il manifesto 8.7.18
Il «consiglio delle ministre», la Spagna si aggiorna
La
cerimonia. Nessun Crocifisso ma una laica «promessa» sulla
Costituzione, al via il governo Sánchez. Malumori da Podemos: «C’è gente
che piace a Ciudadanos e al Pp, ma nessuna figura vicina a noi. In 24
ore si è dimenticato di chi lo ha fatto presidente», commenta Pablo
Iglesias
di Jacopo Rosatelli
I simboli, e le
parole, in politica contano. Ieri, alla cerimonia di presa di funzione
dei membri del nuovo governo spagnolo di Pedro Sánchez, se n’è avuta una
positiva dimostrazione. Come già era stato per il premier al suo
insediamento il 2 giugno, davanti al Re Felipe VI nessun giuramento
corredato da crocifisso e Bibbia, ma una laica «promessa» sulla
Costituzione. E, novità assoluta, l’utilizzo dell’espressione «consiglio
delle ministre e dei ministri». Pare non fosse previsto, ma
l’istantaneo assenso del monarca sorridente ha fatto capire subito che
non c’era nulla di formale da eccepire. E così, quasi tutti i componenti
del nuovo gabinetto monocolore del Psoe hanno imitato la vicepresidente
Carmen Calvo, la prima ad utilizzare la nuova «rivoluzionaria» dicitura
per indicare l’esecutivo.
Altre parole importanti, quelle
pronunciate dalla neoministra per la politica territoriale e la pubblica
amministrazione, Meritxell Batet: «La priorità è recuperare il dialogo
con la Catalogna». Proprio a lei, barcellonese doc, è affidato il
compito più impegnativo che attende la compagine socialista: uscire dal
muro contro muro con gli indipendentisti in cui era inchiodato l’ex
premier conservatore Mariano Rajoy. Già solo che si riconosca che c’è da
ristabilire un rapporto con una parte del Paese è un enorme passo
avanti. Certo, anche il nuovo governo non farà sconti ai seguaci dell’ex
presidente della Generalitat Carles Puigdemont: la nomina agli esteri
del carismatico Josep Borrell, principale voce del mondo catalano
antiseparatista ed ex presidente dell’Europarlamento, lo sta a
dimostrare. Eppure, qualcosa si sta muovendo, nella giusta direzione. E
da Barcellona, per bocca della portavoce del nuovo governo regionale
Elsa Artadi, giungono segnali di apprezzamento.
Dalle parti di
Podemos la cautela è massima. Il leader Pablo Iglesias concede al nuovo
governo «un paio di settimane di cortesia» prima di emettere giudizi, ma
un po’ di disappunto c’è: «Sánchez ha fatto un governo con gente che
poteva piacere a Ciudadanos e al Pp e con nessuno che possa risultare
una figura vicina a noi», ha dichiarato in un’intervista alla tv
pubblica. Nel mirino soprattutto Borrell e il ministro degli interni
Fernando Marlaska, giudice che fino a ieri sedeva nel Csm spagnolo in
quota Pp. Una nomina, quella del magistrato, che in effetti ha stupito, e
che può senz’altro essere interpretata come segno che a Sánchez
interessa recuperare consensi al centro, soprattutto ai danni
dell’avversario ora più temibile, cioè Ciudadanos.
Sono i liberali
di Albert Rivera, infatti, ad essere in questo momento in testa ai
sondaggi. E i socialisti sanno che la vera posta in gioco, in un assetto
politico ormai compiutamente quadripolare, è riuscire ad essere, anche
se di poco, il primo partito. Per poter poi scegliere, dopo le prossime
elezioni (la scadenza naturale è nel 2020), se allearsi con i centristi o
con la sinistra di Podemos e soci.
In pieno marasma sono i
populares orfani di Rajoy, che ha abbandonato la guida del partito e la
vita politica. È la prima volta che alla destra manca un leader: in
precedenza, il numero uno uscente aveva sempre designato il proprio
successore. È tornato a farsi sentire l’ex premier José María Aznar,
l’uomo che condusse la Spagna nella criminale guerra in Iraq, che sembra
voler riprendere il posto che lasciò a Rajoy. Ma nel partito in pochi
sembrano volere il suo ritorno. Chi ambisce al ruolo di leader, ed è
molto quotato, è il presidente della Galizia, il cinquantasettenne
Alberto Núñez Feijóo.