il manifesto 27.6.18
Razzismo, quello politico è più ambiguo, come negli anni Venti
Razzismo.
Ci sono stati autori, ancor oggi osannati dalla destra in doppio petto,
che hanno invitato pubblicamente a discriminare certi gruppi etnici e
contemporaneamente hanno scritto che il razzismo era una dottrina priva
di qualsivoglia base scientifica. Il razzismo non è affatto per forza di
cose una teoria biologica della politica. Esiste, cioè, anche il
razzismo politico
di Luca Michelini
A proposito del
razzismo e delle politiche razziste esiste, purtroppo, un diffuso
malinteso. Si presume, infatti, che politiche discriminatorie siano il
frutto esclusivo di ideologie e di prassi apertamente e dichiaratamente
razziste. Ci si aspetta che tali politiche e che le ideologie che le
sorreggono abbiano necessariamente bisogno di un qualche “Manifesto
della razza” e di qualche intellettuale e scienziato disposto a
dimostrare che “le razze esistono”. Naturalmente, si deve sapere che il
razzismo è anche questo. Ma la storia, e in modo particolare la storia
italiana, ci insegna che il razzismo e le politiche discriminatorie
hanno anche una origine diversa.
Ci sono stati autori, ancor oggi
osannati dalla destra in doppio petto, che hanno invitato pubblicamente a
discriminare certi gruppi etnici e contemporaneamente hanno scritto che
il razzismo era una dottrina priva di qualsivoglia base scientifica. Il
razzismo non è affatto per forza di cose una teoria biologica della
politica. Esiste, cioè, anche il razzismo politico. Esiste fin
dall’origine un dato caratteristico delle ideologie razziste: la loro
profonda ambiguità, il porsi tra il dire e il non dire, tra
l’affermazione e la smentita. Tratto caratteristico di queste ideologie è
l’uso deliberato della menzogna, che è addirittura teorizzata come
funzionale a descrivere ciò che è “verosimile”. C’è sempre un contesto
internazionale che costituisce una camicia di forza per la “patria”,
rettamente intesa. C’è sempre una “cospirazione” internazionale da
debellare.
Il razzismo, dunque, è usato come deliberata arma di
propaganda, ma non per fini puramente ideologici, quanto per promuovere
attive politiche di aggressione: in particolare lo squadrismo dei primi
anni Venti. E fin dalle origini queste prassi discriminatorie hanno
invocato“censimenti”: a cominciare dai cognomi e poi redigendo e
pubblicando “elenchi” e poi avviando complesse procedure di
“riconoscimento” e poi redigendo la geografia economica e istituzionale
della “occupazione” che i gruppi avevano fatto e andavano facendo di
certi lavori e di certe cariche, diventando quello che viene definito
“uno Stato nello Stato”. Tipico di queste ideologie è poi presentare
proprio i gruppi discriminati come fomentatori di discriminazione, come i
primi e i fondamentali “razzisti”, come gruppi che rifiutano
l’integrazione. Il razzismo politico stigmatizza, poi, le ideologie
“umanitarie” e “cosmopolite”, che naturalmente nascondo ben
circoscrivibili “interessi” o di gruppi o di nazioni. La “epurazione”
invocata di questi gruppi si è sempre accompagnata alla loro
assimilazione ad altri gruppi che, in un modo o nell’altro, costituivano
“uno Stato nello Stato”, dei “traditori”, naturalmente anch’essi da
estirpare.
E prima di arrivare alla codificazione legislativa di
politiche razziste e discriminatorie, la discriminazione ha cercato la
via più semplice: farsi propaganda, titolo di giornale, intervista; poi
farsi cemento ideologico di partito; in seguito farsi provvedimento
amministrativo apparentemente indolore per la cornice legislativa che lo
contiene; poi diventare provvedimento di ordine pubblico, così da
criminalizzare il gruppo da discriminare; infine, quando le coscienze
sono state abituate alla discriminazione, quando le voci discordi sono
rese minoritarie, quando appare politicamente corretto e condiviso tutto
quanto sopra descritto, il razzismo diventa codice, legge,
organizzazione.