il manifesto 24.6.18
Immigrazione, in una folle giostra di paure e minacce non c’è nessun progetto europeo condiviso
di Anna Maria Merlo
PARIGI
Non è prevista nessuna dichiarazione finale alla riunione informale che
ha luogo oggi a Bruxelles per sminare il terreno sul dossier
immigrazione prima del Consiglio europeo del 28-29 giugno.
Un buon
risultato, si ammette nella Commissione, sarebbe di arrivare almeno a
una condivisione dell’analisi delle questioni (evitando escalation di
insulti, come è stato negli ultimi giorni tra Italia e Francia), a
partire dal significato che viene dato ai termini utilizzati.
La
riunione è boicottata dai paesi dell’est, assenti per far valere
posizioni di chiusura totale verso l’accoglienza, rinnegando il
principio di base della costruzione europea, il binomio
responsabilità-solidarietà.
In tutto, dovrebbero essere presenti
una quindicina di paesi, il fronte sud della Ue (l’Italia, tentata dal
gran rifiuto, ha poi cambiato idea), Bulgaria e Romania, poi il gruppo
Francia, Germania, Benelux, Austria, i nordici, che sono implicati
soprattutto per la questione degli «ingressi secondari», migranti in
provenienza da altri paesi Ue.
Angela Merkel arriva indebolita per
gli ultimatum del suo ministro degli Interni, «crazy Horst» Seehofer,
che vuole una soluzione anche bilaterale al problema dei «movimenti
secondari».
Ieri mattina, Pedro Sanchez è stato ricevuto
all’Eliseo da Emmanuel Macron: di fronte al primo ministro spagnolo, che
ricevendo l’Aquarius ha mostrato un volto umano dell’Europa, il
presidente francese ha potuto migliorare la sua immagine, un po’
ammaccata, su questo fronte, difendendo la creazione di «centri» per
migranti sul suolo europeo (che dovrebbero rispettare gli standard Onu).
La
Ue è di fronte a una tensione politica più che migratoria, è la
versione dell’Eliseo, dove spiegano che le cifre delle entrate sul suolo
europeo sono in netto calo: rispetto alle vette del 2015 si è tornati a
una situazione pre-crisi.
Ma sono in crescita i governi in Europa che sfruttano le paure.
Nella questione migratoria c’è un approccio «esterno», cioè le relazioni con i paesi d’origine o di transito.
Alcuni
paesi, la Danimarca ma anche l’Austria che dal 1° luglio prende la
presidenza semestrale del Consiglio Ue, propongono l’apertura di centri
per esaminare le richieste d’asilo in paesi terzi, fuori dalla Ue (sono
stati evocati i Balcani, Kosovo e Albania – su cui alcuni pensano di
poter fare pressione perché sono candidati ad entrare nella Ue – poi
anche i paesi della sponda sud del Mediterraneo, ma Tunisia, Algeria e
Marocco hanno già detto no).
La Francia e Angela Merkel
sottolineano che prima di tutto deve essere rispettato il diritto
internazionale e quello europeo: al massimo le domande di asilo possono
essere esaminate nei paesi d’origine, come succede in Niger e in Ciad
per quanto riguarda la Francia (in base a un accordo con l’Alto
commissariato dell’Onu per i rifugiati, della durata di due anni, Macron
si è impegnato ad analizzare le richieste di 10mila persone).
Ma
non è contemplata l’ipotesi di aprire degli hotspot (cioè centri
mascherati di detenzione), di respingere le navi di salvataggio in
queste zone, creando una o più Ellis Island al di fuori dei confini
della Ue.
I paesi Ue sono tutti d’accordo invece sul rafforzamento
delle frontiere esterne, ci sarà più Frontex, con aumento dei
guardiacoste e più mezzi hi-tech.
Francia e Germania chiedono
anche maggiori poteri per l’ufficio europeo dell’asilo, in attesa di un
accordo, su cui molti frenano (a cominciare dall’Italia) su regole
comuni per un asilo europeo.
Il disaccordo più importante è quello
sulla riforma di Dublino 3 per quello che riguarda i cosiddetti
«movimenti secondari», cioè su chi ricade la responsabilità di occuparsi
dell’asilante.
Oggi, i paesi Ue fanno a gara nello scaricarsi a
vicenda il «fardello» – paesi di «primo ingresso» o di «movimenti
secondari» – e alcuni sono tentati da accordi bilaterali, per bypassare
la necessaria riforma di Dublino.
Una corsa verso il disastro, che
potrebbe portare ad affossare gli accordi di Schengen sulla libera
circolazione (6 paesi hanno sospeso temporaneamente gli accordi, per
ragioni di sicurezza).
Sulle tensioni Francia-Italia e lo
scaricabarile sui migranti, Parigi ha precisato ieri che tra i due paesi
esiste, oltre a Dublino, anche il trattato di Chambéry, che stabilisce
un «controllo rafforzato» e comune alla frontiera e che ricopre tutto
quello che succede da Ventimiglia a Modane, un’intesa per evitare un
«richiamo» di nuovi migranti.
Per ribattere agli insulti di
Salvini, Parigi ricorda che nel primo semestre del 2018 la Francia ha
avuto più richieste d’asilo dell’Italia.