venerdì 22 giugno 2018

Repubblica 22.6.18
Uno degli esercizi aperti di recente
E in negozio sfuma il business “Qui rischiamo di perdere tutto”
di Paolo G. Brera


ROMA Eravamo quattro amici al bar — racconta Pietro Cives, 38enne titolare del marchio “Grace” e del “box 19” al mercato di Ponte Milvio, a Roma — con l’idea di far qualcosa insieme. In quattro mesi siamo diventati un network di undici negozi affiliati in tutta Italia». Con il massimo comun divisore della cannabis light, sugli scaffali c’è di tutto: la crema antipsoriasi e le piadine alla farina di canapa, la pastasciutta con ricetta per farsi una “carbonara di Grace” e il pane carasau. Ci sono anche le uova «prodotte da galline alimentate con semi di canapa, curcuma e zenzero: hanno più proteine e meno grassi, bassissimo colesterolo e il triplo di Omega 3 e Omega 6», assicura Giorgia Graglia, responsabile del negozio di Ponte Milvio.
Il telefono squilla in continuazione. Da poche ore è uscita la notizia che il Consiglio superiore di sanità ha consigliato al ministero un passo indietro sulla liberalizzazione della canapa light, dello spinello che non sballa e, forse, anche dei suoi affiliati alimentari e cosmetici. I confini esatti, le future ricadute concrete del parere inviato al ministero non sono ancora valutabili, ma a Pietro è andata di traverso la colazione e ora è nervoso come mai.
«La verità è che nessuno ci pensa, a un ragazzo che ha investito tempo e denaro. Io vendo infiorescenze come altre persone vendono magliette, cosa c’è di strano? Non sono un appassionato né un ex tossico, nemmeno fumo», dice indeciso se continuare l’intervista o interromperla subito, per il timore comprensibile che non passi l’immagine che vorrebbe dare del suo “business”: «A differenza degli altri — assicura — noi non abbiamo solo le erbe. Alle infiorescenze abbiamo affiancato le uova e la pasta, la birra e i cosmetici: abbiamo un target più alto», dice. Una clientela «di persone in maggioranza tra i trenta e i cinquant’anni — spiega — che non hanno niente a che vedere con il tipo di cliente che potete immaginare, non sono in cerca di qualcosa di strano. C’è chi ha risolto l’insonnia o la cervicale, e c’è anche chi ha risolto patologie più importanti ma noi chiariamo subito di non essere medici né farmacisti, anche se ci avvaliamo di professionisti che ci indirizzano». Sul bancone, in una teca che costituisce il bancone stesso, ecco «il core business dell’attività», come lo definisce Cives: le infiorescenze di canapa a basso contenuto di Thc, il principio attivo dello sballo, esposte per tipo e per prezzo.
Ci puoi fare le tisane, puoi aromatizzare l’aria o puoi fumarle come fossero spinelli light, roba che ti rilassa senza stordirti, che ti fa dormire sereno senza farti viaggiare chissà dove. Alle spalle, sul bancone, se vuoi puoi farti una “canapera” (no, niente di eversivo, è solo una purea di pere e canapa). E dunque che succederà adesso?
«Non sappiamo, è troppo presto per capirlo. Per quello che abbiamo capito fino a ora, il Consiglio superiore di sanità ha sollecitato una maggiore accortezza per le donne incinte e per gli anziani, per i quali parlano di controllarle la vendita». Giusto o sbagliato? «Non so, sono ancora confuso, è troppo presto».
In un’ora trascorsa nel negozio non è entrato nessun cliente. Ma il telefono è squillato eccome: «Ma no, non ha detto che non possiamo più vendere, per ora è solo un parere e il ministero non ha deciso nulla: il negozio è aperto», risponde Giorgia.