venerdì 8 giugno 2018

internazionale 1.6.18
Cortesie tra esseri umani e assistenti digitali
“Alexa, apri il gioco!”, diranno un giorno gli adolescenti. E il dispositivo intelligente eseguirà il comando. Ma è questo il modo giusto per comunicare con le macchine?
Di Ken Gordon, The Atlantic, Stati Uniti


All’inizio degli anni ottanta ero un bambino che programmava in un linguaggio chiamato Basic. Avevo i capelli a caschetto e l’apparecchio, e mi ricordo che battevo sulla tastiera di un vecchio computer: 10 PRINT “[qualunque cosa]” 20 GOTO 10 Dopo aver premuto il tasto “invio” appariva sullo schermo una colonna piena di qualunque cosa avessi inserito tra virgolette: [Qualunque cosa] [Qualunque cosa] [Qualunque cosa] Negli anni le mie competenze informatiche sono migliorate, ma non ho dimenticato quella prima stringa di codice perché mi ha permesso di impartire, per la prima volta, un comando. Non aveva grandi conseguenze, ma mi rendeva felice. Oggi il rapporto di potere è cambiato. Mio figlio Ari, 13 anni, è molto più bravo con i computer di quanto lo fossi io alla sua età e ha accesso a strumenti avanzati. Tutto questo mi fa pensare al futuro dei computer, ora che la tecnologia si allontana da un modello fatto di tastiera e monitor. Pensiamo a Echo, l’altoparlante intelligente di Amazon: nonostante le sue qualità magiche Echo – o Alexa, per usare il nome a cui risponde il dispositivo – è un’interfaccia imperfetta. Alexa spesso ci obbliga a ripeterci, ma la perdoniamo perché l’idea di conversare con un computer è ancora una novità. L’informatica azionata dalla voce è una tecnologia ancora adolescente, come mio figlio Ari. Un giorno Ari potrebbe dire “Alexa, apri il gioco!”, dandole un comando vocale. La cosa mi fa riflettere. Io e mia moglie gli abbiamo insegnato a rivolgersi agli altri con rispetto, ma quando chiede qualcosa ad Alexa può farlo senza alcun riguardo. Non dice mai “per favore” o “grazie”. Queste parole sembrano solo un intralcio. Nessuna empatia Quando programmavo in Basic non esistevano “per favore” o “grazie”, ma il codice che usavo era scritto e silenzioso. Con Alexa, invece, possiamo ascoltare la natura gerarchica dell’informatica fondata sul comando. Il dispositivo vive sul tavolo dove la mia famiglia si riunisce ogni giorno, e le parliamo in continuazione. Gli adolescenti che vivono con Alexa e strumenti simili hanno accesso a un genio digitale. Che conseguenze avrà dare a un bambino una lampada magica che si attiva con la voce ed esaudisce ogni suo desiderio? Gli ordini, come suggerisce lo scrittore Elias Canetti nel suo libro Massa e potere (1960), di solito lasciano una spina in chi li riceve. È una spina che “penetra in profondità nella persona che ha eseguito l’ordine e rimane immutata dentro di lei”. Con Alexa non esistono spine. Mi chiedo se questa Cortesie tra esseri umani e assistenti digitali “Alexa, apri il gioco!”, diranno un giorno gli adolescenti. E il dispositivo intelligente eseguirà il comando. Ma è questo il modo giusto per comunicare con le macchine? Ken Gordon, The Atlantic, Stati Uniti assenza possa creare nelle persone una mancanza totale di empatia. Tradizionalmente i bambini sono troppo sopraffatti dai comandi ricevuti per poterne impartire di propri. Le persone più oppresse dagli ordini sono i bambini, scrive Canetti, ed è un miracolo che non crollino sotto il peso dei comandi impartiti da genitori e insegnanti. A 13 anni Ari è abbastanza maturo da capire la differenza tra un essere umano e un’interfaccia programmata per sembrare una persona, ma vorrei che usasse la voce per creare un vero dialogo, sul genere di quello proposto dal filosofo Martin Buber nel suo libro Io e tu. Secondo Buber, quando le persone parlano usano una delle due relazioni fondamentali: “io-esso” e “io- tu”. Sono due atteggiamenti diversi che una persona può assumere con il linguaggio. Con “io-tu” si crea una relazione più profonda, ma impartire ordini ad Alexa abitua le persone a usare il linguaggio “io-esso”. Può darsi che mi stia preoccupando troppo. Forse parlare ad Alexa è solo un linguaggio di programmazione diverso. È troppo presto per stabilire gli effetti, se mai ci saranno, delle interfacce vocali sui bambini. Ma usare la voce per ottenere qualcosa è diverso da scrivere su una tastiera. Impartire comandi può essere un’azione problematica, se eseguita ripetutamente e senza pensare. E i chatbot e gli assistenti digitali di oggi incoraggiano più la ripetizione che la riflessione.

Ken Gordon lavora per una società di consulenza