Il Fatto 4.5.18
Croazia, italiani e minoranze “cacciati” dai nuovi populisti
Xenofobi e conservatori. Zeljka Markić, leader del partito di destra: “La gente decide”ì
di Ferruccio Sansa
Un
referendum contro le minoranze. Ma stavolta a essere minoranza e a
rischiare di scomparire dal Parlamento sono gli italiani. Accade in
Croazia, dove in queste settimane si stanno raccogliendo le firme per
lanciare due consultazioni popolari. L’obiettivo previsto dalla legge
croata – 374mila adesioni – è quasi scontato. E rischiano di essere
dolori per i 34.345 italiani ufficialmente presenti (censimento del
2014), cui, però, se ne devono aggiungere molti altri non censiti o
discendenti da famiglie miste. Una comunità che ancora oggi in Istria è
il 7% della popolazione e in alcuni paesi raggiunge il 40. E che,
secondo i trattati, dovrebbe essere tutelata e avere una rappresentanza
garantita nel parlamento croato. Ma adesso si rischia di cambiare.
Perché in Croazia, come ha raccontato il quotidiano triestino Il
Piccolo, si sta verificando quello che accade in molti paesi europei.
Gli ingredienti sono spesso gli stessi, pur se con una miscela che
varia: un partito moderato – l’Hdz del premier – che teme di perdere
l’essenziale elettorato di destra. Un’opposizione di centrosinistra,
l’Spd, debole e non incisiva. E movimenti populisti che si scagliano
contro le minoranze. Accade quasi ovunque. Soltanto, appunto, che in
Croazia tra le minoranze c’è quella italiana.
Tutto parte dal
movimento ‘La gente decide’ che ha un’ispirazione conservatrice
sostenuta anche dalla chiesa croata. Quegli stessi ambienti che hanno
portato 10mila persone in piazza anche contro le unioni omosessuali.
Proprio in questi giorni – hanno due settimane di tempo – stanno
raccogliendo le firme per due referendum. Il primo si propone di abolire
la ratifica del Trattato di Istanbul, che si occupa di violenze di
genere e unioni di fatto. Una consultazione che pare destinata a essere
bloccata dalla Corte Costituzionale croata in quanto riguarda trattati
internazionali e non leggi croate.
Ma a preoccupare la minoranza
italiana è il secondo referendum. Secondo la legge elettorale disegnata
da ‘La Gente decide’ nel Parlamento croato (il Sabor) i deputati
dovrebbero scendere da 151 a 120. Non solo: le minoranze non avrebbero
più gli 8 seggi garantiti oggi, ma soltanto 6. E ancora: i deputati
delle minoranze non potrebbero votare né la fiducia al governo, né il
bilancio. Insomma, la rappresentanza sarebbe poco più che simbolica. Una
riforma che pare avere come obiettivo la minoranza etnica serba, tra
l’altro invisa alla chiesa cattolica in quanto ortodossa.
L’atteggiamento della destra clericale, che nessuno sembra voler
arginare, è valso alla Croazia un’ammonizione dell’Unione Europea per il
montante sentimento ostile verso serbi, rom e comunità lgbt. Ma
giocoforza anche gli italiani, che pure sono cattolici, finirebbero per
essere pesantemente penalizzati dal referendum.
Sono i discendenti
degli italiani che prima della Seconda Guerra Mondiale vivevano tra
Istria, Dalmazia e Quarnaro. Verso la fine del XIX secolo erano il 40%
della popolazione. Nelle località costiere erano la maggioranza,
arrivando in alcune città al 90%. A Fiume (oggi Rijeka) gli italiani
erano il 48,6% della popolazione, mentre i croati erano intorno al 26%.
In quegli anni, tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, in
Croazia i grandi stati giocavano con le minoranze etniche come fossero
scacchi. Prima l’impero austroungarico che sostenne i croati per
indebolire l’irredentismo italiano. Poi l’avvento del Fascismo e le
persecuzioni degli slavi. Ad Arbe il regime di Mussolini – che li
definiva “razza inferiore” – fece internare 10mila persone, molte
morirono di stenti e malattie.
Quindi toccò agli italiani: ci
furono le foibe, migliaia di morti, innocenti gettati nelle voragini che
si aprono nella terra tra Istria e Carso. Poi le stragi come quella di
Vergarolla, la spiaggia di Pola dove decine di persone (65 quelle
accertate), tra cui molti bambini, morirono dilaniate dalle mine.
Venne
infine l’esodo degli istriani: 350mila lasciarono la loro terra tra il
1943 e gli anni Cinquanta. Intere città si svuotarono, come ha
raccontato Piero Delbello, direttore dell’Irci (Istituto Regionale per
la Cultura Istriano Fiumano Dalmata di Trieste): “Di notte in Istria ti
bussavano alla porta e ti portavano via. Sparite, migliaia di persone.
Buttate nelle foibe, voragini profonde centinaia di metri. Decine di
migliaia partirono. Pola, 30mila abitanti, si svuotò. Le strade e le
case restarono deserte”.
Gli italiani d’Istria per decenni sono
stati ignorati. Dimenticati. Dalla Jugoslavia, ma prima ancora
dall’Italia. Ricordavano la sconfitta. Erano scomodi per la sinistra.
Della loro causa ha sempre tentato di appropriarsi la destra italiana.
Tanto che gli istriani sono stati associati ai fascisti. Non era così:
“Pola era una città piena di operai e di socialisti”, racconta ancora
Delbello.
Soltanto negli ultimi anni è stato tolto il velo che
nascondeva le tragedie delle foibe e dell’esodo. Tra Italia, Slovenia e
soprattutto Croazia sono stati siglati accordi per tutelare quei 35mila
italiani (nel 2001 furono 20.521 a definirsi di madrelingua italiana e
19.636 a dichiararsi di etnia italiana). Una comunità che resiste, che
continua ad avere scuole e giornali. Basta camminare per Dignano (oggi
Vodnjan), Rovigno (Rovinj) e Buie (Buje). La sera gli anziani si
ritrovano sulle porte, senti voci. Ed ecco riemergere parole vecchie di
secoli. Il veneto. Tracce che non sono rimaste soltanto
nell’architettura delle case, nei campanili aguzzi che ricordano la
chiesa di San Marco a Venezia.
Sembrava che secoli di sofferenze
fossero stati superati nella casa comune dell’Europa. Ma oggi in Croazia
gli italiani rischiano di sentirsi di nuovo molto minoranza.