il manifesto 30.6.18
Se sull’immigrazione diamo i numeri, ecco quelli veri
Facile
demagogia. Non è assolutamente vero che ci troviamo di fronte ad una
grande ondata migratoria che rischierebbe di “sommergerci”. Dal 1990 al
2017 lo stock d’immigrati nati all’estero e censiti nei 27 paesi che
fanno parte dell’Unione europea, più la Gran Bretagna, è cresciuto di
25,2 milioni. Ma di questi solo il 35% proviene da paesi del Sud del
mondo. Ciò significa che gli africani, asiatici e latino-americani, di
cui si cerca di popolare i nostri “incubi”, sono stati 8,8 milioni in 27
anni: una media di 327mila all’anno. Quando i migranti lavorano, i
contributi al fisco eccedono del 60% tutto ciò che lo stato spende per
il welfare. Nel 2016 hanno concorso all’aumento del 9% del Pil
di Ignazio Masulli
Dalla
Brexit all’elezione di Trump, dall’ ondata nazionalista e xenofoba
montante in un numero crescente di paesi dell’Unione europea fino al
lacerante dibattito attuale al suo interno (testimoniato dalla
conclusione del vertice), il punto di leva è una spregiudicata
strumentalizzazione del fenomeno migratorio. Anziché preoccuparsi di
curare le vere cause della perdurante stagnazione economica, delle
crescenti diseguaglianze sociali, della crisi di legittimazione
politica. Conservatori e sedicenti progressisti hanno pensato di lucrare
sulla facile demagogia di attribuirne le cause ad una migrazione
presentata come massiccia e squilibrante. Si tratta di una grossolana
mistificazione, basta analizzare i numeri, ma quelli giusti.
Intanto,
non è assolutamente vero che ci troviamo di fronte ad una grande ondata
migratoria che rischierebbe di “sommergerci”. Dal 1990 al 2017 lo stock
d’immigrati nati all’estero e censiti nei 27 paesi che fanno parte
dell’Unione europea, più la Gran Bretagna, è cresciuto di 25,2 milioni.
Ma di questi solo il 35% proviene da paesi del Sud del mondo. Ciò
significa che gli africani, asiatici e latino-americani, di cui si cerca
di popolare i nostri “incubi”, sono stati 8,8 milioni in 27 anni: una
media di 327mila all’anno.
Non tolgono lavoro a nessuno. Chiunque
confronti gli indici della disoccupazione con quelli dell’immigrazione
negli Usa e nei maggiori paesi europei vedrà che non c’è alcun rapporto
tra i due andamenti. Disoccupazione e precarietà del lavoro dipendono
dalle strategie di massimizzazione dei profitti fatte dai gruppi
economici dominanti (delocalizzazione produttiva, automazione spinta,
finanziarizzazione del capitale).
I costi? Sono quelli voluti dai
governi che detengono gli immigrati e li sottopongono a lunghe procedure
per stabilire se hanno diritto a chiedere asilo o devono essere
rispediti nei paesi di provenienza. Se e quando si permette loro di
lavorare legalmente, i contributi che versano al fisco eccedono del 60%
tutto ciò che lo Stato spende per loro in materia di edilizia
convenzionata, sanità, pensione, istruzione e quant’altro.
Si
veda, ad esempio, il bilancio italiano del 2016; ma ciò vale anche per
gli altri paesi meta. Sempre nell’Italia de 2016, gli immigrati nati
all’estero hanno concorso ad un aumento del Pil del 9% e altrove in
misura anche maggiore.
L’apporto demografico degli immigrati è
essenziale. Se consideriamo la popolazione dei 27 paesi dell’Ue, un
cittadino troppo giovane o troppo anziano per lavorare, dipende da 1,8
persone in età lavorativa, che si ridurranno a 1,5 entro 12 anni. Il che
prospetta una situazione insostenibile a detta della stessa Commissione
europea.
Per quanto riguarda le spese sociali, il mantenimento
degli attuali standard di welfare dei cittadini dell’Unione
richiederebbe una base contributiva garantita da un aumento della
popolazione europea di 42 milioni di persone in 5 anni. Cosa concepibile
solo attraverso l’accoglienza e regolarizzazione di un numero di
migranti molto maggiore di quelli che bussano attualmente alle nostre
porte.
Purtroppo la mistificazione ha fatto strada. Sicché nel
giro di pochi anni abbiamo assistito ad un crescendo di proposte
ingannevoli e irresponsabili.
Prima governi e istituzioni dell’Ue
sono andati alla cerca di guardiani capaci di sbarrare la strada ai
migranti. Così è avvenuto con il finanziamento alla Turchia per chiudere
la rotta balcanica. Più difficile è stato trovare un gendarme
altrettanto agguerrito in Libia per bloccare le traversate del Canale di
Sicilia. La situazione caotica determinatasi in quel paese ha
incoraggiato politiche di respingimento ancor più spregiudicate ed
aggressive. Si vedano gli accordi dell’ex ministro Minniti con la
guardia costiera libica, con gruppi militari attivi nelle zone interne,
nonché con governi di paesi di transito dei profughi. Anche questa
escalation si è valsa del consenso di altri paesi dell’Ue e delle sue
istituzioni centrali.
Ora, di fronte ai crescenti contenziosi e
competizioni all’interno dell’Unione, sembra prender forma un ulteriore
allargamento del raggio d’azione, fino a stabilire hot spot ai confini
dei paesi di provenienza dei migranti. Il che equivale a bloccare ogni
tentativo d’emigrazione sul nascere. Per non dire della guerra a chi
salva i naufraghi.
E’ evidente che questa escalation non fa che
calpestare in maniera sempre più aggressiva ogni diritto e confine di
legalità stabilito da precise norme e trattati. Ed è altrettanto chiaro
che una degenerazione morale e politica di questo genere si riflette
inevitabilmente nelle situazioni interne dei paesi e aggrava la crisi di
legittimazione della stessa Ue.