Il manifesto 26.6.18
Un nuovo cammino a sinistra
La disfatta
del Pd. L’elettorato di centrosinistra è frastornato. Dopo la batosta
del referendum costituzionale (gli attuali governanti in quella vicenda
posero le prime basi dell’alleanza e del contratto), il Pd ha compiuto
errori madornali, non affrontando una discussione di fondo, non
scegliendo un percorso, e lasciando a bagnomaria un reggente che quando
parla non si sa a nome di chi. Purtroppo, la crisi del Pd è contagiosa.
Il suo fragoroso smottamento, verso la Lega, verso i 5Stelle e verso
l’astensionismo, coinvolge anche le forze alla sua sinistra, che o si
uniscono in modo strumentale o si dividono in modo autolesionistico
di Norma Rangeri
Abituati
alle frane di un paese che si sbriciola, restiamo invece quasi stupiti
quando la frana assume i connotati di un cedimento del territorio dal
punto di vista sociale e politico. Come accade da alcuni anni ad ogni
appuntamento elettorale. Quando la montagna smotta o il fiume allaga,
ogni cosa finisce per essere travolta, i campi incolti come i terreni
ben coltivati. La disfatta del Pd in Emilia Romagna e in Toscana, due
regioni amministrate meglio di tante altre, dimostra che la valanga
fascistoide non ha trovato argini in grado di contenerla. Città dove il
Pci-Pds-Ds-Pd era al governo da 70 anni (Imola e Siena), o da 20 come
Terni, hanno scelto di cambiare.
Nulla di drammatico di per sé,
perché il problema non è sbaraccare le vecchie, ossificate nomenklature.
Il problema è che il cambiamento premia una Vandea. Presente e diffusa
in tutto il paese. Su quali basi noi oggi assistiamo alla crescita di un
partito che, dal 4 per cento del 2013, nel 2018 quadruplica? E che i
sondaggi danno in costante salita? Sicuramente sulla base di fortissime
tensioni sociali. Ma anche sull’odio (quel che si è scatenato contro
Saviano è barbarie), sulla paura, sul livore, sull’intolleranza.
Ha
fatto la sua parte la mancanza di governo di alcune questioni, come il
lavoro e la sicurezza sociale, ovvero gli argini politico-culturali da
sempre appannaggio della sinistra: queste vie maestre della convivenza
civile e della tutela sociale non sono state difese. Anzi, è accaduto il
contrario. Come dimenticare la battaglia durissima condotta da Renzi
contro i sindacati, oppure la beffa del contratto a tutele crescenti, o
l’affidamento dell’accoglienza al sistema malato delle cooperative
(l’imprenditore campano dei centri per i migranti con la Ferrari), come
la retorica renziana di «aiutiamoli a casa loro», o la brutalità del
ministro Minniti che «risolveva il problema» ricacciando i migranti
nell’inferno libico? Tutto questo ha desertificato il terreno del
consenso, favorendo la scia salviniana, tirandogli la volata.
La
persona anziana che si sente spaesata e insicura nel quartiere, quelli
che temono «i neri» che rubano il lavoro (come se gli autoctoni fossero
disposti a vendere pareo sulle spiagge), quelli che pensano ai diritti
di se stessi e dei propri simili e se ne fregano del resto, quelli che
temono la violenza (vergognosamente manipolata e usata dalla propaganda
mediatica), non vogliono ascoltare, non vogliono discutere e
confrontarsi: chiedono risposte immediate, semplici, rassicuranti e si
offrono a chi le propone. Senza però riflettere sul fatto che le
soluzioni delle destre xenofobe non danno una risposta che guarda
avanti, ma giocano tutto in difesa e alzano muri: contro gli immigrati,
contro l’Europa, contro i pericoli esterni (magari armando ogni singolo
cittadino che vuole autodifendersi).
L’elettorato di
centrosinistra è frastornato. Dopo la batosta del referendum
costituzionale (gli attuali governanti in quella vicenda posero le prime
basi dell’alleanza e del contratto), il Pd ha compiuto errori
madornali, non affrontando una discussione di fondo, non scegliendo un
percorso, e lasciando a bagnomaria un reggente che quando parla non si
sa a nome di chi.
Purtroppo, la crisi del Pd è contagiosa. Il suo
fragoroso smottamento, verso la Lega, verso i 5Stelle e verso
l’astensionismo, coinvolge anche le forze alla sua sinistra, che o si
uniscono in modo strumentale o si dividono in modo autolesionistico.
La
sinistra che non si riconosce nel Pd, non ha bisogno di un leader
solitario. Ha urgenza di mettersi insieme, di qualcuno capace di
prendere per mano questo mondo disorientato. Un compito che, in questa
fase, non può essere assolto dal presidente Grasso, perché si tratta di
riavviare tanto una riflessione teorica quanto un riassetto politico.
Ora c’è bisogno di persone giovani, donne e uomini impegnati sul
territorio, politicamente rodati. Ci sono, ma purtroppo concentrati a
costruirsi ciascuno il suo partitino.
Nel tentativo di incontrare
chi, dentro e fuori del partito democratico lavora per una svolta vera,
ieri Zingaretti, il presidente del Lazio, una delle regioni che più e
meglio ha retto all’arrembaggio della destra, ha invitato il Pd a
considerare chiuso un ciclo storico e ad abbandonare «personalismi e
settarismi», i due mali endemici della sinistra. Nel Lazio si è rivelata
un’idea vincente. Naturalmente al netto di un’astensione-monstre.
Per
ritrovare una luce in fondo al tunnel bisogna allenare i muscoli a una
ripida e lunga salita, evitando di cadere nella trappola «molti nemici,
molto onore», cioè regalando i 5Stelle alla Lega, considerandoli alla
stessa stregua. Per due semplici ragioni. Perché, come rivelano i flussi
elettorali, secondo l’istituto Cattaneo, in alcune città il voto
pentastellato è andato al candidato leghista (nelle città toscane),
mentre altrove è andato al centrosinistra (nelle città del Sud come
Brindisi e Teramo). E perché significherebbe dire che oggi in Italia il
70% dei cittadini è di destra, mentre il nostro è sempre stato un paese
spaccato a metà, con una larga fetta di opinione pubblica che si tira
fuori, che si astiene.
Nel municipio di Roma dove ha vinto Caudo,
ex assessore ai tempi di Marino (una macchia orribile, tra le varie per
il Pd), erano chiamati al voto più di 160mila elettori, come a Imola o a
Terni, ed è andata al seggio una risicata minoranza, l’80% è rimasto a
casa. Non per scelta, per disperazione. Ma se non vogliamo farci
sommergere dall’onda, è da queste piccole vittorie che si può ripartire.
Dimostrano, nonostante tutto, nonostante la Vandea montante, che c’è
ancora vita a sinistra.