il manifesto 23.6.18
Una vita tra antimateria, collisioni e polemiche
Ritratti.
Addio al fisico Carlo Bernardini. Aveva 88 anni. Al lavoro strettamente
scientifico, Bernardini ha sempre affiancato un impegno civile su
diversi fronti, dal disarmo nucleare alla divulgazione e alla difesa
della laicità del sapere
di Andrea Capocci
Tra i
pionieri della ricerca italiana nella fisica delle alte energie, Carlo
Bernardini, nato a Lecce ma per molti anni docente al dipartimento di
fisica della Sapienza di Roma, è morto all’età di 88 anni. Al lavoro
strettamente scientifico, Bernardini ha sempre affiancato un impegno
civile su diversi fronti, dal disarmo nucleare alla divulgazione e alla
difesa della laicità del sapere. Tale impegno lo portò fino in Senato
nel 1976, dove fu eletto come indipendente nelle liste del Pci. I
funerali si terranno oggi a mezzogiorno a Roma, al Tempietto Egizio del
cimitero del Verano.
LAUREATOSI A ROMA nel 1952, e reclutato
giovanissimo da Enrico Persico, tra il 1953 e il 1959 Bernardini lavorò
alla realizzazione dell’elettrosincrotrone presso i laboratori
dell’Istituto nazionale di fisica nucleare a Frascati. Poi, con Bruno
Touschek, Giorgio Ghigo e Gianfranco Corazza fu tra i fisici che
realizzarono il primo collisore al mondo tra elettroni e positroni (le
particelle di antimateria «speculari» agli elettroni) denominato «Anello
di Accumulazione», o AdA. Nei primi anni sessanta, a Orsay, AdA permise
di rivelare per la prima volta le collisioni tra elettroni e positroni.
Con AdA, e il successivo acceleratore «Adone» sempre a Frascati, nacque
l’era degli acceleratori ad anello, di cui l’Lhc del Cern di Ginevra
(quello del bosone di Higgs) è l’ultimo esemplare.
Carlo Bernardini
DAGLI
ANNI ’60, Bernardini fu protagonista di tutte le battaglie civili che
animarono la comunità scientifica italiana, con un’autonomia di pensiero
che non gli risparmiò scontri anche con colleghi della sua stessa
sponda politica. Nel 1982 fu uno dei fondatori dell’Unione scienziati
per il disarmo impegnata contro rischio delle armi nucleari, che diede
un contributo autorevole dal punto di vista scientifico nel dibattito
internazionale che portò ai trattati internazionali di
non-proliferazione.
MA ALLO STESSO TEMPO, come ricorda lo storico
della fisica italiana Giovanni Battimelli, Bernardini fu un acceso
fautore dell’uso dell’energia nucleare a scopi civili. Negli anni ’60 si
schierò con Felice Ippolito, il principale responsabile del programma
nucleare italiano, accusato di malversazioni in un’inchiesta giudiziaria
che a molti sembrò manovrata dalla lobby petrolifera, «una lezione data
a scienziati e tecnici che tentano di inserire l’Italia nella strada
della grande evoluzione tecnologica» secondo Bernardini.
Nel
decennio successivo Bernardini si scontrò con i movimenti contrari alla
centrale nucleare di Montalto di Castro, una battaglia che non abbandonò
fino ai due referendum del 1987 e del 2011.
Con i movimenti,
Bernardini aveva avuto un rapporto difficile già negli anni ’70, quando
la critica ai saperi scientifici e alle loro ricadute sociali, animata
da Marcello Cini e dal suo gruppo di marxisti eterodossi, arrivò sin
dentro i laboratori di Fisica. Per Bernardini, quella protesta sfociava
nell’antiscientismo, nonostante provenisse da fisici di ottimo livello.
Ma la sua era la posizione dominante nel Pci, secondo cui sviluppo
scientifico progresso sociale erano indissolubilmente legati.
Le
polemiche continuarono anche quando in ambito scientifico si fecero
strada le «scienze della complessità» di Gregory Bateson, Ilya
Prigogine, Edgar Morin e dello stesso Cini. Per Bernardini, si trattava
di «scarichi letterari pseudoscientifici». Forse pensando proprio a quel
periodo, in un’intervista ad Antonio Gnoli nel 2014 disse: «Sono 60
anni che ribadisco che occorrono più fatti e meno interpretazioni. La
mia vita si compone di queste certezze».
MOLTI ANNI DOPO,
Bernardini e Cini si trovarono invece dalla stessa parte della
barricata, a difesa della laicità dell’università. Successe nel 2007,
quando (con altri 65 colleghi fisici) protestarono con una lettera su il
manifesto contro l’invito a Joseph Ratzinger, allora Benedetto XVI,
all’inaugurazione dell’anno accademico dell’università La Sapienza.
Secondo i fisici, si trattava di «un salto indietro nel tempo di
trecento anni». Alla fine, vinsero gli scienziati e Ratzinger rinunciò
alla lectio magistralis.
Bernardini conosceva però il valore del
dialogo tra le culture. Come ricorda Battimelli, difese fino all’ultimo
la necessità di insegnare la storia della fisica ai futuri scienziati e
diresse la rivista interdisciplinare Sapere dal 1983 al 2014. E seppe
collaborare con colleghi autorevoli: con Tullio de Mauro ebbe un
sodalizio fecondo, poi condensato nel libro Contare e raccontare.
Dialogo sulle due culture (Laterza), scritto nel 2005. Ma più che alla
divulgazione, era interessato alla didattica. Oltre ai manuali
universitari, Carlo Bernardini scrisse libri di testo scolastici (anche
insieme alla moglie Silvia Tamburini) e animò un laboratorio permanente
con gli insegnanti al fine di innovare la pedagogia della fisica.