mercoledì 13 giugno 2018

Il Sole 13.6.18
Storico incontro tra Kim e Trump ma il vero vincitore è il cinese Xi
di Stefano Carrer

Il primo vertice tra un presidente americano in carica e un leader nordcoreano - storico e spettacolare dal punto di vista mediatico - si chiude con grandi dichiarazioni di intenti, ma senza indicazioni (demandate a trattative future) sui passi da compiere e sulla tabella di marcia verso la soluzione del più grave problema politico-diplomatico-militare che grava sull’Asia orientale: se Donald Trump canta vittoria, molti analisti sottolineano che ha concesso molto e che il vero vincitore è Kim Jong-un (e la Cina). Trump si è impegnato a «fornire garanzie di sicurezza» alla Corea del Nord e ha sospeso le manovre militari congiunte con i sudcoreani, mentre Kim ha «riaffermato il suo fermo e risoluto impegno a una completa denuclearizzazione della penisola coreana».
Promesse speculari e imprecisate che rappresentano il fulcro del comunicato congiunto firmato dai due leader, dopo 40 minuti di faccia a faccia (alla presenza dei soli interpreti) e qualche ora di negoziati assieme ai collaboratori. Nella successiva conferenza stampa, The Donald a sorpresa ha annunciato la sospensione delle esercitazioni militari congiunte tra forze armate americane e sudcoreane - definendole costosissime e anche «molto provocatorie» - e ha fatto intendere il suo desiderio di sganciare in futuro i 32mila militari statunitensi dalla penisola. Musica per le orecchie cinesi: da anni Pechino ha sempre sostenuto la proposta di «freeze for freeze», ossia un congelamento parallelo sia dei test militari nordcoreani (già promesso da Pyongyang qualche mese fa) sia delle manovre militari congiunte non distante dai propri confini. Soluzione sempre respinta, finora, da Washington e da Seul. Tra i massimi obiettivi geostrategici cinesi, inoltre, è il ritorno a casa loro dei soldati americani di stanza in Corea.
Il governo giapponese ha ieri fatto buon viso a cattivo gioco, ma dietro le quinte trapelano forti preoccupazioni per quello che è interpretabile come il principio di un possibile allentamento dell’impegno americano per la sicurezza regionale. Inoltre nel comunicato non si fa menzione di missili (Tokyo avrebbe desiderato l’inclusione anche di quelli a medio raggio in un negoziato), né di una denuclearizzazione «irreversibile» e «verificabile» oltre che completa. Lo stesso concetto di denuclearizzazione non viene precisato: si sa che Pyongyang l’ha sempre interpretato non come disarmo unilaterale, ma semmai come eliminazione dell’ombrello nucleare americano su Seul e Tokyo. È esattamente il rischio che un acuto osservatore giapponese come Yoichi Funabashi (oggi presidente dell’Asia-Pacific Initiative) paventa: un vertice che certifica una pericolosa ambiguità sulla denuclearizzazione e finisce per riconoscere di fatto alla Corea del Nord uno status di potenza nucleare a tempo indeterminato. Decine di osservatori veterani hanno criticato Trump accusandolo di aver fatto concessioni senza concrete contropartite, al di là della stessa accettazione di un summit che legittima e rafforza il dittatore all’interno e all’estero (Trump l’ha coperto ieri di elogi). Se pure il presidente ha affermato che per ora le sanzioni restano in vigore (fino a che il problema nucleare sarà un fattore), diventerà difficile respingere le richieste che arriveranno da Pyongyang dopo qualche nuova iniziativa, come l’eliminazione di un sito per test di motori per missili preannunciata ieri da Trump. La Cina ha già chiesto che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu consideri un allentamento delle penalità internazionali su Pyongyang.
Trump ha respinto ogni rilievo, definendo il summit come un momento molto importante nella storia del mondo e biasimando «odiatori e perdenti». A suo dire anche i prigionieri nei gulag nordcoreani trarranno benefici da un vertice in cui si è impegnato a dare assicurazioni di sopravvivenza al regime di Kim: il «matto» e «Little Rocket Man» dell’anno scorso è diventato il «talented man» che è un «onore» incontrare, tutto da ammirare per come, tanto giovane, abbia saputo prendere in mano le redini del suo Paese. Il leader nordcoreano, dopo 12 secondi di stretta di mano sullo sfondo di una selva di bandiere delle due nazioni, si è permesso una battura che entrerà nella storia, dicendo a Trump che molti penseranno alla scena del loro incontro come uscita «da un film di fantascienza». Probabilmente ricordava un film nordcoreano del 2012 in cui il presidente Clinton andava a Pyongyang dopo il successo del programma nucleare del regime. Una fiction che potrebbe anticipare la realtà: Trump ha già detto che inviterà Kim alla Casa Bianca «in tempi appropriati» e non è più fuori dalla realtà un suo futuro viaggio nella capitale nordcoreana.