Il Sole Domenica 10.6.18
Controcorrente. I dialoghi filosofici di Mauro Ceruti con Walter Mariotti
Il destino dell’uomo tra identità e diversità
di Michele Ciliberto
Il tempo della complessità
Mauro Ceruti, Raffaele Cortina, Milano, pagg. 200, € 14
Questo
volume si distingue per due elementi principali: presenta, come in una
sorta di summula, le linee principali della riflessione di Mauro Ceruti;
è costruito attraverso una serie di dialoghi con Walter Mariotti. Ed è
una scelta che si rivela felice perché consente di affrontare molti temi
in modo agile e accattivante. E come in genere accade quando si sceglie
il genere letterario del dialogo, le posizioni sostenute appaiono come
il risultato di una riflessione che si svolge sotto gli occhi del
lettore.
La domanda intorno al quale gira il dialogo riguarda
direttamente la condizione umana: quale è il destino dell’uomo oggi?
Quali sono le sue prospettive? Sta nascendo una nuova umanità? E se così
fosse, è una tappa prevedibile del lungo cammino dell’uomo, oppure può
essere solo il frutto di un processo aperto a varie possibilità, in cui
nulla è scontato, e che può anzi vedere la fine della nostra civiltà?
Uno dei tratti più interessanti del libro è proprio il rifiuto di ogni
teleologismo: nella storia umana, ed anche in quella dell’Europa, gioca
un ruolo decisivo, scrive Ceruti, l’improbabile, cioè il non previsto -
in positivo ma anche in negativo.
La dimensione dell’uomo è la
libertà, la possibilità di scegliere il proprio destino, come proclama
Giovanni Pico nella Oratio de hominis dignitate, citato a mo’ di
programma all’inizio del libro; ma a differenza dei tempi del Conte
della Concordia, oggi non esiste più un ordine definito rispetto al
quale definire la propria identità. Nel nostro mondo “non si danno
armonie prestabilite: il quadro del mondo è cambiato, è in piena
fluttuazione”.
Sono parole di Ernesto Balducci, e risalgono a
ventisei anni fa; ma la situazione non è cambiata, anzi si è
ulteriormente acuita, e la sua meditazione non ha perso di attualità.
Viviamo un’epoca di trasformazioni profonde, che sconvolgono le vite
degli individui e le strutture politiche e civili che il mondo - e
l’Europa - si sono date lungo alcuni secoli. È mutato il rapporto tra
nazione e stato, si è trasformata la composizione demografica delle
società, bussano alle nostre porte moltitudini di uomini spinti dalla
forza inesorabile e incontenibile della necessità. Tutto è
effettivamente cambiato, e continua a cambiare, sottoponendo tutte le
culture a prove assai dure, che possono decidere della loro vita o della
loro morte, anche se non si ha in genere consapevolezza del vulcano su
cui siamo seduti.
Tutto ciò - ed è questo il centro del libro di
Ceruti - pone l’uomo di fronte a scelte radicali sul proprio destino:
dove andare, come, e con chi, se si vuole evitare la fine della nostra
civiltà, senza farsi illusioni, ma guardando la realtà per quello che è,
misurandosi con le trasformazioni che la stanno sconvolgendo?
Sono
questi gli interrogativi che percorrono il libro e ai quali Ceruti,
sulla base della impostazione filosofica sua - e di Edgar Morin che
introduce il libro - cerca di dare una risposta, andando per molti
aspetti controcorrente; e questo è un bene. Bisogna, scrive, lavorare
per costruire una «cittadinanza planetaria» all’altezza dello stato
attuale del mondo ed occorre impegnarsi per un nuovo umanesimo, anzi per
un umanesimo planetario. Ma questo, non è un destino scontato, e «se
sarà, sarà prodotto dalla coscienza della comunità di destino che lega
ormai tutti gli individui e tutti i popoli del pianeta, nonché l’umanità
intera all’ecosistema globale e alla Terra».
