abbastanza maturo da capire la differenza
tra un essere umano e un’interfaccia programmata per sembrare una
persona, ma vorrei che usasse la voce per creare un vero dialogo, sul
genere di quello proposto dal filosofo Martin Buber nel suo libro Io e
tu. Secondo Buber, quando le persone parlano usano una delle due
relazioni fondamentali: “io-esso” e “io- tu”. Sono due atteggiamenti
diversi che una persona può assumere con il linguaggio. Con “io-tu” si
crea una relazione più profonda, ma impartire ordini ad Alexa abitua le
persone a usare il linguaggio “io-esso”. Può darsi che mi stia
preoccupando troppo. Forse parlare ad Alexa è solo un linguaggio di
programmazione diverso. È troppo presto per stabilire gli effetti, se
mai ci saranno, delle interfacce vocali sui bambini. Ma usare la voce
per ottenere qualcosa è diverso da scrivere su una tastiera. Impartire
comandi può essere un’azione problematica, se eseguita ripetutamente e
senza pensare. E i chatbot e gli assistenti digitali di oggi
incoraggiano più la ripetizione che la riflessione.
Ken Gordon lavora per una società di consulenza