il manifesto 5.6.18
«Ora lo Stato siamo noi». A Roma la festa della repubblica grillina
Il
disordine nuovo. Migliaia in piazza per festeggiare l’approdo al
governo. Sul palco Grillo, Casaleggio, Di Maio e i ministri M5s. Ma non
c’è Conte. Convocata la settimana scorsa contro Mattarella, la giornata
ha cambiato segno dopo la pace col Colle
di Giuliano Santoro
ROMA
«Da oggi lo Stato stiamo noi», dice Luigi Di Maio. E parte l’inno
d’Italia: «Poropò-poropò-poropopopopoò». La marcia di Mameli risuona per
la prima volta in una manifestazione del Movimento 5 Stelle. Adesso che
l’obiettivo del governo è raggiunto, la piazza che serviva a scagliare
l’accusa di alto tradimento del presidente della repubblica è diventata
la festa della «Terza repubblica dei cittadini» celebrata dal fondatore
Beppe Grillo. «Avevamo a casa le bandiere della nazionale, quelle che
tiriamo fuori per campionati mondiali: potevamo portare quelle!», dice
tra la folla una ragazza a suo padre mentre «Fratelli d’Italia» risuona
dalla scenografia alle spalle del leader Luigi Di Maio e viene
immediatamente ripetuto dalla piazza.
È QUESTO IL SENSO di una
giornata di iperboli e di entusiasmo: il M5S rivendica di essere
divenuto istituzione, potere, governo. Per Nicola Morra, che pure
insegnava in un liceo storia e filosofia e dovrebbe conoscere il peso
delle parole, il segreto sta nel fatto che «i partiti tutelano
l’interesse di qualcuno, mentre noi siamo la totalità». Solo poche ore
fa ha manifestato CasaPound, a sostegno del nuovo governo. Ma questa
«totalità», nonostante le bandiere nazionali e alcune posture un po’
sovraniste, è composta da quel popolo proteiforme di cui ha parlato
Marco Revelli. Facce diverse tra loro, sperdute ma arrabbiate, che negli
anni gli esponenti grillini hanno imparato a blandire, accarezzare,
riunificare con parole che surfano sopra le differenze e accarezzano
mondi diversi.
«Siamo il più grande movimento post-ideologico
d’Europa e stiamo riscrivendo la storia delle democrazie moderne», la
spara grossa Fabio Massimo Castaldo, l’ex portaborse di Paola Taverna
che nel giro di pochi anni è diventato vicepresidente del parlamento
europeo. «Il popolo intero si è riappropriato della nazione», sostiene
il siciliano Giancarlo Cancelleri.
«SUPEREREMO LA FORNERO,
renderemo la vita più facile agli imprenditori, investiremo sui nuovi
lavori» promette Di Maio nelle vesti di ministro del lavoro e dello
sviluppo. Dice che finalmente potrà inventare «nuove soluzioni» e
metterle in pratica in quanto ministro, ma non menziona il reddito di
cittadinanza. «Sconfiggeremo i nostri avversari con il sorriso», dice
ancora Morra. Ancora si parla di avversari, anche se nei capannelli che
si formano qualcuno dice «ora basta insultare gli altri, è il momento
dei fatti». Ma questa è l’era del battibecco social che colonizza il
campo politico, e nel discorso grillino prevale l’astio per il nemico
assoluto, che più di Berlusconi resta il Pd.
L’AVVERSARIO È
SCONFITTO ma bisogna tenerlo in vita, perché in nome di questa rivalità
si può tranquillamente soprassedere al governo con Matteo Salvini.
Questa è l’argomentazione che quasi tutti tirano fuori quando gli si
chiede un giudizio sui compagni di governo. La Lega non imbarazza
nessuno perché la realpolitik all’improvviso sembra essersi impadronita
di questo popolo di «sognatori» che affermano con orgoglio di essersi
«fatti Stato». «Cosa ci fai tu qui se non hai un lavoro?», dice una
donna con maglietta pentastellata a un uomo africano che fa il venditore
ambulante di libri. «Ma signora, io lavoro, non vede?», dice lui senza
scomporsi, e mostra la sua mercanzia.
«IL M5S NON VUOLE un Sud che
sia con il cappello in mano per il reddito di cittadinanza, il M5S ha
chiesto ben altro, ha chiesto equità, il Sud in questo periodo è stato
saccheggiato. Faremo rialzare il Sud per rendere tutta l’Italia uguale,
ma non ci saranno scontri con il Nord», dice l’altra neo-ministra
Barbara Lezzi.
La sindaca Virginia Raggi si autopropone come
modello di governo in piccolo: «Roma era stato solo il primo passo, non
vi fidate di quando diranno che non riescono a risolvere problemi, ci
vuole del tempo, noi stiamo cominciando adesso». Paola Taverna, core de
Roma emozionatissima questa sera, recita impeccabile la sua parte: «Ho
messo le scarpe basse, ho preso la mia macchina ho parcheggiato in fondo
al Circo Massimo e sono venuta a piedi anche se sono vicepresidente del
senato. Ero una donna del popolo e lo sono ancora, ero un’impiegata che
ascoltava Beppe che raccontava tutto quello che avremmo vissuto». Non
c’è Gianroberto, ma c’è il figlio Davide. «Chi usa Rousseau non vuole
più rinunciarvi», dice Casaleggio Jr, sfidando la modestia dei numeri
del suo portale, gli unici indicatori che non crescono di anno in anno
come i voti e che non macinano traguardi come gli eletti. I trecento e
passa parlamentari stanno alle spalle del palco, affacciati alla
ringhiera che guarda la piazza.
IN BASSO, ACCLAMATISSIMO tra la
gente, c’è Vittorio Di Battista, padre di Alessandro che saluta via
Facebook dall’altra parte dell’Oceano. C’è la fila per fare selfie con
Vittorio e postarli su Facebook. «Avrò fatto almeno 1500 foto», racconta
il babbo del Dibba che si muove come un pesce nell’acqua e sfoggia la
maglietta «Di Battista senior» per farsi identificare.