internazionale 1.6.18
La settimana
ordine
Di Giovanni De Mauro
Le
ragioni per avere dei dubbi sul contratto di governo tra Lega e
cinquestelle non mancavano. Provando a elencarne alcune si sarebbe
potuto cominciare da proposte di una certa gravità, come l’introduzione
del vincolo di mandato per i parlamentari e la creazione di un “comitato
di conciliazione” che si sovrappone agli organismi repubblicani. Una
misura caratterizzante come la flat tax probabilmente non supererebbe lo
scoglio della verifica costituzionale. Molti dei trenta punti del
contratto sono di una vaghezza sconcertante (“Il patrimonio culturale
italiano rappresenta uno degli aspetti che più ci identificano nel
mondo”, “Uomo e ambiente sono facce della stessa medaglia”, “La scuola
ha vissuto in questi anni momenti di grave difficoltà”) e su diverse
questioni la vaghezza lascerebbe spazio a difficili interpretazioni (che
vuol dire “ridiscussione dei trattati dell’Unione europea”?). Poi c’è
l’assenza di coperture finanziarie, che secondo diverse stime dovrebbero
arrivare a cento miliardi di euro. E inciampi, per esempio la
confusione tra “cibersecurity” e “ciberbullismo”. Oppure norme
discriminatorie, come quelle sugli asili nido gratuiti solo per gli
italiani e quelle sulle moschee. O pericolosamente reazionarie, come
quelle sui migranti (espulsione di 500mila persone e creazione di
appositi centri di detenzione, uno in ogni regione) o sulla giustizia
(inasprimento delle pene, abrogazione delle depenalizzazioni,
ampliamento della legittima difesa). Che invece il presidente della
repubblica abbia deciso di esercitare una delle sue legittime
prerogative istituzionali rifiutandosi di approvare la nomina di un
ministro dell’economia perché questo avrebbe rischiato di mandare un
messaggio di allarme agli “operatori economici e finanziari” fa capire
quale sia, oggi, l’ordine delle priorità.