il manifesto 5.6.18
Sánchez non «giura» ma «promette», senza bibbia e crocifisso
Spagna.
Il nuovo esecutivo sarà un monocolore Psoe, composto in numero uguale
da uomini e donne. Si è insediato anche il governo catalano, in
solidarietà con «i prigionieri politici e gli esiliati»
di Luca Tancredi Barone
BARCELLONA
Se la politica del secolo XXI è fatta di gesti, Pedro Sánchez ha vinto
già il primo round. Ieri mattina ha «promesso» (e non «giurato») davanti
al capo dello stato, Filippo di Borbone, e al suo predecessore, Mariano
Rajoy al palazzo della Zarzuela. È il settimo primo ministro della
democrazia spagnola, ma è stato il primo a «promettere» senza bibbia e
crocifisso.
È ANCHE IL PRIMO PREMIER che non è deputato, il primo a
diventarlo con una sfiducia (costruttiva, come è obbligatorio in
Spagna) e non dopo delle elezioni. Ma è anche il primo che non è
espressione del partito più votato (che è il Pp), e che dovrà governare
con una camera guidata da un’altra maggioranza. Subito dopo la
formalità, Sánchez ha visitato i suoi nuovi uffici alla Moncloa; davanti
a lui ora un compito complicatissimo: nominare i suoi ministri – metà
uomini e metà donne – ha promesso. E finalmente è scattato il
totoministri, da cercare nel partito socialista.
Sembra infatti
che sarà proprio un governo monocolore, nonostante Podemos stia
insistendo molto per un governo di coalizione, molto più stabile dal
punto di vista parlamentare (anche se per la maggioranza mancherebbe
comunque una ventina di voti).
MA PER ORA SÁNCHEZ è troppo debole –
soprattutto internamente – per poter azzardare un accordo strutturale
con Podemos. Non importa: Podemos sta giocando bene le sue carte,
dicendosi disposto a trovare accordi per le «misure progressiste« che
adotterà il governo. Certo, bisognerà prima superare lo scoglio della
presidenza del Congresso (in mano a Pp e Ciudadanos), che potrebbe
ostacolare il suo lavoro, e la maggioranza assoluta del Pp al Senato. In
teoria, nel sistema spagnolo prevale sempre il Congresso, ma il Senato
potrebbe allungare all’infinito l’approvazione di qualsiasi
provvedimento.
A BARCELLONA – nel frattempo – hanno anche giurato i
ministri del nuovo governo catalano, chiedendo di far portare un Sant
Jordi (San Giorgio, patrono della catalogna) del XV secolo per la
cerimonia e ponendo fine a sette mesi di applicazione dell’articolo 155.
I ministri catalani – inoltre – hanno giurato utilizzando una perifrasi
che pur mantenendo «il rispetto della legge» non li obbligasse ad
accettare esplicitamente la Costituzione spagnola e lo Statuto catalano.
Solo un gesto appunto, privo di conseguenze giuridiche. A questo gesto
si è aggiunta anche la lettura delle lettere di «rinuncia» dei ministri
in carcere e all’estero che erano inizialmente stati nominati in
continuità con il loro incarico nel precedente governo Puigdemont.
TUTTI
I MINISTRI, compreso il presidente Torra, sfoggiavano un laccetto
giallo (simbolo della solidarietà con i «prigionieri politici»), e due
delle ministre hanno scelto proprio un abito giallo per il giuramento.
Prima di iniziare la propria atività, i neoministri hanno affisso un
enorme striscione sulla facciata della Generalitat con la scritta, in
catalano e inglese, «Libertà per i prigionieri politici e gli esiliati».
In un discorso che si è chiuso con le parole Visca Catalunya lliure,
«Viva la Catalogna libera», Torra si è rivolto al neo presidente Sánchez
dicendogli: «Rischiamo, voi e noi; sediamoci alla stessa tavola e
negoziamo da governo a governo». Il riconoscimento simbolico di una
«bilateralità» con Madrid è uno dei principali cavalli di battaglia del
Govern di Barcellona. Torra ha già denunciato Rajoy e la sua
vicepresidente Soraya Sáenz de Santamaría per abuso di potere per aver
impedito la pubblicazione in gazzetta della lista di ministri contenente
nomi sgraditi a Madrid.