Corriere 23.6.18
Dagli archivi di Mosca 1941
Ordini tardivi e confusi. E Stalin non fermò i nazisti
Spuntano i documenti originali: i sovietici sorpresi dall’invasione
di Fabrizio Dragosei
MOSCA
Gli storici ne erano convinti, ma adesso il ministero della Difesa
russo ha declassificato i documenti originali che lo dimostrano: l’Alto
comando sovietico diede ordini contraddittori e tardivi alle truppe
nelle ore cruciali dell’attacco tedesco all’alba del 22 giugno 1941.
A
mezzanotte e mezza, meno di tre ore prima che Hitler scatenasse
l’operazione Barbarossa, il Commissariato della Difesa mise in allerta
l’esercito, ma lo invitò a non rispondere a «provocazioni». Un ordine
ambiguo che molti comandanti in prima linea nemmeno ricevettero. Alle
quattro del mattino tre milioni di uomini dell’Asse attaccarono su tutto
il fronte con 3.500 carri armati e 600 mila veicoli. Ma i sovietici
ancora non risposero nel timore di contravvenire alla volontà di Stalin.
Solo alle 7 e 15 partì la disposizione di «contrattaccare». E anche in
questo caso Mosca non sembrò capire la situazione reale. Il documento,
reso noto per i 77 anni di quegli eventi, intimava alle truppe di
«lanciarsi sui nemici e distruggerli». Ma aggiunge di «non avanzare
oltre frontiera». In quel momento i sovietici erano già in rotta, con
1.200 aerei distrutti prima di alzarsi in volo.
Stalin aveva fatto
preparare l’ordine inviato a mezzanotte e mezza dopo aver ricevuto
innumerevoli segnalazioni sui preparativi segreti dei nazisti. Come in
altre circostanze «delicate», lo aveva fatto firmare ai suoi sottoposti,
per non assumersi responsabilità per iscritto: i generali Timoshenko e
Zhukov, commissario alla Difesa e capo di Stato maggiore. Le carte rese
note ci fanno sapere che anche i due ufficiali lo fecero a loro volta
firmare a due collaboratori. Il documento fa capire la lentezza della
macchina sovietica. Emanato a mezzanotte e mezza, venne ricevuto dal
centro di cifratura dello Stato maggiore del distretto ovest dopo un’ora
e 15 minuti. Poi fu girato ai comandanti delle armate alle 2,35.
In
testimonianze rese successivamente, almeno tre comandanti dissero di
non averlo mai ricevuto. Pyotr Sobennikov, capo dell’ottava Armata,
aggiunse di aver avuto disposizioni contraddittorie: «Iniziarono ad
arrivare ordini. Poi, da un’altra parte, contro-ordini; quindi
riconferma dell’ordine iniziale e, ancora, annullamento della
disposizione. A un certo punto mi dissero di ritirare i soldati dalle
trincee. Ma io rifiutai».
Mentre i tedeschi accerchiavano intere
armate, incendiando e facendo centinaia di migliaia di prigionieri,
Stalin cercava di fermare quella che credeva una «provocazione» per
aprire una trattativa. Solo alle 7,15 partì il comando di reagire,
scritto a mano da Timoshenko. Nel caos, soldati e ufficiali combatterono
con eroismo, fronteggiando un nemico inarrestabile. Stalin, sconvolto
per la mossa dell’ex alleato, non si fece sentire dai russi per 10
giorni. Affidò al fedele Molotov il compito di informare l’Urss a
mezzogiorno del 22: «Le truppe tedesche hanno attaccato il nostro Paese…
La nostra causa è giusta. La vittoria sarà nostra».