mercoledì 27 giugno 2018

il manifesto 27.6.18
«Londra riconosca le sue colpe verso i palestinesi privi di diritti»‎ ‎
Intervista. Lo chiede con forza lo storico Salim Tamari, docente alla Harvard, in occasione della storica visita del principe britannico William in Israele e Territori palestinesi occupati
di Michele Giorgio

RAMALLAH Nelle settimane passate Buckingham Palace si è affannata a ‎sottolineare la natura “non politica” della visita del principe William ‎in Giordania, Israele e Territori palestinesi occupati. Ma a ovest del ‎fiume Giordano l’arrivo del secondo nella linea di successione al ‎trono britannico, non può non avere una valenza politica e storica. La ‎Gran Bretagna che prese il controllo della regione e la governò sotto ‎un mandato della Società delle Nazioni tra il 1917 e il 1948, se è ‎vista dagli israeliani con (moderata) simpatia per il suo ruolo, in ‎particolare per la Dichiarazione Balfour – del 1917, che assicurava il ‎sostegno di Londra alla creazione di un “focolare nazionale ebraico” ‎in Palestina – nella nascita dello Stato ebraico, è invece accusata dai ‎palestinesi di aver consegnato la loro terra al movimento sionista e di ‎aver gettato i semi del conflitto che devasta ancora il Medio oriente. ‎Motivo di attrito con Israele è il riferimento nel programma del ‎principe a Gerusalemme Est, la zona araba della città, come parte dei ‎Territori palestinesi occupati. Un punto che ha fatto infuriare i ‎politici israeliani che considerano tutta Gerusalemme come la ‎capitale “eterna e indivisibile” dello Stato ebraico. Sul significato ‎della visita del principe William – che ieri ha deposto una corona di ‎fiori al Memoriale dell’Olocausto e ha avuto colloqui con il premier ‎Netanyahu e il capo di stato israeliano Rivlin – abbiamo intervistato a ‎Ramallah lo storico e sociologo palestinese, Salim Tamari, ‎attualmente docente all’università statunitense di Harvard. ‎
Il principe William è atteso (oggi) a Ramallah dove incontrerà il ‎presidente dell’Anp Abu Mazen e giovani dei campi profughi. Una ‎visita nei Territori occupati che non placa la rabbia dei palestinesi che ‎chiedono alla Gran Bretagna di scusarsi per la Dichiarazione Balfour ‎e la politica anti-araba svolta durante il Mandato in Palestina.
Scuse che difficilmente arriveranno e non solo perché il principe ‎William non può svolgere alcun ruolo politico. La premier britannica ‎Theresa May in varie occasioni nell’ultimo anno ha parlato con ‎orgoglio della funzione avuta dal suo paese nella fondazione dello ‎Stato di Israele. Settant’anni dopo la guerra del 1948 e 101 anni dopo ‎Balfour, la Gran Bretagna è sempre più allineata alle posizioni della ‎Casa Bianca. Tuttavia non escludo che (oggi) il principe William ‎possa fare qualche dichiarazione non del tutto in linea con il governo ‎May. La monarchia britannica talvolta prende le distanze ‎dall’esecutivo in omaggio al suo passato imperiale, quando decideva ‎tutto da sola o quasi. Ma è una possibilità remota.‎
La visita al Monte degli Ulivi e il riferimento a Gerusalemme Est ‎come parte dei Territori occupati comunque deviano in parte dai tour ‎preconfezionati in Israele e Cisgiordania che compiono capi di stato e ‎di governo stranieri.‎
Che sia una visita di alto profilo e non solo simbolica è chiaro a ‎tutti. È importante che la Gran Bretagna e i paesi europei, a ‎proposito dello status di Gerusalemme, si mantengano fedeli alla ‎risoluzione 181 dell’Onu del 1947, che ha assegnato alla città (e a ‎Betlemme, ndr) uno status speciale, internazionale, e che non ‎riconoscano, come ha fatto Donald Trump infrangendo il diritto ‎internazionale, Gerusalemme come la capitale di Israele. Ogni ‎segnale, anche piccolo, che il reale britannico darà nella direzione che ‎ho detto sarà positivo per il mantenimento dello status internazionale ‎di Gerusalemme.‎
Alcune voci affermano che il ruolo britannico in Palestina va in ‎parte riscritto perché Londra, prima e dopo il secondo conflitto ‎mondiale, avrebbe preso in maggiore considerazione i diritti dei ‎palestinesi e sostenuto almeno in parte l’idea di uno Stato per arabi ed ‎ebrei, tanto da non votare a favore della partizione della Palestina ‎approvata dall’Onu nel 1947.‎
I dubbi di Londra in quegli anni nei confronti di ciò che stava ‎maturando sul terreno e sulla direzione presa dal movimento sionista ‎sono ormai fatti storici accertati. La discussione in casa britannica su ‎un processo di decolonizzazione in Palestina fu reale. Senza ‎dimenticare che il segretario agli esteri dell’epoca Ernest Bevin fece ‎irritare non poco i leader sionisti, opponendosi persino ad alcune ‎scelte e richieste fatte dal presidente Usa Truman. Tuttavia la ‎Dichiarazione Balfour fatta trent’anni prima aveva ormai segnato un ‎punto di svolta decisivo per il futuro della Palestina. Cent’anni dopo ‎Londra continua a negare le sue responsabilità, anzi ne rivendica la ‎piena consapevolezza dimenticando i diritti mai realizzati dei non ‎ebrei in Palestina che pure sono citati nella Dichiarazione Balfour.