martedì 26 giugno 2018

Il manifesto 26.6.18
La destra stringe la morsa sulla Turchia
Elezioni. Erdogan rieletto al primo turno. I Lupi grigi garantiscono la maggioranza in parlamento. L’Hdp supera lo sbarramento, Chp tradito dal flusso di voti agli alleati. Osce: Voto iniquo
di Dimitri Bettoni


ISTANBUL Eccola la nuova Turchia di Erdogan, dove ogni filo del comando è collegato alla volontà di un uomo. Uno Stato che ha perduto ogni carattere democratico, a parte lo show delle urne e una società civile straordinariamente resistente ad anni di vessazioni, inganni e persecuzioni.
Le opposizioni fino all’ultimo hanno creduto nel cambiamento, ma ha vinto la baldanza del Rèis Erdogan che, a spoglio ancora in corso, dichiara vittoria e ottiene altri cinque anni di governo con poteri ineguagliati e senza altri appuntamenti elettorali a intralciargli la strada.
Domenica aprono i seggi e già a metà giornata si rincorrono voci preoccupanti. Da Suruç, provincia di Urfa, dove alcuni osservatori sono scacciati e la polizia ferma degli uomini che in auto trasportano sacchi di schede elettorali. Da Erzurum, dove il rappresentante regionale dell’Iyi parti viene ucciso a colpi di arma da fuoco. Da Agri, Batman, Diyarbakir e Sirnak nel sudest, dove numerosi osservatori internazionali italiani, svedesi, francesi sono arrestati e accusati di interferire con le elezioni. Le autorità dichiarano di avere tutto sotto controllo, le opposizioni di mantenere la calma e non abbandonare i seggi per alcun motivo.
Alle 17 chiudono le urne e le prime proiezioni lanciate dall’agenzia di Stato Anadolu, che annuncia il conteggio al posto delle istituzioni, danno Erdogan oltre il 60%. Nessuno tra le opposizioni ci crede, si sa che Anadolu è il braccio mediatico del governo. Pur con colpevole ritardo, la piattaforma Adil Seçim (Giuste Elezioni) gestita dalle opposizioni pubblica altre cifre: Erdogan al 44% e Ince dietro sì, ma lì a tallonarlo. Così si va al ballottaggio.
Cala la sera. Il popolo dell’Akp già festeggia nelle strade dopo che esponenti del governo, Anadolu e di conseguenza tutte le tv annunciano la vittoria del Rèis. I sostenitori delle opposizioni si aggrappano al filo di speranza del conteggio ancora in corso presso il Consiglio elettorale supremo (Ysk), la cui sede di Ankara è stata circondata dalle forze dell’ordine. Il tempo passa, le percentuali riferite da Anadolu si abbassano, ma Erdogan è vincente sia per la presidenza che in parlamento.
I numeri di Adil Seçim invece crescono fino a congiungersi a quelle del megafono del governo. Arriva la conferma dello Ysk, la partita è chiusa. Erdogan vince la presidenza al primo turno con il 52%, Ince supera di poco il 30%, Demirtas è terzo con l’8% nonostante una campagna condotta dietro le sbarre, la Aksener raccoglie un deludente 7%, Karamollaoglu e Perinçek nemmeno l’1%.
Ma è il parlamento il colpo del ko. L’alleanza stretta dall’Akp con il lupi grigi dell’Mhp porta a casa il 53% e la maggioranza assoluta: 343 parlamentari su 600. Tra le opposizioni, l’Hdp ottiene uno straordinario l’11,7% e aumenta i parlamentari rispetto a novembre 2015.
Ma i restanti partiti d’opposizione deludono. Il Chp paga il travaso di preferenze verso gli alleati e si attesa al 22%. Fallisce soprattutto l’Iyi di Meral Aksener, che con il 10% accede al parlamento, ma non sottrae consenso all’Mhp. Il partito Saaded, la presunta alternativa islamista a Erdogan, non ha neanche un deputato.
Quello dell’Mhp è il dato più sorprendente. Un partito scosso dalla scissione dell’Iyi è riuscito non solo a incrementare i propri parlamentari, ma soprattutto diventa l’ago della bilancia della maggioranza e ipoteca un’enome forza contrattuale nei confronti di Erdogan. Mhp e Iyi, pur rivali, portano a casa insieme il 21% delle preferenze, il doppio rispetto a quando nel 2015 correvano sotto un’unica sigla.
Com’è possibile? L’Akp ha vinto, ma ha perso un 7% di consensi ed è plausibile un travaso di scontenti che però non hanno tradito. L’Hdp si è rafforzato in tutto il paese anche grazie ai voti disgiunti arrivati dal Chp, ma si è indebolito proprio nella roccaforte del sudest dove, pare incredibile, hanno guadagnano consensi i lupi grigi.
In questo arcano destinato agli analisti risiede un pezzo di mistero di queste elezioni. Nel frattempo Ince aspetta le 12 di ieri per gettare la spugna: nella conferenza stampa dichiara: «Sì, hanno rubato voti, ma non abbastanza per spiegare questa sconfitta. Ora viviamo in un regime e dobbiamo tutti misurarci con esso».
Una spiegazione più chiara arriva dalla conferenza stampa dell’Osce ad Ankara, in cui denuncia elezioni svolte senza condizioni di eguaglianza, in un contesto legale di libertà di espressione ristrette, dove risorse di Stato sono state usate in favore del partito di governo, dove sono stati apportati cambiamenti legislativi last minute che hanno rimosso garanzie importanti, dove i media hanno favorito il governo, gli osservatori sono stati talvolta bloccati, i seggi del sudest sono stati spostati senza giustificazioni soddisfacenti, viziate dallo stato di emergenza in vigore. Forse questo basta a giustificare la vittoria di Erdogan.