Corriere 26.6.18
Caccia ai responsabili nella Toscana perduta «Ormai il renzismo qui è una zavorra»
Le accuse dei candidati e il nodo della sicurezza
di Monica Guerzoni
SIENA
Quando la pioggia è finita e i turisti in bilico sulle travi di legno
schivano il fango di una piazza del Campo già pronta per il Palio, il
nuovo sindaco taglia l’ombra della Torre del Mangia e fa il suo ingresso
nel Palazzo Pubblico. Si chiama Luigi De Mossi e ha la faccia incredula
di chi mai, nella vita, aveva sognato di rottamare 73 anni di storia
della sinistra italiana: «Salvini? Stanotte mi ha persino risposto al
telefono, era contento...».
Gli eredi del dalemismo
Dopo
Arezzo, Grosseto e Pistoia, il centrodestra a guida leghista strappa
agli eredi del dalemismo, del bersanismo e del renzismo anche gli ultimi
trofei. Cade Pisa, dove la torre si inchina al vincitore. Cadono Massa,
Imola e Terni, dove anche gli operai delle acciaierie hanno votato nel
nome di Salvini. Il filo rosso che, dal dopoguerra, legava assieme i
campanili della Toscana e dell’Emilia-Romagna, può dirsi definitivamente
spezzato. Le roccaforti ex Pci, Pds, Ds, Pd non esistono più, la
cartina dell’Italia politica non segnala regioni rosse e il futuro, per i
dem annichiliti, è la (flebile) speranza di tenere Firenze nel 2019 e
la Toscana nel 2020 e di non perdere, quando sarà, anche Prato e Lucca.
«Salvini è stato bravo a interpretare il malcontento, ma le
responsabilità dei dirigenti del Pd sono indiscutibili — sospira
angosciata Rosy Bindi, per decenni una colonna della sinistra toscana —
La ripartenza è possibile solo se il partito si scioglie in un nuovo
centrosinistra». Anni di risse tra fratelli coltelli hanno azzerato ogni
rendita di posizione, rendendo contendibili feudi inespugnabili. Un
pezzo dopo l’altro il Pd ha visto sgretolarsi la sua montagna di
consensi, ha smarrito la sua gente e aperto la strada al cambiamento.
«Una svolta che aspettavamo da anni — spiega sull’uscio della sua
bottega l’antiquario Francesco Codenotti — Il Paese è al disastro, le
regole dell’Europa ci stanno riportando al medioevo».
La questione dell’uomo forte
Per
questo i senesi hanno scelto l’uomo forte? «E chi sarebbe, Salvini? Ma
suvvia... Qui a Siena gli uomini forti sono altri, i banchieri e
massoni». In piazza del Campo, di fronte al ristorante La Mossa, due
amici parlano del terremoto elettorale. «Renzi è bruciato, al prossimo
giro lui e la Boschi restano fuori dal Parlamento». E il compare: «Pure
l’altro Matteo deve stare attento... Se non fa qualcosina, lo si manda a
casa pure lui».
Bruno Valentini ci è appena tornato, a casa. Il
sindaco uscente si è portato via l’ultimo scatolone a notte fonda,
stremato dalla «crudele logica del ballottaggio» e dall’eterna sfida tra
renziani e antirenziani: «Un risultato simile non me lo aspettavo, dopo
aver rimesso a posto i cocci di una città uscita malissimo dallo
scandalo Monte dei Paschi». A Siena politica e affari vanno da sempre a
braccetto. A Siena nel 2012 Renzi aveva chiuso la campagna delle
primarie, impugnando la bandiera bianco-nera come un vessillo della
rottamazione: contro Bersani, contro D’Alema e i «capitani coraggiosi di
Telecom», contro l’ex sindaco Franco Ceccuzzi: «Una parte del gruppo
dirigente deve andare a casa per quello che ha fatto e questa città lo
sa bene».
L’apparentamento last minute
Cinque anni e
spiccioli dopo, a nulla è servito l’apparentamento last minute (favorito
da Veltroni) con la lista «nemica» di Pierluigi Piccini, anzi i
cittadini lo hanno vissuto come un accordo di potere. Di chi è la colpa?
«Dell’afasia del Pd — geme Valentini, un tempo renziano vicino a Lotti —
Il punto di rottura è stato il referendum, Renzi non si è ritirato e il
nostro popolo si è sentito tradito». E adesso? «Il renzismo è una
zavorra». E Salvini? «Non sarà il migliore, ma la gente lo vede come uno
che ha le palle». Con buona pace di chi ancora crede negli ideali di
sinistra, a cominciare dall’accoglienza.
Marco Filippeschi, ex
segretario regionale per dieci anni sindaco di Pisa, ha percepito sulla
sua pelle crescere l’onda della paura e la voglia di sicurezza. «Si
sentiva in città dire “mandiamo via gli immigrati e chi ce li ha
portati, cioè la sinistra”. La megarissa per la droga tra nord africani e
nigeriani alla vigilia del ballottaggio, in un clima da coprifuoco, ha
lasciato segni profondi. Il resto lo ha fatto una gestione del potere
subita da molti come arrogante, prova ne siano le liste elettorali delle
politiche inzeppate in Toscana di paracadutati da altre regioni, come
Pinotti, Giachetti e Padoan per il Pd e come Speranza per Leu. Ma il
presidente della Toscana, Enrico Rossi, non sente il peso della
sconfitta: «Rivolgetevi al Pd, non a me. La sinistra, invece di
criticarmi, dovrebbe trattarmi come un’icona».