il manifesto 22.6.18
La Russia è l’unico argomento di attrito tra i quattro di Visegrad
Visegrad
e Mosca. L’ostilità polacca verso la Russia è tale da far perdere di
vista i suoi stessi interessi economici, di tutt'altro avviso
l'approccio della Slovacchia
di Yurii Colombo
MOSCA
Se esiste un argomento su cui il Gruppo di Visegrad è profondamente
diviso, questo è il rapporto da tenere con la Russia di Putin. Il Gruppo
di Visegrad o V4 nacque nel 1991 con l’obbiettivo di costruire
un’alleanza con un’ispirazione mitteleuropea in funzione anti-russa.
Tuttavia nel corso di un quarto di secolo i paesi aderenti (Polonia,
Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) hanno sviluppato proprie
specifiche linee di faglia di politica estera, che hanno portato i
singoli paesi ad avere relazioni in certi casi diametralmente opposte
rispetto alla Russia.
VARSAVIA, come è noto, resta lontanissima da
Mosca. La Polonia è una colonia russa e nel 1939 subì una tragica
sparizione seguita ai protocolli Ribentropp-Molotov. Sono vicende
difficili da dimenticare. Anche per questo la Polonia è il paese più
anti-russo di tutta l’Ue. Dal 2017 ha iniziato un programma di
«decomunistizzazione» che ha condotto all’abbattimento di 469 statue che
ricordavano il passato comunista.
E NELL’EUROPA ORIENTALE, con la
Romania, è il paese che non solo ha dato semaforo verde a qualsiasi
insediamento della Nato ma persino quello diretto dell’esercito Usa.
Solo qualche settimana fa la Polonia si è impegnata a finanziare con 2
miliardi di dollari il dispiegamento di una brigata corazzata
statunitense sul proprio territorio. L’ostilità polacca verso la Russia è
tale da far perdere di vista i suoi stessi interessi economici:
malgrado la Polonia sia ancora il 12esimo partner commerciale della
Russia, l’interscambio tra i due paesi si riduce ogni anno e le sanzioni
hanno fatto perdere a Varsavia oltre un miliardo di dollari di
contratti. Di tutt’altro segno l’approccio alla Russia della Slovacchia.
Il piccolo paese del centro Europa malgrado si sia sempre allineata
alle decisioni dell’Ue contro la Russia in seguito alla crisi Ucraina,
non si è mai appiattito sui pasdaran anti-Putin: nel 2016 l’ex premier
slovacco sostenne che «l’Ucraina sta facendo assai meno della Russia per
implementare gli accordi di Minsk».
L’OPINIONE PUBBLICA del paese
del resto è l’unica tra quelle dell’alleanza ad avere preferenza per i
russi rispetto agli americani (33% contro 22%). «Tradizionalmente gli
slovacchi hanno una relativa maggiore affinità con i russi che con
qualsiasi altro popolo confinante» hanno scritto i sociologi Grigorij
Mesežnikov e Olga Gyárfášová. I governi cechi sono tradizionalmente
anti-russi sin dalla «rivoluzione di velluto» ponendosi con la Polonia,
come uno dei paesi sostenitori della «mano pesante» con Mosca, ma anche
qui negli ultimi anni le cose sono iniziate a cambiare soprattutto da
quando il Cermlino ha trovato nel presidente ceco Milos Zeman un
inaspettato alleato.
ZEMAN HA AFFERMATO più volte che le sanzioni
contro Mosca «danneggiano l’economia ceca» e ha destato grande scandalo
in Europa con l’assist fornito al Cremlino sul «caso Skripal» quando ha
confermato che anche il suo paese aveva testato l’agente chimico
«Noviciok». Il sodalizio tra Orbán e Putin dura da 10 anni ma è tutto
incentrato su dosi da cavallo di pragmatismo. «Non è un rapporto basato
su un comune sentire: Mosca non ha dimenticato che Orbán dal 1988 al
2009 è stato il politico più anti-russo del continente» afferma András
Rácz, professore all’Università Cattolica di Budapest. Non è un mistero
che l’Ungheria, la quale dipende per il 38% del suo fabbisogno
energetico dal gas naturale, ottenga dalla Russia forniture a prezzi di
favore in cambio di una politica estera in favore della normalizzazione
dei rapporti tra Ue e Russia.
DEL RESTO LA PARTITA energetica può
essere vista anche come una delle cartine tornasole per valutare la
vicinanza o lontananza da Mosca dei paesi del V4: a una Polonia che si
oppone con tutte le sue forze al nuovo gasdotto North Stream-2 perché
dipendente solo per il 15% dal gas, fanno da contraltare le politiche di
apertura di Repubblica Ceca e Slovacchia che dal gas dipendono quasi il
doppio rispetto a Varsavia.