il manifesto 22.6.18
Ada Colau: «Dobbiamo creare un fronte comune contro la barbarie»
Restiamo
umani. Intervista alla sindaca di Barcellona, a Bologna per due giorni
«Affondare le paure, non le navi cariche di esseri umani»
di Beppe Caccia
Ada
Colau è ripartita ieri pomeriggio da Bologna dopo un’intensa due giorni
nel capoluogo emiliano. Mercoledì pomeriggio ha partecipato alla
manifestazione «per i diritti di tutte e tutti» promossa dai centri
sociali Tpo e Labás e dalle associazioni dei migranti. Alla sera si è
confrontata nel cortile di palazzo D’Accursio con 500 persone in
un’assemblea pubblica, organizzata dalla Fondazione per l’innovazione
urbana, recentemente creata da Comune e Università di Bologna e
presieduta da Raffaele Laudani, proprio con l’obiettivo di sviluppare
più avanzate pratiche di democrazia locale.
Ieri si è incontrata
col sindaco Virginio Merola e l’assessore Matteo Lepore, per discutere
future collaborazioni tra le due città; e ha voluto visitare la
Biblioteca delle Donne e l’hub dei richiedenti asilo di via Mattei. In
mezzo a tutto questo non è mancato lo scambio con Coalizione Civica,
esperienza politica «sorella» di Barcelona en Comú.
Questo viaggio
in Italia cade in un momento politico particolare, in cui il nostro
paese sembra essere diventato il «laboratorio politico» del
nazional-populismo …
Non possiamo tollerare che nelle istituzioni
ci siano persone che dicono cose inumane, come abbandonare i migranti in
mare o discriminare le persone sulla base della loro etnia. In queste
ore sembra che la scena sia occupata solo da Trump e Salvini. Hanno in
comune il fatto di sfruttare il loro potere per creare tensioni sociali
ed estrarne una rendita politica. Disumanizzano l’altro, criminalizzano
il differente, perché non vogliono che ci identifichiamo con il suo
dolore. Sono gli esponenti di un discorso dell’odio che vuole penetrare
nei cuori e nelle menti delle società occidentali. Non possiamo
permetterglielo. Che cosa possiamo fare? Unirci. Non lasciarci
intimidire dalle paure prefabbricate. Non per «buonismo», ma per umanità
e razionalità, dobbiamo creare un grande fronte comune contro la loro
barbarie. Dobbiamo affondare le paure che sfruttano, non le navi cariche
di esseri umani che, prima di ogni altra cosa, devono essere salvati e
accolti.
Colpisce, proprio in queste ore, il fatto che siano i
sindaci di molte città europee a far sentire con più forza e chiarezza
la loro voce, per l’apertura dei porti e la creazione di canali
umanitari, andando spesso a riempire un vuoto d’iniziativa politica.
Voglio
ricordare come a Barcellona, fin dal primo giorno, ci siamo definiti
come città-rifugio. Non ci possono essere cose più importanti che
difendere la vita. Questo significa affrontare un conflitto, in un
contesto difficile, contro i governi di destra, e le loro misure
razziste di chiusura delle frontiere, in materia di permessi di
soggiorno, di regolarizzazione, di riconoscimento del diritto di asilo.
Contro i centri detentivi, vero e proprio buco nero dei diritti umani,
che hanno realizzato o vogliono realizzare. Stiamo accogliendo migliaia
di persone, garantendo loro i servizi fondamentali, per «hackerare» le
politiche razziste degli stati. Questo è parte essenziale del nostro
fare una politica diversa, non «in nome delle persone», ma facendo in
modo che le persone siano protagoniste. Perciò la nostra proposta non
poteva che essere municipalista, partire dalla prossimità, dal
quotidiano. Abbiamo deciso di fare politica nella città, nel luogo della
comunità, dove prossimo condividere e aiutarci reciprocamente, per
cambiare nel concreto la vita di ciascuna e ciascuno. Le città sono lo
spazio cruciale della politica di questo secolo. Forse gli Stati
nazionali lo sono stati nel secolo scorso, ma adesso la loro storia è
finita.
Avete vinto le elezioni nel maggio 2015 e manca ormai meno
di un anno alla fine del vostro mandato, in Spagna si voterà insieme
per il rinnovo del Parlamento europeo e delle Amministrazioni locali nel
maggio 2019. È forse tempo di un primo bilancio?
Abbiamo fatto
una cosa che sembrava impossibile. Dai movimenti sociali abbiamo provato
a recuperare le istituzioni e ripensare la politica. Non bisogna
banalizzare la democrazia formale, ottenerla è costato tantissimo, ma ha
ormai raggiunto il suo limite e bisogna rigenerarla. In questi tre anni
non solo stiamo dimostrando di gestire meglio le cose: abbiamo un
Comune più trasparente e partecipativo, che ha messo al primo posto le
persone e i loro diritti sociali. Ma non volevamo solo sostituire quelli
che c’erano prima, volevamo proprio cambiare la politica. Siamo la
prima Giunta che si definisce femminista, perché il nostro orizzonte è
«femminilizzare la politica». C’è una questione di giustizia di genere, e
una strutturale violenza patriarcale da sconfiggere, certo. Ma facciamo
delle politiche che diano più potere alle donne, perché vogliamo una
città più libera e più felice, per noi donne ma anche per gli uomini.
Negli
incontri a Bologna ha insistito sulla necessità di sviluppare relazioni
orizzontali, vere e proprie «reti di città», non solo di sindaci e di
amministrazioni, capaci di essere attori protagonisti del cambiamento su
scala transnazionale.
L’Europa è a un momento decisivo della sua
storia, deve decidere che cosa fare, se dissolversi e fallire o
rinascere e reinventarsi. Tutto è aperto, se ci impegniamo possiamo
rifare l’Europa dal basso e farla diventare spazio di diritti e dignità.
Torno sulle paure: l’errore delle sinistre tradizionali è non aver
guardato le paure negli occhi, far finta che non ci fossero. Ci sono
paure ragionevoli e legittime, ad esempio quella di non riuscire a
garantire ai propri figli un futuro migliore. Bisogna nominarle. E
cercare insieme le soluzioni. Le città sono lo spazio dove affrontarle,
perché sono lo spazio dove l’altro non è uno sconosciuto, disumanizzato,
è il mio vicino e la mia vicina. Possiamo trasformare qui le paure in
speranze. Abbiamo una responsabilità enorme, di esercitare la speranza
nelle nostre città, ricostruendo la politica democratica dal basso,
femminilizzarla, cooperare. E fare della politica uno spazio di vita,
non di crudeltà, competizione e sopraffazione.