martedì 5 giugno 2018

Il Fatto 4.5.18
Croazia, italiani e minoranze “cacciati” dai nuovi populisti
Xenofobi e conservatori. Zeljka Markić, leader del partito di destra: “La gente decide”ì
di Ferruccio Sansa


Un referendum contro le minoranze. Ma stavolta a essere minoranza e a rischiare di scomparire dal Parlamento sono gli italiani. Accade in Croazia, dove in queste settimane si stanno raccogliendo le firme per lanciare due consultazioni popolari. L’obiettivo previsto dalla legge croata – 374mila adesioni – è quasi scontato. E rischiano di essere dolori per i 34.345 italiani ufficialmente presenti (censimento del 2014), cui, però, se ne devono aggiungere molti altri non censiti o discendenti da famiglie miste. Una comunità che ancora oggi in Istria è il 7% della popolazione e in alcuni paesi raggiunge il 40. E che, secondo i trattati, dovrebbe essere tutelata e avere una rappresentanza garantita nel parlamento croato. Ma adesso si rischia di cambiare. Perché in Croazia, come ha raccontato il quotidiano triestino Il Piccolo, si sta verificando quello che accade in molti paesi europei. Gli ingredienti sono spesso gli stessi, pur se con una miscela che varia: un partito moderato – l’Hdz del premier – che teme di perdere l’essenziale elettorato di destra. Un’opposizione di centrosinistra, l’Spd, debole e non incisiva. E movimenti populisti che si scagliano contro le minoranze. Accade quasi ovunque. Soltanto, appunto, che in Croazia tra le minoranze c’è quella italiana.
Tutto parte dal movimento ‘La gente decide’ che ha un’ispirazione conservatrice sostenuta anche dalla chiesa croata. Quegli stessi ambienti che hanno portato 10mila persone in piazza anche contro le unioni omosessuali. Proprio in questi giorni – hanno due settimane di tempo – stanno raccogliendo le firme per due referendum. Il primo si propone di abolire la ratifica del Trattato di Istanbul, che si occupa di violenze di genere e unioni di fatto. Una consultazione che pare destinata a essere bloccata dalla Corte Costituzionale croata in quanto riguarda trattati internazionali e non leggi croate.
Ma a preoccupare la minoranza italiana è il secondo referendum. Secondo la legge elettorale disegnata da ‘La Gente decide’ nel Parlamento croato (il Sabor) i deputati dovrebbero scendere da 151 a 120. Non solo: le minoranze non avrebbero più gli 8 seggi garantiti oggi, ma soltanto 6. E ancora: i deputati delle minoranze non potrebbero votare né la fiducia al governo, né il bilancio. Insomma, la rappresentanza sarebbe poco più che simbolica. Una riforma che pare avere come obiettivo la minoranza etnica serba, tra l’altro invisa alla chiesa cattolica in quanto ortodossa. L’atteggiamento della destra clericale, che nessuno sembra voler arginare, è valso alla Croazia un’ammonizione dell’Unione Europea per il montante sentimento ostile verso serbi, rom e comunità lgbt. Ma giocoforza anche gli italiani, che pure sono cattolici, finirebbero per essere pesantemente penalizzati dal referendum.
Sono i discendenti degli italiani che prima della Seconda Guerra Mondiale vivevano tra Istria, Dalmazia e Quarnaro. Verso la fine del XIX secolo erano il 40% della popolazione. Nelle località costiere erano la maggioranza, arrivando in alcune città al 90%. A Fiume (oggi Rijeka) gli italiani erano il 48,6% della popolazione, mentre i croati erano intorno al 26%. In quegli anni, tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, in Croazia i grandi stati giocavano con le minoranze etniche come fossero scacchi. Prima l’impero austroungarico che sostenne i croati per indebolire l’irredentismo italiano. Poi l’avvento del Fascismo e le persecuzioni degli slavi. Ad Arbe il regime di Mussolini – che li definiva “razza inferiore” – fece internare 10mila persone, molte morirono di stenti e malattie.
Quindi toccò agli italiani: ci furono le foibe, migliaia di morti, innocenti gettati nelle voragini che si aprono nella terra tra Istria e Carso. Poi le stragi come quella di Vergarolla, la spiaggia di Pola dove decine di persone (65 quelle accertate), tra cui molti bambini, morirono dilaniate dalle mine.
Venne infine l’esodo degli istriani: 350mila lasciarono la loro terra tra il 1943 e gli anni Cinquanta. Intere città si svuotarono, come ha raccontato Piero Delbello, direttore dell’Irci (Istituto Regionale per la Cultura Istriano Fiumano Dalmata di Trieste): “Di notte in Istria ti bussavano alla porta e ti portavano via. Sparite, migliaia di persone. Buttate nelle foibe, voragini profonde centinaia di metri. Decine di migliaia partirono. Pola, 30mila abitanti, si svuotò. Le strade e le case restarono deserte”.
Gli italiani d’Istria per decenni sono stati ignorati. Dimenticati. Dalla Jugoslavia, ma prima ancora dall’Italia. Ricordavano la sconfitta. Erano scomodi per la sinistra. Della loro causa ha sempre tentato di appropriarsi la destra italiana. Tanto che gli istriani sono stati associati ai fascisti. Non era così: “Pola era una città piena di operai e di socialisti”, racconta ancora Delbello.
Soltanto negli ultimi anni è stato tolto il velo che nascondeva le tragedie delle foibe e dell’esodo. Tra Italia, Slovenia e soprattutto Croazia sono stati siglati accordi per tutelare quei 35mila italiani (nel 2001 furono 20.521 a definirsi di madrelingua italiana e 19.636 a dichiararsi di etnia italiana). Una comunità che resiste, che continua ad avere scuole e giornali. Basta camminare per Dignano (oggi Vodnjan), Rovigno (Rovinj) e Buie (Buje). La sera gli anziani si ritrovano sulle porte, senti voci. Ed ecco riemergere parole vecchie di secoli. Il veneto. Tracce che non sono rimaste soltanto nell’architettura delle case, nei campanili aguzzi che ricordano la chiesa di San Marco a Venezia.
Sembrava che secoli di sofferenze fossero stati superati nella casa comune dell’Europa. Ma oggi in Croazia gli italiani rischiano di sentirsi di nuovo molto minoranza.