È una proposta
filosofica e politica che, si è detto, va controcorrente, perché oggi si
stanno fortemente diffondendo posizioni che insistono invece sulla
necessità di stabilire barriere sia sul piano culturale che su quello
politico, anche riproponendo il modello statuale moderno, che sembrava
ormai in crisi anche per l’imporsi dopo la tragedia della seconda guerra
mondiale - e la nuova, lunga guerra dei trent’anni - dell’ideale
europeo ad opera di grandi statisti come De Gasperi, Adenauer, Schumann.
Un ideale, anzi un vero e proprio progetto politico che però oggi
attraversa un momento di crisi profonda che ne mette in discussione lo
stesso futuro.
È per ridare credibilità a questo ideale,
collocandolo in una prospettiva planetaria, che Ceruti scrive il libro:
una sorta di vero è proprio manifesto per una nuova Europa e una nuova
umanità - processo sempre incompiuto e in divenire. Questo progetto, e
qui arriviamo al centro del libro, ha però possibilità di svilupparsi
solo se è basato su un intreccio organico di unità e molteplicità, di
identità e diversità: su una unitas multiplex, come dice Ceruti
riprendendo una formula famosa. È un intreccio che riguarda tutta
l’esperienza umana, e può realizzarsi solo se si riesce ad agire su
entrambi i tasti-identità e diversità - costituendo una società, e prima
ancora, una umanità intessuta da una pluralità di differenze, da
riconoscere, elaborare e potenziare nella nuova prospettiva di un
cosmopolitismo planetario. Ed è un approccio che deve essere applicato
anche alla costruzione dell’Europa, se si vuol metterla su basi solide.
È, a mio giudizio, una prospettiva giusta: l’Europa, se vuole avere un
futuro, deve essere capace di valorizzare e accogliere le differenze
nazionali, inserendole in una nuova identità comune che dalle differenze
viene potenziata, non diminuita.
Ceruti si collega, con la sua
proposta, alla grande tradizione di Pico di cui discute l’Oratio de
hominis dignitate edi Kant di cui cita l’Idea per una storia universale
in prospettiva cosmopolitica. E ad essi congiunge testi e motivi della
grande tradizione cristiana, fino a Papa Francesco. Il riferimento all’
umanesimo, nella pluralità dei suoi aspetti, è naturale, e
comprensibile, in un’epoca come la nostra. Tutte le volte che è entrato
in discussione il destino dell’uomo, i grandi umanisti sono infatti
diventati attuali: basta pensare alla fortuna di Pico negli anni Trenta
del secolo scorso.
Il colloquio con i grandi esponenti
dell’umanesimo, dell’Illuminismo e con i più alti temi del cristianesimo
è, in effetti uno dei motivi principali di originalità della
riflessione di Ceruti e della sua visione della condizione umana.
Visione, appunto - uso volutamente il termine perché questo propone
Ceruti - una visione della «comunità di destino» che lega, a suo
giudizio, oggi tutti gli uomini, e che oggi deve essere imperniata su un
nuovo intreccio di diversità e identità, di unità e molteplicità nella
prospettiva di una nuova universalità.
Aver proposto questa
visione in un tempo come il nostro è, a mio giudizio, il maggior merito
del libro. Naturalmente, una visione per non diventare esercizio
retorico, deve poter appoggiarsi su forze storiche effettive sia
politiche che spirituali, in grado di darle consistenza e sostanza.
Individuarle, non era il problema di Ceruti, ma l’interrogativo resta
aperto: su quali energie spirituali e politiche può contare oggi il
progetto di cittadinanza planetaria che egli mette a fondamento della
sua visione? E quali sono oggi le forze che possono impegnarsi nel
rilancio della costruzione europea che egli auspica? È un cammino assai
difficile. Può darsi che mi sbagli: ma oggi il vento della storia - in
Europa e nel mondo - sembra soffiare in altre direzioni.