Corriere 24.6.18
Percorsi Secondo Sant’Agostino e Cartesio è la bussola della ragione, l’opposto dello scetticismo a oltranza di certi filosofi
Contro la retorica del dubbio
La sua mancanza genera il dogmatismo, ma il rischio è il relativismo
di Claudio Magris
Se
si incomincia a dubitare della propria moglie, si dice in un racconto
di Singer — Isaac Bashevis Singer — si finisce per dubitare delle Sacre
Scritture. Non è solo una battuta. L’opera del grande narratore yiddish,
che ho conosciuto bene — uno dei grandi incontri della mia vita — è una
ricerca di verità permeata dal senso profondo della sua forse
inattingibile conoscenza, ma anche della sua misteriosa realtà. Molti
dei personaggi di Singer sono ricercatori della verità — spesso falliti
ma, nel momento estremo di tale fallimento, sono, forse senza saperlo,
dinanzi ad essa.
Quell’ironica esortazione a non dubitare,
smentita da tanti protagonisti dei suoi racconti e romanzi, va presa sul
serio. Anzitutto c’è dubbio e dubbio. Ovviamente Singer non ha nulla a
che vedere con la presuntuosa pretesa di conoscere e possedere la
verità, pretesa madre di tanti dogmatismi e anche di intolleranze e di
persecuzioni nei riguardi di chi non la condivide o ne dubita. Ma Singer
non ha nulla da spartire con la retorica del dubbio, ora più che mai
imperante nelle forme più banali, retoriche e stereotipe. Il dubbio
creativo non è ottusa e arrogante indifferenza alla verità, indifferenza
che ora sembra obbligatoria per essere considerati evoluti, al passo
con i tempi e di mente criticamente aperta. C’è una banale celebrazione
del dubbio come del relativismo, inteso non già quale necessario
ingrediente nella ricerca della verità e quale correttivo della
presunzione di averla raggiunta e di possederla, bensì quale
indifferenza. Atteggiamento analizzato da Tito Perlini in uno splendido
saggio. Io sono antisemita, tu no, ognuno di noi due ha la propria
opinione, parimenti da rispettare. Orrenda e stupida falsificazione
della tolleranza. Nella parabola dei tre anelli ripresa da Lessing nel
suo dramma Nathan il saggio — capolavoro dell’Illuminismo, della libertà
di coscienza e dell’autentica tolleranza — si parla di tre anelli, che
simboleggiano le tre grandi religioni monoteiste, ebraismo,
cristianesimo e islamismo. Uno degli anelli è quello autentico,
originale; gli altri due sono imitazioni perfette — dice la parabola —
indistinguibili da quello vero. Non è dunque possibile sapere quale sia
la verità, che si può intravvedere soltanto di riflesso, nell’umanità di
chi lo porta al dito; chi si dimostra più umano, più capace di amore e
comprensione verso gli altri, più aperto è — dei tre — colui che
verosimilmente ha al dito l’anello vero. Ma l’impossibilità di conoscere
la verità non ne nega l’esistenza. Essa, dice Lessing, appartiene solo a
Dio, mentre il compito dell’uomo è quello di ricercarla, di avvicinarsi
il più possibile a essa. La verità non si può guardare direttamente,
perché è insostenibile, accecante, come nell’episodio evangelico della
Trasfigurazione. Kafka, ossessionato dall’idea della verità e della sua
inafferrabilità, diceva che solo la smorfia sul viso abbagliato che si
ritrae dalla sua vista è vera. Soltanto nel suo multicolore riflesso, si
dice nel Faust di Goethe, possediamo la vita.
In questo cammino
della mente e del cuore il dubbio ha un ruolo essenziale, necessario.
Non il dubbio sterilmente e arrogantemente autocompiaciuto o quello
smarrito in un’incertezza psicologica bensì il dubbio quale
consapevolezza autocritica dei propri limiti e delle proprie
insicurezze. In questo senso il dubbio è il sale, l’essenza, il motore
di ogni ricerca del pensiero; è anzi lo stesso pensiero. Se dubito,
afferma Cartesio, penso, e se penso sono. Attraverso l’uso sistematico
del dubbio si raggiunge un’evidenza certa e indubitabile; dubbio quale
via alla verità. Il dubbio metodico — secondo Cartesio, ma già secondo
Sant’Agostino — è una bussola della ragione nel suo viaggio verso la
verità; è dunque il contrario del dubbio assoluto, dello scetticismo a
oltranza professato da antichi e moderni, sin da Pirrone, contemporaneo
di Alessandro Magno, e dai suoi discepoli, per i quali le cose sono
senza misura e indiscernibili e non sopportano alcuna affermazione nei
loro confronti bensì solo l’afasia, il silenzio, e inducono, quale
atteggiamento, alla sospensione di ogni giudizio e all’atarassia,
l’imperturbabile indifferenza che è l’unica felicità. Essere «senza
opinioni», senza inclinazioni, senza turbamenti.
Il dubbio
assoluto degli scettici a oltranza, il pirronismo e altre scuole
analoghe, è stato respinto proprio dal filosofi che hanno affermato e
seguito il «dubbio metodico», considerandolo necessario alla ricerca
della verità, a sua volta tappa di ulteriore ricerca di una verità più
completa. Il pensiero, per Cartesio, possiede una certezza originaria di
fronte a se stesso. La grande letteratura barocca ha fatto capire per
sempre che la vida es sueño, la vita è sogno, e che di tutto si deve
dubitare, ma l’io che dubita, che sogna, che pensa, sa in tal modo di
esistere.
La ricerca della verità richiede pure l’abbandono di
ogni certezza spontanea e di ogni sapere ricevuto, in particolare di
ogni pregiudizio, ma alla fine del rigoroso processo conoscitivo la
verità si impone all’intelletto dell’uomo. La scoperta che l’uomo fa
della propria esistenza, di se stesso come essere dubitante e pensante,
perviene — secondo Cartesio — all’idea di Dio e alla dimostrazione della
sua esistenza. A ciò sono collegate le dimostrazioni delle verità
intrinseche delle conoscenze matematiche. Come sappiamo, il dualismo
assoluto di Cartesio fra res cogitans e res extensa e le sue conseguenti
teorie sull’anima e la corporeità, la biologia e la fisica, la materia e
il pensiero sono state criticate, ad esempio da Newton e da Leibniz. Ma
Cartesio ribadisce con forza che nessuna nozione umana può sottrarsi al
dubbio, punto di partenza per giungere ad ogni verità ulteriore.
Secoli
più tardi, Husserl ribadisce la necessità di sospendere la validità di
ogni teoria e di ogni giudizio e preconcetto. Husserl afferma l’epoché,
la sospensione di ogni convenzione sino all’evidenza sensibile, che può
essere colta e affermata solo con la pura descrizione fenomenologica.
Così, si può aggiungere, i fiori dei campi che Gesù invita a guardare
nella loro semplicità più gloriosa del fasto di Salomone, non ammettono
dubbi. Semplicemente sono. La scienza moderna, secondo Husserl, ha
soffocato questa evidenza sensibile delle cose e della vita, già tanto
cara a Goethe; la psicologia positivista ha ridotto, ha reciso o fatto
appassire quei fiori, tendendo a ridurre pure l’individuo a mera cosa.