Corriere 30.6.18
Intervista al Nobel Carlo Rubbia
«Ero bravissimo nelle materie umanistiche Sono necessarie»
di Giovanni Caprara
«Scienza
e cultura umanistica sono due cose diverse ma sono entrambe
indispensabili. La cultura è unica e necessaria per crescere bene».
Parola del Nobel Carlo Rubbia.
Perché, allora, si tende a distinguere?
«Da
noi, a parte i giganti del passato, la scienza è giovane e si può dire
iniziata con Enrico Fermi negli anni Venti-Trenta del secolo scorso.
Prima di lui c’è un lungo vuoto tanto che per trovare un grande bisogna
risalire all’Ottocento, ad Alessandro Volta. Quindi talvolta si tende a
far prevalere l’importanza della cultura umanistica che ha radici più
diffuse».
Ma lei, a scuola, preferiva la scienza o la letteratura?
«Per
me la scienza è sempre stata una passione, sin da piccolo. Però ero
bravissimo anche nelle materie letterarie. In molti mi dicevano che
dovevo fare l’avvocato. Anche oggi la letteratura è complementare, anzi
un elemento essenziale, non possiamo farne a meno. Sappiamo quanto la
cultura umanistica italiana sia ricca e di grande aiuto nella scuola».
La cultura scientifica, comunque, è sottovalutata?
«Direi
che da noi ha bisogno di crescere. Nonostante il fatto che i
ricercatori italiani siano grandemente riconosciuti e apprezzati per i
loro meriti nei più grandi laboratori del mondo. Siamo testimoni dei
risultati che sanno raggiungere. È tuttavia determinante sostenere gli
scienziati italiani ma anche stranieri che operano nei nostri centri».
Perché un giovane dovrebbe preferire la scienza? Magari per sognare il Nobel?
«Il
Nobel è un riconoscimento ma non può essere un obiettivo per dedicarsi
alla ricerca. Il motivo deve essere l’attrazione a fare qualcosa di
nuovo. C’è ancora tanto da scoprire. La cultura scientifica offre grandi
opportunità per sviluppare una mentalità adeguata al nostro mondo e
capire la realtà in cui viviamo. Ma è altrettanto vero che la cultura
umanistica ci apre le porte preziose della conoscenza e dell’evoluzione
dell’intelletto».
La scelta può essere difficile, senza una passione travolgente...
«Ognuno
deve scegliere la strada che ritiene più adeguata ai propri interessi,
alle personali sensibilità culturali. Chi entra nel mondo della scienza
ha la facoltà di esplorare cose nuove e immergersi in una dimensione
globale. I ricercatori collaborano ormai su una scala mondiale, sia che
lavorino in un laboratorio europeo, americano oppure cinese. La scienza,
oggi più che mai, è davvero universale sotto ogni aspetto».
Nessuna contrapposizione, dunque, tra scienza e cultura umanistica anche nella formazione dei nostri giovani?
«Sono
due aspetti dello spirito umano. In entrambi i casi è necessario
incoraggiare i giovani a pensare in maniera originale. Nello stesso
tempo, il Paese deve garantire i mezzi adeguati allo sviluppo della
cultura in tutti i campi, sia scientifico che umanistico».