il manifesto 30.6.18
Interno familiare con gioco al massacro
Al
cinema. «Il sacrificio del cervo sacro» di Yorgos Lanthimos, con Colin
Farrell e Nicole Kidman, la tragedia greca e il lato oscuro della
borghesia
di Cristina Piccino
Arriva dopo un
anno dalla presentazione al Festival di Cannes, dove era in concorso
(premiato per la migliore sceneggiatura), il film di Yorgos Lanthimos Il
sacrificio del cervo sacro in cui il regista greco ritrova Colin
Farrell, già protagonista della distopia di Lobster, qui con Nicole
Kidman e un gruppo di giovani interpreti tra cui l’inquietante Barry
Keoghan. In inglese, come già Lobster, Il sacrifiicio del cervo sacro
tra le suggestioni disseminate in un racconto di vendetta filiale
esibisce un legame con la tragedia greca, e soprattutto afferma
un«cinema della crudeltà» che Lanthimos persegue nelle proprie scelte
formali film dopo film.
Cosa significa? Sostanzialmente nella sua
interpretazione rivendicare come impronta autoriale una «metafora» che
sfigura i personaggi e costruisce un sistema chiuso, che si compiace
fino alla nausea del proprio guardarsi filmare, e che in questo film
tocca l’apice di un vuoto fine a sé stesso.
È come se le
invenzioni del suo esordio-rivelazione, l’ormai lontano Kinetta (2005)
abbiano trovato compimento in universi cinematografici concentrazionari,
teatrini senza coraggio.
Nel «sacrificio» – un titolo che dice
già il film – troviamo una coppia glamour di medici (Farrell e Kidman)
con due figli «bellissimi», lui chirurgo che non sbaglia mai – la colpa è
sempre dell’anestesista se qualcuno muore sotto i ferri – lei oculista,
la prole talentuosa, musica, canto, bei voti a scuola. Ma in questo
interno borghese asettico come le sale operatorie irrompe all’improvviso
un adolescente in cerca di vendetta: Martin (Keoghan),corpo estraneo
sin dall’aspetto fisico così poco accordato all’armonia della famiglia.
Il chirurgo ha sbagliato e gli ha ammazzato il padre, lui lancia una
terribile maledizione sulla famiglia condannata a morire finché il
chirurgo non uccida lui stesso un familiare per essere pari.
Gli
equilibri saltano, la famiglia (comunità) si sgretola, ciascuno in cerca
della sua salvezza, del «cervo sacro» da sacrificare per sopravvivere,
blandendo il carnefice e il suo strumento, il Padre, nelle cui mani
tutto torna…Nel gioco al massacro, privo di sfumature, dal mito si
arriva allo scoperchiamento degli ipocriti patti di convivenza che
fondano una qualsiasi famiglia molto perbene.
Niente di nuovo, e
non basta a compensare la mancanza di invenzione -registica, narrativa –
il ghigno di crudeltà mal digerita. Le geometrie di Lanthimos sono
pompose, le sue traiettorie banali, la «provocazione» appiattita dal
bisogno di soddisfare soltanto le proprie aspirazioni. Troppo poco
seriamente crudeli, purtroppo.