il manifesto 30.6.18
Siria/Israele. Il ministro della difesa
Lieberman conferma l'invio di aiuti a chi scappa dai combattimenti ma
ribadisce che non sarà fatto entrare alcun profugo siriano. Nei giorni
scorsi era stata la Giordania a chiudere le frontiere
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Aiutiamoli a casa loro. Israele segue le orme di Matteo Salvini e fa
sapere che mandarà altri aiuti agli sfollati di Deraa e di altri centri
abitati del sud della Siria coinvolti nei combattimenti tra l’esercito
siriano e le formazioni jihadiste, ma non ne accoglierà alcuno nel
proprio territorio. E a metterlo in chiaro è stato il ministro della
difesa Lieberman. «Seguiamo da vicino la situazione nella Siria
meridionale» ha scritto ieri Lieberman in un tweet «saremo disposti ad
offrire ogni aiuto umanitario per i civili, le donne e i bambini. Ma
non accoglieremo alcun profugo nel nostro territorio». Parole che
mettono a tacere le poche voci che si erano levate a sostegno
dell’accoglienza, in particolare quella del deputato druso Saleh Salah
che aveva chiesto l’allestimento di un campo di tende sulle Alture del
Golan, che, peraltro, è un territorio siriano che Israele ha occupato
nel 1967 e che poi si è annesso unilateralmente.
Sarebbero
120mila i civili siriani in fuga dai bombardamenti e dai combattimenti
tra governativi e jihadisti che si concentrano soprattutto intorno a
Deraa, capoluogo della Siria meridionale e roccaforte dell’opposizione
islamista. Giovedì notte l’esercito israeliano ha inviato da quattro
punti diversi delle linee di demarcazione con la Siria 300 tende, 13
tonnellate di cibo, 15 tonnellate di alimenti per l’infanzia,
attrezzature mediche, medicinali, vestiti e scarpe. Aiuti che poi sono
stati trasferiti – non si è capito bene da chi – nei campi profughi
siriani a ridosso del Golan che ospitano migliaia di siriani in
condizioni precarie, senza accesso ad acqua, elettricità, cibo. Ma gli
aiuti umanitari non bastano a chi scappa da combattimenti violenti.
L’unico modo per garantire protezione ai civili in fuga è quello di
farli entrare almeno sul versante del Golan controllato da Israele. E
il popolo ebraico, in ragione della sua storia, dovrebbe sapere meglio
di altri quanto è importante che sia offerto un rifugio sicuro a chi
fugge dalla guerra e dalla morte. Invece un portavoce dell’esercito
israeliano ha subito chiarito che non sarà consentito ai siriani di
oltrepassare le linee tra i due paesi. Posizione poi confermata dal
tweet di Lieberman, sostenitore peraltro delle politiche del governo di
espulsione dei migranti e richiedenti asilo africani nel paese.
Israele
che. come hanno documentato in passato anche gli osservatori dell’Onu,
ha avuto contatti con le formazioni islamiste che operano nel sud della
Siria, ha scelto la stessa linea della Giordania che qualche giorno fa
ha annunciato la chiusura della sua frontiera nord dove si sono
ammassati migliaia di siriani. Il ministro degli esteri giordano, Ayman
Safadi, è stato perentorio quando ha affermato che «la Giordania non è
in grado di ospitare altri rifugiati» perché il suo paese già «ospita
1,3 milioni di profughi siriani». Sui social tuttavia tanti giordani
hanno contestato le sue parole e lanciato la campagna «Aprite i
confini» per dare accoglienza ai siriani nonostante le difficoltà
economiche del Paese attraversato questo mese da proteste popolari
contro il governo.
Intanto è entrata in vigore a Deraa una
tregua di 12 ore dopo che i gruppi jihadisti hanno raggiunto un accordo
con i russi che l’aviazione appoggiano l’offensiva dell’esercito
siriano. Mosca ha imposto all’opposizione siriana una serie di
condizioni da accettare tra cui quella di consegnare le armi pesanti e
rinunciare al controllo del valico di confine con la Giordania. I
miliziani di Taiba, Saida, Umm al Mayazan e Naseib, nella parte
orientale e sud-orientale del governatorato di Deraa, hanno accettato
di consegnare le armi.